Arte

Dentro e fuori. Quadri di un’esposizione riservata

15 Dicembre 2020

Edoardo Brotto è alla sua seconda pubblicazione per l’etichetta Velut Luna coll’album Within & Without – Homage to Rakhmaninov, dopo l’entusiasmante Landscapes dell’anno scorso.

L’artista, nel fulgore e nell’energia dei suoi venti anni, continua a stupirci per l’inventiva e la travolgente vitalità che esprime nelle sue opere, un flusso inesauribile di temi e di atmosfere – come già in Landscapes – dentro e fuori, come suggerisce il titolo del suo nuovo album.

D’altro canto ascoltando la sua musica ciò che si sente dentro e fuori è notevole. Perché la musica di Brotto è un continuo entrare e uscire da qualcosa, lui si muove in una dimensione altra, e le suggestioni che provengono da quest’attività cinetica incantano l’ascoltatore. L’abilità descrittiva di questo autore-pianista è tale che, come succedeva per Landscapes, i brani di Within & Without risultano essere i quadri di un’esposizione moderna con un’aura dall’aroma démodé, dove è possibile vedere, quasi toccare, essere invasi dalle immagini sonore che il pianoforte proietta. La visione, che trasporta in tutte le direzioni, è spesso una visione dall’alto, come se si fosse su un drone in ricognizione sulle Alpi così amate da Brotto, deificate nelle sue belle foto notturne in solitaria, a riferire una comunione dell’uomo e dell’artista col tutto che ci circonda. E la notte è il tempo del mistero, della riflessione, del sogno.

Ma non solo. Edoardo Brotto, schivo ma con una vita interiore che definire opulenta è riduttivo, così come riduttivo risulta trovare un aggettivo per classificare il suo incredibile virtuosismo tecnico, è il modello del compositore puro, non legato a criteri commerciali che banalizzerebbero l’altissimo livello della sua opera. Gli invidiosi potrebbero interpretarla come superbia, ma l’ascoltatore che si lascia travolgere dal vortice dell’arte segue senza indugio le innumerevoli suggestioni che Edoardo diffonde come le briciole di Pollicino. O, forse, è più simile al pifferaio di Hamelin che, come i bambini incantati dal suo suono, ci invita a seguirlo nel suo mondo fantastico. D’altro canto quale compositore non mette gelosamente per iscritto le sue idee, le annota sul pentagramma per poi rigovernarle e riassemblarle? Edoardo Brotto invece no, i suoi archivi di idee stanno tutti nella sua scatola cranica, accrescendo il suo mistero e stupendo chi viene a conoscenza di questa singolare maniera di comporre, fragile per la fragilità dell’essere umano e inestimabile proprio per questa qualità.

Lo abbiamo intervistato a distanza, purtroppo, viste le attuali difficoltà degli spostamenti, per farci raccontare qualcosa del significato di questo nuovo e scintillante album, dentro e fuori, e scoprirne, almeno in parte, i suoi misteri.

Buongiorno Edoardo, una piccola curiosità. Da dove esci fuori? Non sei un nome che si legge spesso nelle locandine delle stagioni concertistiche. E, devo aggiungere, lo considero un vero peccato.

Buongiorno Massimo, ho un classico diploma in pianoforte al Conservatorio e un master in musica conseguito al Conservatorio Reale di Bruxelles. Non amo suonare in pubblico, preferisco di gran lunga la quiete e la concentrazione che solo uno studio di registrazione può offrire. Mi sento a mio agio di fronte al grancoda e ai microfoni. La registrazione permette di pensare e programmare le esecuzioni con il dovuto tempo e raziocinio che, a sua volta, permette di organizzare al meglio l’aspetto emotivo che ogni brano richiede.

La tua composizione è una dimostrazione di linguaggi interattivi. Anche se può sembrare obsoleto in un mondo musicale spesso completamente astratto e distante, i tuoi brani sono intensamente descrittivi e comunicativi. Il movimento sembra essere la spina dorsale di ogni pezzo e la danza si percepisce a ogni battuta. So che può apparire una domanda insulsa ma qual è il tuo mondo immaginifico quando componi? Può essere interessante per comprendere meglio il tuo processo creativo, cosa c’è dietro e cosa può esserci oltre.
I miei mondi sono molteplici e variegati, ho grande immaginazione, potrei definirmi un sognatore.  Quando entro in sintonia con la musica e col suono dello strumento, le melodie si creano da sole. A volte sono ispirate da un’immagine precisa, che sia di fantasia o di natura, altre volte invece, è la musica stessa ad alimentare la creazione di altra musica. La mia mente viaggia e si abbevera da scenari fantastici, poi trasformati in musica. Difficilissimo da spiegare a parole. Posso però dirti che nel momento in cui si forma un’idea, la fisso e la ripongo in uno dei compartimenti che ho dentro la mente. Una specie di frigorifero di ingredienti. Non scrivo mai la musica, la memorizzo e basta. Quando ritorno al pianoforte, anche svariati mesi dopo (addirittura un anno e mezzo dopo nel caso di Siberian Blizzard), mi basta aprire quel “frigorifero” per creare il piatto. Se al piatto manca qualcosa, ritorna nel suo comparto, congelato, in attesa di nuove idee. Le idee stesse, una volta fissate, sono come tessere di un puzzle. Mi è sufficiente metterle insieme utilizzando un processo logico ben preciso. Questa è la parte più facile, ma anche la più lunga e la più delicata di tutte. Un tempo infatti, e qui mi riferisco anche a Landscapes, ero più frettoloso e meno preciso. Con la creazione di Within & Without invece, ho messo da parte la fretta a favore della precisione e della ricerca del più minuto dettaglio.

