Arte

“Cinema Panopticum”, un grande classico di Thomas Ott

21 Novembre 2019

È scontato, lo so, ma non ci sono altre parole per definire Cinema Panopticum di Thomas Ott se non una delle più abusate di sempre: capolavoro. In questo caso non se ne può veramente fare a meno, in quanto il lavoro in questione è senza ombra di dubbio una delle più intense opere grafiche degli ultimi venti anni.

La storia raccontata è quella essenziale di una ragazzina che, con pochi spiccioli da spendere, recatasi in un luna park dove ogni attrazione ha un costo superiore al denaro a sua disposizione, trova in un piccolo tendone l’unica possibilità per poter utilizzare i pochi soldi nella speranza di soddisfare la sua smania di divertimento: cinque schermi che permettono ognuno la visione di brevi filmati. È il Cinema Panopticum.

Ott è un maestro nel suscitare situazioni perturbanti e mondi oscuri e in questa opera lo dimostra chiaramente; la narrazione è sempre improntata all’ottenimento di una sorta di colpo di scena finale, che fa dell’orrore suscitato il punto di partenza dal quale impostare ogni tipo di riflessione. Le storie che ogni schermo del Panopticum narra sono sempre sospese in una kafkiana atmosfera dove l’ironia, alle volte veramente pungente, diviene la dimensione più inquietante di ogni racconto.

 

 

Una delle più grandi qualità è sicuramente quella di non dare mai spazio a facili interpretazioni e di non fornire mai semplici chiavi di lettura al lettore; anche se in un primo istante potrebbe apparire il contrario, Ott sembra non avere intenzione di definire “realtà” lampanti e fa di tutto per rendere complessa ogni possibile soluzione agli enigmi visivi da lui creati. “È possibile che questi schermi mi stiano raccontando proprio quello che ho visto poco fa?”, sembra chiedersi la ragazzina ogni volta terminata la visione di ognuno dei brevi filmati.

Ma non è solo sul piano della narrazione che Cinema Panopticum si dimostra un grande fumetto: Ott dà prova delle sue enormi qualità anche nella scelta dell’approccio estetico. Il suo stile “sgraffiato”, infatti, amplifica la consistenza delle tavole rendendole quasi materiche. La solidità delle immagini aumenta così il senso di coinvolgimento, provocando un vero e proprio effetto straniante che acquista forza grazie a un potere sinestetico. Inoltre, un certo modo di “tagliare” geometricamente le vignette imprime alla struttura narrativa un procedere che rimanda molto intensamente a quello del montaggio cinematografico.

Perdersi in questa serie di sguardi su una sorta di altrove è talmente entusiasmante che a un certo punto non si sa più se siamo noi che stiamo osservando o l’opera che osserva autonomamente tutto ciò che gli appartiene. È il potere infinito del panoptismo.

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