Arte
Giorno della Memoria, perché è importante rileggere “Maus” di Art Spiegelman
Si può affermare con tranquillità assoluta che Maus, premio Pulitzer nel 1992, sia uno dei capolavori indiscussi della storia del fumetto occidentale. La vicenda che Art Spiegelman racconta è quella di suo padre Vladek, ebreo sopravvissuto ai campi di concentramento durante la seconda guerra mondiale. Maus è un libro straordinario, tra i più intensi e profondi tra quelli incentrati sul tema della memoria dell’Olocausto, ma è anche un libro sul rapporto conflittuale tra un padre e un figlio, su una diversità tutta intima e legata a uno scontro generazionale. E rileggerlo proprio oggi è estremamente importante per far sedimentare sempre di più alcuni dei suoi indubbi valori estetici e contenutistici. Quali sono allora i passaggi fondamentali di questo viaggio? O meglio, dove è giusto porre la nostra attenzione per incrementare i punti di forza del suo messaggio?
LA MASCHERA
La maschera è un elemento simbolico fondamentale in Maus: la maschera da maiale che gli ebrei topi indossano per camuffarsi e passare come polacchi, ma anche la maschera che lo stesso Art Spiegelman indossa all’inizio del secondo capitolo della seconda parte per immedesimarsi negli animali protagonisti che fino a quel punto del racconto ha disegnato e messo in scena. Le maschere ci allontanano dalla realtà, servono a filtrare il mondo, a renderlo simbolico e ad amplificare l’immaginario. Tutti indossiamo maschere, ma non tutti siamo consapevoli di indossarle. Anche chi sa di indossare delle maschere, non sa mai quali e in che momento. Maus ci dice chiaramente questo: vedere un mondo fatto di maschere è la possibilità di poter vedere anche un mondo più facilmente osservabile, diviso in categorie sociali e di conseguenza più facilmente interpretabile. Per quanto tutto ciò possa apparire schematico, le maschere ci dicono che ognuno di noi appartiene a una fazione. Per quanto sia possibile sfumare, abbiamo bisogno di vedere semplicemente la diversità per poterla comprendere e metabolizzare nel migliore dei modi.
IL RELATIVISMO DEI DIVERSI
Ogni cosa è relativa. Ogni aspetto del vivere e della quotidianità dipende da che tipo di esistenza ogni essere umano sta portando avanti. La tolleranza si basa anche su questo. Maus è un libro straordinario perché sottilmente va alla ricerca di dettagli che amplifichino la possibilità di capire che ogni individuo non è in grado di comprendere completamente la verità altrui senza prima aver indossato i panni dell’altro. Il lavoro che Artie compie nei confronti del ricordo e della memoria del padre ha a che fare anche con questo: andare alla ricerca delle barriere che la percezione pone di fronte alla pura soggettività. Se un’esperienza non fa parte del proprio bagaglio, difficilmente concepiremo l’assoluta verità che essa contiene. Difficilmente capiremo cosa vuol dire essere stati ebrei durante la seconda guerra mondiale. Ma la sottile linea di demarcazione può ridisegnarsi, anche ribaltando le situazioni di partenza. Quando Artie accoglie nella sua automobile una persona di colore che fa autostop, Vladek inizia a borbottare e a chiamarlo sottovoce “shvartser”, che è l’equivalente yiddish della parola “nigger”, spiegando successivamente al figlio che quelli rubano e che bisogna fare attenzione. “È nella natura delle cose che ogni azione umana che abbia fatto una volta la sua comparsa nella storia del mondo possa ripetersi anche quando non appartiene a un lontano passato”, sosteneva Hannah Arendt. Per Art Spiegelman questo è un monito, delicato, leggero, ma da prendere con estrema serietà.
NOSTALGIA DELLA SEMPLICITÀ
Umberto Eco diceva che una volta terminato di leggere Maus si aveva come la disperata nostalgia di essere stati esclusi da un universo magico. Questa funzione, il fatto di sentirsi lontani e provare nostalgia, ha a che fare con la semplicità della storia narrata. La incredibile intuizione di Spiegelman sta nell’aver compreso che l’essenzialità è ciò che tiene vicini gli uomini nella complessità e nell’assurdità di qualcosa che è effettivamente incomprensibile. Lo stile di Maus è diretto, immediato, nel senso che non ha filtri e formalmente non ha bisogno di essere decifrato. Questo consente al lettore di entrare nel racconto senza nemmeno accorgersi come sia possibile che ciò sia avvenuto. E senza neppure domandarsi perché gli ebrei siano topi e i tedeschi gatti.
Ma forse, in fondo, la funzione principe dell’opera straordinaria di Spiegelman è quella di mostrare immagini che non distraggano troppo dall’obbiettivo di far ricordare senza deturpare, di costruire riflettendo, di mantenere viva l’attenzione raccontando soavemente, attraverso segni innocui, la necessità di non far vagare mai più l’uomo nelle tenebre dell’assurdo e dell’inspiegabile. Scomodando nuovamente Hannah Arendt – parafrasandola – ingaggiare quindi la prima e fondamentale battaglia culturale: stare di guardia ai fatti e dunque alla Storia.
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