Arte
Gianluigi Ricuperati: rileggo e colleziono Italo Calvino
Dopo Chiara Valerio, Nicola Lagioia, Francesco Pacifico, Rossella Milone e Giovanni Montanaro e dopo Vanni Santoni l’indagine sull’eredità o meno di Italo Calvino negli scrittori italiani prosegue con Gianluigi Ricuperati. Direttore Creativo di Domus Academy, Gianluigi Ricuperati ha scritto tra gli altri i romanzi Il mio impero nell’aria (Minimum Fax, 2011) e La produzione di meraviglia (Mondadori, 2013). In uscita da Roads Publishing il saggio 100 Global Minds. Il suo prossimo romanzo uscirà invece per Feltrinelli.
Quale l’eredità lasciata alla letteratura da Italo Calvino, quali le possibilità per i narratori italiani?
Ho passato le ultime settimane a leggere e rileggere Calvino – soprattutto i racconti sparsi e le lettere, che non avevo mai affrontato – in varie ore della giornata, come un breviario da analizzare – o il dispenser di insulina che alcuni applicano al braccio. Ho poca fiducia nella letteratura, e questa lettura è per me necessaria: equilibra la curva di assorbimento della sfiducia, in un mondo che ho già identificato più volte come ‘post-letterario’. In queste settimane ho capito che Gore Vidal aveva ragione, quando nel 2011, verso l’imbrunire della sua vita, disse in un’intervista che Calvino era l’unico vero grande autore suo contemporaneo – credo intendendo per ‘contemporaneo’ quello spicchio di Ventesimo Secolo che temperava la propria fine nell’immaginare furiosamente il successivo.
Quali sono gli infiniti Calvino da leggere e da scoprire? Quali ti hanno ispirato come narratore?
Ho collezionato diversi Ready-Made Calvino: Il Calvino che parla al XX Secolo: il marxista, il cronachista quotidiano de L’Unità, il polemista politico prima del periodo parigino, il corrispondente epistolare su questioni letterarie italiane che non appaiono oggi scolorite e addirittura bizzarre. Anche l’allievo di Vittorini e Pavese, dal quale nella lettera del 27 luglio 1949, affettuosa e rimproverante, si congeda con uno splendido: ‘ciao, Tribale!’ Il Calvino che parla al XXI Secolo: l’oulipienne, il ponte verso le discipline scientifiche e urbanistiche, l’autore de Le città invisibili e Palomar, l’elzevirista curioso del periodo garzantiano (Collezione di Sabbia), la mente cosmopolita e trans-atlantica che s’interessa del Maggio Francese ma avendone privatamente paura e scetticismo pragmatico (“E speriamo che quando tornerò a Parigi ci sarà una VI Repubblica che non sia peggio della V”, missiva ad Andrea Zanzotto, 26 maggio 1968). Ovviamente il Calvino delle Lezioni Americane, che nonostante gli attacchi di specialisti o ideologi resta un esempio sontuoso di auto-analisi che diventa lettura del mondo a venire.
Il Calvino incompiuto della splendida favola antropologica La Decapitazione dei Capi, solo quattro capitoli uto-distopici in cui si racconta una civiltà altra/futura nella quale ogni tot anni la classe dirigente viene sacrificata, ghigliottinata, e infine sostituita. Il Calvino-Jeff Koons, plastico rifinitore di sculture narrative quasi kitsch cesellate nella maturità, spesso ispirate dall’attualità, come il racconto La pompa di benzina, apparso sul Corriere della Sera del 21 dicembre 1974 col titolo (molto più bello) La forza delle cose: un uomo che gira con la propria auto in una città italiana afflitta dal post-austerity, in cerca di un benzinaio, alternando descrizioni urbane e ragionamenti ti tipo geologico, e che poi quando lo trova decide di donare il proprio oro nero a una avvenente guidatrice di macchina sportiva: “Svito il cappuccio del serbatoio della macchina sport e vi immetto il becco della pompa, schiaccio il tasto e nel sentire il getto che penetra, finalmente mi si affaccia come il ricordo di un piacere lontano..” Il Calvino-Anselm Kiefer, nel medesimo racconto, qualche riga più in là, compone un miracolo in prosa tracciando in pochi passi il profilo di un trauma cosmologico e visionario: “Lei ride. Scopre due giovani incisivi appuntiti. Non sa. Nella prospezione d’un giacimento in California sono riemersi scheletri d’animali di specie estinte da cinquant’anni, tra i quali una tigre dai denti a sciabola, certo attratta da uno specchio d’acqua che si estendeva sulla superficie del lago nero di pece da cui fu invischiata e inghiottita”. Il Calvino che scrive d’arte, che legge scienza, che parla di architettura, il Calvino che scrive testi musicali, il Calvino che dà consigli ad Antonioni per Blow Up.
Dove la scrittura di Calvino ha più saputo incidere nella società italiana?
Non so se abbia influenzato la società nel suo insieme, ma credo che la società letteraria italiana di oggi debba ancora farci i conti. Credo che la più intensa eredità di Italo Calvino, tuttavia, sia – in un’epoca post-letteraria, la sua parabola esistenziale: Torino-Parigi-Roma-Mondo. In pochi tratti di penna, in pochi decenni timidi laboriosi controllati, il Signor Palomar ha impartito una lezione di curiosità infinita che purtroppo molti scrittori italiani continuano a non capire: ancora oggi, mentre leggo certe prese di posizioni localistiche, certe difese d’ufficio ideologiche, certe mancate ambizioni inspiegabili, certe pigrizie faticose nei confronti del proprio tempo, certe immobilità spaziali, certe incapacità con le lingue e con le culture, e soprattutto la riluttanza a capire che il limite non è fissato, e l’oggetto d’indagine è il mondo intero, o i mondi interi, sento Calvino che sussurra dall’alto di una nuvola di smog: ciao, tribali!
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