Arte
Gianni versace: il padre
Adesso che la storia è finita, ce la possiamo raccontare.
A lungo considerato non originale e quindi fredda imitazione o addirittura svarione cimiteriale, il Neoclassicismo non gode della simpatia degli altri “ismi”: Impressionismo, Futurismo, Dadaismo, etc.
Questo perché l’esteta contemporaneo gode delle tribolazioni di Vincent Van Gogh ma è sospettoso dinnanzi ai trionfi di Antonio Canova.
Non così per Gianni Versace che, mettendo al centro del suo universo Medusa, pietrificò davvero lo sguardo di una generazione e tra greche geometriche, fregi, cippi, festoni, stampe a tema mitologico mescolati a perle, conchiglie o gigli, appaltò con la sua firma un pezzo dell’immaginario collettivo.
Indagare il legame tra lo stilista e il suo stile non smette mai di produrre il senso che avvolge anche la sua vita.
Lo stile Gianni Versace e l’uomo: essere stato l’idea non soltanto averla avuta.
Che vestisse le donne più importanti del mondo, Lady D o Madonna, lo sappiamo tutti, ma sarebbe più giusto dire che le trasformò: la principessa rottama il suo sogno per farsi sexy e pragmatica mentre l’irriverente pop star archivia le tette-razzo e si concede una romantica fragilità in stile Marilyn.
Ascensore sociale e insieme morale, via la cravatta su la ciabatta, il peplo ricomposto con le spille e Magna Grecia sulle mutande. La grandezza dell’antico che pare sgomentare l’artista neoclassico carica invece l’immaginazione di Gianni Versace che tracima in un meccanismo di star-izzazione dove le modelle e i loro emuli diventano top e fotografi non esclusivamente dell’ambiente sono chiamati a canonizzare, con l’avallo del classico, lo stile Versace.
Non che nella Roma antica girassero le Linda Evangelista con le camicie della Medusa o ci fossero case adornate come Villa Fontanelle a Moltrasio, ma siccome i neoclassicismi sono tanti, ciò che conta è interpretare. E come si fa? Inizialmente magari con l’imitazione pedissequa in cui si cammina attentamente sulle orme lasciate dai grandi ma poi spuntano le ali e via, si spicca il volo.
La parabola di Gianni Versace che dal contesto reggino trae la suggestione delle antiche colonie ioniche e le interpreta per quel mondo della società illimitata che sono gli anni Ottanta, anni in cui le risorse sembrano infinite e il cambio climatico lontano quanto i diritti LGBT, è impastata da un doppio riscatto: quello da un presunto provincialismo culturale e quello del rapporto con l’amatissimo padre.
Antonio Versace, sempre assente da quella Milano in cui lo stilista si trasferì nel 1972, è un padre che ritroverà solo più tardi in una circostanza piranesiana riportata in questo malinconico ricordo di Reggio, nell’estate successiva la scomparsa della madre avvenuta nel 1978, anno della prima sfilata.
“[…] Lo cominciarono a cercare affannosamente e lo ritrovarono nel pomeriggio, al cimitero, vicino alla tomba della madre. “È un bellissimo posto il nostro cimitero – dice Gianni – C’è sempre un po’ di vento e fra gli alberi ci arriva il profumo della zagara…”
Ma lui era lì come perso, abbandonato, invecchiato di cento anni. Fu un momento di ricordo, di dolore comune.
“Ci abbracciammo. Avevo ritrovato mio padre. Lo sentivo stretto a me per la prima volta.” ”
Sarà anche psicologia spicciola ma i conti tornano.
Il figlio diverso che si fa novello patriarca e porta con sé in azienda fratello e sorella, ponendo il primo alla guida del gruppo ed eleggendo la seconda a musa e poi icona del marchio, diventerà padre elettivo, lasciando alla sua morte, la quota di maggioranza alla nipote-figlia.
Il superamento della soggezione per l’antico e per il padre attraverso una creatività smisurata e inarrestabile come una salvezza.
Johann Heinrich Füssli, La disperazione dell’artista davanti alle rovine antiche (1778-79).
Acquerello, 42X27,2 cm.
Milano, Civica Raccolta Stampe Bertarelli.
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