Arte
Ferrara: Arrigo Minerbi, il “vero ideale” tra liberty e classicismo
Arrigo Minerbi: il “vero ideale” tra liberty e classicismo, dall’8 luglio al 26 dicembre 2023 al Castello Estense di Ferrara, la prima retrospettiva sullo scultore prediletto di Gabriele D’Annunzio.
La mia arte, frutto sempre di meditazione, ha solo le apparenze del vero.
In sostanza è invece un “vero ideale”, lontanissimo dalla carne che è disfacimento.
Senza voler fare un gioco di parole, potrei dire che il mio “vero” è sempre “allegorico”,
e la mia allegoria è sempre veduta e goduta dal vero.
Arrigo Minerbi
Scultore prediletto da Gabriele d’Annunzio, «spirito nervoso, agile, moderno» capace di farsi interprete delle tendenze liberty e del classicismo novecentesco, il ferrarese Arrigo Minerbi ha conosciuto negli anni Venti e Trenta del Novecento una grande notorietà, tanto da essere annoverato dalla critica «tra i maggiori del nostro tempo», «per altezza d’ispirazione, potenza creativa e sapienza tecnica».
Nella seconda metà del Novecento il classicismo idealizzato e antimoderno della sua produzione matura ha perso però di interesse e la sua fortuna si è eclissata confinando nell’ombra la sua produzione.
Questa mostra, nata da un’idea di Vittorio Sgarbi, curata da Chiara Vorrasi e organizzata dalla Fondazione Ferrara Arte e dal Servizio Musei d’Arte del Comune di Ferrara, ripercorre per la prima volta l’intero arco della produzione di Minerbi ricollocandolo nel contesto artistico italiano di primo Novecento. L’opera dello scultore ferrarese testimonia un temperamento originale ma perfettamente radicato nel dibattito artistico che ha accompagnato il passaggio dal modernismo con declinazioni simboliste di inizio secolo al ritorno alla tradizione maturato dopo la prima guerra mondiale, fino al classicismo monumentale dominante negli anni Trenta.
Questa parabola viene evocata attraverso una ricca selezione di sculture a cui sono accostate opere pittoriche e plastiche di maestri italiani tra simbolismo, realismo magico e classicismo (tra i quali Gaetano Previati, Leonardo Bistolfi, Adolfo Wildt, Galileo Chini, Ercole Drei, Felice Casorati, Ubaldo Oppi, Mario Sironi, Antonio Maraini, Achille Funi).
Le ricerche condotte in preparazione della rassegna hanno infatti permesso di constatare contatti diretti o tangenze con alcuni dei maggiori protagonisti dell’arte e della cultura del suo tempo. Per evidenziare questa rete di intersezioni, l’esposizione si sviluppa in capitoli tematici che rileggono alcuni temi della stagione artistica di primo Novecento: le arti decorative, il mito dell’eroe, il modello antico, l’arte pubblica, il ritratto tra spontaneità e idealizzazione, il rinnovamento dell’iconografia del sacro.
Grazie ai prestiti concessi da importanti musei e collezioni private, la mostra riunisce in Castello Estense circa 80 opere pittoriche e scultoree di formato anche monumentale. La presenza di lavori in gesso, marmo, pietra, bronzo e terracotta, e il confronto tra bozzetti, modelli, opere finite e calchi consente al visitatore di accostarsi al modus operandi dell’autore e al trattamento virtuosistico dei materiali capace di farsi interprete della sintesi lineare delle secessioni, o di emulare il nitore formale dei maestri del Rinascimento con un originale naturalismo purista.Tra gli obiettivi del progetto vi è la valorizzazione del patrimonio delle Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea di Ferrara: la mostra consente al pubblico di ammirare una selezione del vasto fondo di opere di Minerbi custodito nelle raccolte civiche museali – in parte inedito – costituitosi con la donazione dell’artista nel 1953 e altri lasciti, che è stato al centro di un’estesa campagna di studio e restauro grazie al patrocinio della Regione Emilia-Romagna.
La mostra è infine un’occasione per riscoprire gli interventi minerbiani disseminati per la città di Ferrara, tra le quali si ricordano opere pubbliche come la Vittoria del Piave nella Torre della Vittoria (1924) e il gruppo allegorico Il Po e i suoi affluenti della fontana dell’Acquedotto (1932), o le affascinanti testimonianze della produzione legata alla committenza privata, da villa Melchiorri in viale Cavour (1904), al monumento funebre di Pico Cavalieri presso il Cimitero Ebraico (1923) che è stato appena restaurato a cura del Comune di Ferrara in collaborazione con il Ministero della Cultura-Direzione Generale Archeologia Belle Arti e Paesaggio e la Comunità Ebraica.
Arrigo Minerbi (Ferrara, 1881 – Padova, 1960) si formò nella scuola d’arte della sua città e, nel 1902, si iscrisse all’Accademia di Belle Arti di Firenze, coltivando lo studio della ceramica e della decorazione, quindi si stabilì a Genova dove rimase fino allo scoppio della prima guerra mondiale. L’iniziale orientamento simbolista è frutto di un’intelligente riflessione sulle poetiche del secessionismo e del modernismo, sull’esempio di Leonardo Bistolfi e di Galileo Chini. Con loro condivide un interesse per le arti decorative, declinate secondo gli stilemi floreali e l’elegante linearismo del gusto liberty, che costituiscono il suo primo ambito di produzione.
Con il trasferimento a Milano, dopo la prima guerra mondiale, Minerbi si accosta alla cifra di Adolfo Wildt soprattutto nell’elaborazione di un’iconografia dell’eroismo patriottico. Nei suoi esiti più originali, la ritrattistica e la produzione a tema sacro e allegorico risentono del clima del realismo magico per la ricerca di essenzialità, la fascinazione per i modelli rinascimentali e la capacità di infondere un’aura sovratemporale al dato reale, in sintonia con le ricerche di Casorati e Funi.
Artista prediletto di Gabriele d’Annunzio, Minerbi approdò nella maturità a un linguaggio purista del tutto peculiare nel nitore delle superfici levigate e nel controllo della composizione. Il suo profondo legame con la tradizione italiana e insieme la ricerca di un equilibrio tra naturalismo e idealizzazione iscrivono il suo lavoro nell’alveo del classicismo di matrice novecentista.
Gli anni Trenta e Quaranta lo vedono impegnato in commissioni pubbliche e private di prestigio, prevalentemente religiose ma anche laiche, come la Maternità degli Istituti clinici Mangiagalli di Milano (1930) o la porta bronzea del duomo di Milano (1936-48). Il classicismo naturalista della sua produzione matura offre un contributo al rinnovamento dell’iconografia del sacro e alla riflessione sull’arte pubblica che si sviluppa negli anni Trenta.
in collaborazione con Ufficio stampa – Comunicazione — Fondazione Ferrara Arte
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