Rakhmaninov è l’autore a cui più sembri affezionato e che ti ispira maggiormente, anche se le essenze di altri autori come Ravel o Chopin non ti sono estranee. Potresti illustrarci il perché di questa devozione al maestro?
Esiste l’amore in musica? Per me sì. Rakhmaninov l’ho scoperto da solo, durante l’adolescenza. Mi ha fulminato. Riesci a immaginare la perfetta combinazione e sincronismo di due ingranaggi? Ecco, la sua musica si combina perfettamente con il mio essere. Da ciò nasce questa devozione assoluta al grande Maestro. Potrei parlarne per ore ma preferisco lasciare che sia questo disco a raccontare un po’ di questa passione.

Within & Without, dentro e fuori. Da cosa esattamente?
Da tutto e da niente. Amore e odio. Logica ed emozione. Bianchi e neri. Creatività fluente e quiete assordante. Questo album è caratterizzato da musica che presenta contrasti forti, momenti di gioia pura contrapposti a momenti di grande drammaticità. Ma anche danze eleganti e danze selvagge. Melodie sinuose e accordi travolgenti. I brani descrivono me, il mio pensiero e la mia creatività, che si nutre dall’interno e dall’esterno. Within & Without.

La natura sembra essere l’elemento primordiale dove tu ti immergi pienamente e da quella dimensione sei come il sacerdote che ne interpreta i segni per mostrarli all’uditorio. Siberian Blizzard, brano del tuo nuovo album, per esempio, esprime tutto il gelo possibile di una tormenta siberiana. Ce ne vuoi parlare?
Ci sono affezionato a Siberian. Io lo chiamo anche “The Edd minor” perché in inglese, il mi bemolle minore si scrive Eb, come le mie iniziali. È stata una bella sfida. Come anticipato prima, è nato quasi due anni fa. I primi quattro minuti del brano li ho composti in pochissimo tempo. Poi il vuoto più totale. O meglio, il brano poteva finire lì e rimanere un semplice Étude, ma sentivo che c’era qualcosa di più. Meritava altro. Solo che quel qualcos’altro, un desiderio musicale indefinito, tardava ad arrivare. Io non mi arrendo mai, però ho dovuto mettere in frigo il brano per un bel po’ finché, durante il febbraio di quest’anno, merito della pace e quiete assoluta dovuta al primo lockdown, è nato tutto il resto. Periodo di creatività fluente che ha dato vita anche a The Devil in Love. Sono state le immagini delle Dolomiti innevate, immagini ripescate nei ricordi e nelle fotografie, che hanno accompagnato la composizione del brano. Avendo vissuto in prima persona cosa significa essere in una tormenta di neve con venti superiori ai 100 km/h, a 3000 metri di quota, tali sensazioni si sono tradotte in musica, al momento giusto. Il titolo poi, non poteva che essere Siberian Blizzard.

L’amour, l’amour… Gloomy Sparks. Un superbo pas de deux di due amanti opposti che s’incontrano per caso e, forse, almeno fino a un certo punto, complementari. C’è una corrispondenza nella vita reale?
No, nessuna corrispondenza. È stato, ancora una volta, tutto un film creato nella mia mente. È un brano nato da un’idea musicale pura, che in questo caso corrisponde proprio all’inizio: mai mi capita di comporre linearmente dall’inizio alla fine; normalmente è tutto un susseguirsi di idee selvagge e capricciose. Il resto del brano si è sviluppato rapidamente, grazie ad ispirazioni reali, non più di fantasia. Sono poi queste ultime ispirazioni che hanno dato vita a quel pas de deux e che hanno trasformato il brano in un valzer. La logica poi ha messo insieme le due idee portanti, le ha mescolate a dovere fino a formare un’unione tra le due, dando vita a Gloomy Sparks. Come nel Waltz of the Fairies, Il Valzer delle Fate, qui la fantasia vola, anche all’ascolto, almeno spero.

Farewell my Dreams. Quali sono i sogni a cui si dice addio?
Possono essere i più svariati, penso che ognuno abbia i suoi. Nel mio caso, qui mi sbottono un po’, sarebbe stato un addio al pianoforte e alla musica. Era un periodo difficile. Volevo addirittura vendere lo strumento, pensa un po’. Per fortuna non l’ho fatto.

