Arte

Fenomenologia dell’Oca, dall’Antico Regno a Milena Gabanelli

3 Novembre 2014

Novembre, il mese dell’Oca e del Vino. Perché “chi non magna l’oca a San Martino – 11 novembre – non fa il becco d’un quattrino!”, recita l’antico detto contadino.  Report di Milena Gabanelli ieri ha inaugurato il mese proprio con un servizio d’inchiesta a cura di Sabrina Giannini sulla spiumatura delle oche e sul processo produttivo che parte per soddisfare la costante richiesta di piumini, giacconi e imbottiture varie, ma noi non parleremo di questo, anche perché il tema  credo sia già stato riportato e sbobinato in altri meandri del web. Nel servizio in questione si parla di ambiente, di diritti mancati sia su animali che su lavoratori, di pratiche illegali tollerate dall’Unione Europea. Noi invece preferiamo andare a monte, e parlare di esoterismo.

Come si può  partire dall’oca e arrivare all’esoterismo? Si può, eccome. Perché l’oca è da millenni un simbolo molto forte, animale dal piumaggio candido, parente del cigno con cui spartisce il ruolo di “messaggera degli dei”. Gli starnazzi delle oche da sempre sono considerati avvertimenti in quanto in questo animale viene riconosciuto il potere di prevedere il futuro. Leggendaria è la vicenda delle Oche del Campidoglio, che salvarono Roma dal saccheggio gallo:

«Stavano già scalando le mura –scrive Tito Livio- quando con grandi strepiti le oche, ben sveglie, destarono il guardiano del Campidoglio, Marco Manlio. Allora Manlio chiamò i soldati romani, che combattendo con grande energia respinsero i Galli: così il Campidoglio fu liberato dal pericolo dei barbari, e Roma fu salvata dagli strepiti delle oche.»

Anche per questo la principale funzione di questo animale era proprio la vigilanza, ed è per questo che sia presso i Greci che presso i Romani le oche venivano allevate e tenute a custodia della casa, venivano ricondotte alla sacralità di Era e di Giunone ma anche a quella di Persefone (chiamata Proserpina a Roma), regina dell’oltretomba. Un ruolo ieratico tra vita e morte, tra terreno e divino, quello dell’oca, che va a richiamare l’archetipo della Grande Madre, quella divinità femminile primordiale da cui secondo alcune teorie sarebbe nato tutto. Basti pensare che secondo la mitologia greca la ninfa Nemesi per sfuggire alla corte di Zeus si trasformò proprio in un’oca: fu allora che Zeus, trasformatosi in cigno, riuscì ugualmente a conquistarla. Dunque l’oca rappresenta la Terra stessa, un po’ come ci dimostrano gli egizi che, ancor prima di romani e greci, avevano incarnato in questo volatile l’origine di ogni cosa: la teoria cosmogonica dell’uovo primordiale, propria di molte culture dell’antichità, in Egitto riconduceva a un uovo di oca dal quale nacque il dio Ra, il Sole, colui che dà energia e vita al mondo.

Al museo egizio del Cairo possiamo riscontrare l’importanza di questo animale soffermandoci su quello che con ogni probabilità è il dipinto più antico della storia dell’uomo, datato approssimativamente a circa 4600 anni fa, “le Oche di Meidum”. Innanzitutto non è un affresco ma un dipinto eseguito con minerali su stucco, che era tecnica assai rara per quei tempi: scoperto nel 1871 dall’egittologo francese Auguste-Édouard Mariette nella mastaba di Nefermaat (figlio del faraone Snefru) e della sua consorte Atet, risalente all’Antico Regno , raffigura sei oche “divise” specularmente in due gruppi di tre e secondo l’interpretazione più accreditata è un’opera dell’Antico Regno che va a indicare la divisione tra Alto e Basso Egitto, tant’è che non si troveranno più immagini di oca su tombe e templi di epoca successiva. L’originale è a Il Cairo, una copia la si può trovare al British Museum.

Singolare come anche da un punto di vista numerico le tradizioni delle varie culture giochino a incastrarsi e rincorrersi: nel mito di Persefone (a cui l’oca era sacra) la ragazza diventa regina degli Inferi dopo aver mangiato sei chicchi di melograno nell’Ade (chi mangiava frutta negli Inferi era condannato a restarvici), e solo per gentile intercessione di Zeus fu consentito alla fanciulla di trascorrere sei mesi all’anno nell’Ade e sei mesi all’anno sulla terra. Il numero sei e la divisione in due. Proprio come le Oche di Meidum.

Oltretutto in Egitto la dea Iside era figlia del dio Geb, che spesso viene rappresentato con un’oca. Fu per questo forse che Iside veniva considerata “uovo dell’oca” (genesi di tutto), al pari di Amon-Ra.  All’Antico Regno inoltre è associato un gioco chiamato “Mehen” o “gioco del Serpente arrotolato”,   in cui tre pedine a forma di leone e tre a forma di cane si sfidavano con dadi lungo un percorso pieno di imprevisti, in cui si poteva anche indietreggiare, oltre che avanzare. Tra il gioco e il rituale, citato nel Libro dei Morti,  il mehen poteva venire utilizzato non solo a scopo ludico, ma anche per celebrazioni mistiche di trasmigrazione dell’anima (Mehen è infatti il Serpente che protegge Amon Ra durante il viaggio nell’Oltretomba). La cosa però più curiosa è proprio l’assoluta somiglianza con il nostro Gioco dell’Oca, inizialmente chiamato “Giardino dell’Oca”, dove l’obiettivo è portare la propria pedina alla casella finale in cui viene raffigurata l’oca in una condizione di beatitudine.

Sul percorso verso casa, verso i giorni nostri, riscontriamo come in molte novelle europee, russe in particolare, c’è un parallelismo insistente tra l’oca e la fata: questo ci riporta indietro ai miti celtici, dove la figura di fata-oca rappresenta l’archetipo di Grande Madre in una immagine che ci porta a un concetto di Natura femminile quasi leopardiano, laddove l’oca però era “messaggera dell’aldilà” e accompagnava i pellegrini al santuario. Interessante a questo proposito la storia del cammino di Santiago di Compostela, ex santuario celtico: diverse teorie attesterebbero che la famosa conchiglia di San Giacomo in origine altro non era che una raffigurazione di zampa palmata. Celebre anche una copertina di un Topolino della Disney datato 1937 e intitolato “La Fata e l’Oca”.

Insomma tutto per dire che il giornalismo d’inchiesta spesso si ferma a illuminare piccoli anfratti di realtà, lasciando il buio su tutto un contesto che arricchirebbe il racconto  di spunti interessanti per comprendere molte più cose rispetto al fatto che si spiumino oche in Ungheria, che si comprino piumini o che si mangi l’oca a San Martino, santo ex guerriero dalle origini (guardacaso) ungheresi. Ogni evento può essere pretesto di conoscenza globale, e non esclusivamente funzionale. Questo per comprendere meglio chi siamo, a che punto siamo e dove stiamo andando, possibilmente avanzando di casella in casella e senza mai indietreggiare, anche perché non sarà certo un amministratore delegato della Moncler, a spiegarcelo.

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