The Devil in Love. Il diavolo ricorre spesso nelle tue opere. E, ascoltando i tuoi brani, in effetti, l’ascoltatore potrebbe essere indotto a pensare che ci sia un aspetto piacevolmente demoniaco in te. Come te lo immagini il diavolo?
Ah, The Devil in Love. Il mio lavoro più folle e anche il mio preferito, forse. Penso sia la mia perfetta descrizione, in note ovviamente. Ha dentro tutto ciò che amo di più al pianoforte: armonie, ritmi, melodie, complessità… È stato il brano che mi sono divertito di più a comporre, in assoluto. Una gioia lavorarci, un vero relax. Sai perché? Perché ero libero, da tutto e da tutti. Conclude l’album perché conclude anche un percorso personale dove sono riuscito a scrollarmi di dosso il generalista “si fa così perché” che ci accompagna dal primo all’ultimo giorno della nostra vita. Un po’ come il diavolo, non rende conto a nessuno, se ne frega di tutti, fa il suo gioco. Per me questa è la musica, quella che è frutto di un pensiero vero e puro, intonso. Nel momento in cui si insinua un condizionamento esterno, vuoi per dogmi, vuoi per regole, vuoi per commissioni o qualsiasi altra cosa, ecco che l’arte in realtà viene pilotata non più da una creatività libera, ma imbrigliata da linee guida più o meno ferree. Il diavolo, tornando alla tua domanda, se penso a questo brano, me lo immagino un gentleman. Affascinante, brillante, danzante, diabolico, divertentissimo, che fa una strage di cuori. E la ragazza dagli occhi blu, ci casca alla grande. Poi il diavolo è il diavolo, ne combina un’altra delle sue e arrivederci. Sai qual è una curiosità, una delle tante, di questo brano? Che il finale, che chiude non solo il brano ma il disco intero, è una finezza un po’ nascosta, per chi la nota, è un omaggio e citazione del tema della seconda sonata di Rakhmaninov. Pensa te. Diabolico.

La fotografia è un’altra delle tue tante facce. Ti va di parlarcene?
Semplicemente una passione che però, come tutto ciò che faccio o che ho intenzione di fare, cerco di farla al meglio. Quindi anche lì mi interessa la precisione, la ricerca della composizione ideale che varia molto in funzione del luogo e del tempo, anche atmosferico, ovviamente, le linee guida, la costruzione di una certa dinamicità, la ricerca della luce fantastica. Il click, ancora una volta, arriva solamente dopo un lavoro mentale di studio e pianificazione. Per questo, pur fotografando in digitale, scatto pochissimo. Sono appassionato di paesaggi e considero, all’atto pratico, solo la luce che va dal tramonto all’alba. Ho fatto qualche pazzia tipo arrampicare in solitaria e passare la notte su una vetta solo per vedere le stelle, niente tenda niente sacco a pelo. E altre cose così. Ora sono rinsavito. Ma diamine, ne è valsa la pena!

L’ingegneria e la matematica, altra faccia del poliedrico Edoardo Brotto. Cosa lega tutto?
La logica lega tutto. E la logica è la base sulla quale si fonda la matematica, che è il linguaggio universale di tutte le scienze, le sue applicazioni sono le più svariate, spesso inimmaginabili. Si pensi agli spazi di Hilbert grazie ai quali si possono rappresentare gli stati fisici nella meccanica quantistica. Seguo con passione tutti gli eventi e le notizie riguardo la teoria M, le mie uniche letture da una decina d’anni a questa parte vertono esclusivamente su libri di fisica e astrofisica, Penrose, Greene, Hawking… La matematica mi piace, e pure la fisica. Avevo anche pensato di studiare una o l’altra all’università, poi alla fine ho scelto di laurearmi in ingegneria. Con l’ingegneria, più di tutto, al di là della forma mentis, ho imparato a gestire il tempo, cosa assai fondamentale se in parallelo si ha una carriera nella musica.

Si racconta che Maurice Ravel soleva dire che finché la musica di Hugo Wolf non fosse diventata una consuetudine nelle sale da concerto il mondo sarebbe rimasto primitivo. Significa che viviamo nella barbarie, certo, perché Wolf  continua a essere Cenerentola, raramente invitata alla festa. Io avanzerei l’idea che oggi una sala da concerto dove Edoardo Brotto, hapax nel panorama italiano, non si esibisca colla sua musica, sebbene lui proclami di rifuggirne, è ben sguarnita.
Salutiamo Edoardo Brotto, ringraziandolo per la sua disponibilità e suggeriamo il suo ultimo album Within & Without come strenna natalizia in questo mondo immobilizzato da un virus nefando. Potrebbe essere una bella colonna sonora per riempire questi giorni invernali di clausura e riflettere che la vita pulsa sempre e riesce a produrre meraviglie.

http://www.edoardobrotto.com/within-and-without.html

Forse, ricercare le risposte nella musica e nell’arte potrebbe essere un viatico per la fine dei tempi, o, meglio, di certi tempi e anche le riflessioni di questo strepitoso pianista-compositore possono indicare vie nuove non solo all’ascolto, ma anche a una diversa e sfaccettata visione della realtà.

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