Arte

Cima e Conegliano, volate, bevute e sacre conversazioni

30 Maggio 2019

Fino a oggi pomeriggio Damiano Cima non aveva neanche una voce su Wikipedia, versione italiana. Marco Pastonesi lo aveva incontrato il febbraio scorso, in Turchia, al Tour of Antalya, e gli aveva tirato fuori non molte parole, ma quelle poche di mai banale sensibilità.

Ammette di essere un tipo sensibile, Damiano. Gli piace il mestiere che fa, che gli fa girare il mondo, dalla Cina al Colorado, dalla Turchia all’Argentina, e poi mezza Europa, Spagna e Slovenia, Belgio e Inghilterra, ma che non gli lascia molto tempo per pensare, per guardarsi intorno, a guardare il mondo che gli scappa ai fianchi mentre corre nel gruppo. Ché basta un attimo e fai disastri, se ti distrai troppo. Peccato, sembra pensare.
E’ la stessa sensibilità che quando si allena sulle salite familiari della Maddalena o del Serle, intorno a Brescia, gli dice, senza bisogno che a farlo siano i watt registrati da ciclocomputer, se la gamba è buona o fatica. La stessa che gli fa presentire le cadute, e lui di cicatrici sotto la maglia ne potrebbe mostrare tante.

Cima sostiene però che la sensibilità è anche il suo tallone d’Achille. Sapere di essere troppo esposto alle emozioni lo rende nervoso e il nervosismo significa spreco di energie. Cerca allora di trovare riparo negli affetti, la famiglia, quella vera, bresciana, anzi gardesana, di Lonato. Il nonno di Damiano aveva messo in piedi una squadra di dilettanti, poi la passione per il ciclismo si è trasmessa al padre, e da lui a Damiano e al fratello, che forse non è un caso se si chiama Imerio.

Ma per Damiano la famiglia è anche quella del gruppo e nel gruppo si trova bene. Non si direbbe, a guardare il Cima di questo Giro, sempre in fuga, sempre a scappare via dalla pancia della corsa. Ci ha provato tante volte nelle tappe precedenti, e ci ha provato anche oggi, in questa tappa lunga e tutta – o quasi tutta – in discesa, dalle montagne alla pianura, dalle Dolomiti all’Adriatico.

Erano solo in tre: con Cima, Mirko Maestri e Niko Denz. Fuga lunghissima e che mai ha raggiunto vantaggi a doppia cifra. Era l’ultima occasione per i velocisti per aggiudicarsi una tappa e difficilmente se la sarebbero lasciata scappare. Il count-down è iniziato a una ventina di chilometri dall’arrivo, quando il gruppo ha iniziato a rosicchiare il vantaggio al terzetto. Gli ultimi chilometri sono stati un batticuore. I tre ai 500 m sembravano ormai risucchiati dall’aspirapolvere ma Damiano Cima, mentre gli altri due mollavano, ha tirato dritto senza voltarsi ed è arrivato di un soffio a tagliare il traguardo prima della muta degli inseguitori, incattiviti per il vano sforzo in extremis.

Damiano Cima vittorioso sul traguardo di Santa Maria di Sala

Per il gruppo che inseguiva, beffardo è stato il traguardo di Santa Maria di Sala. Qui, nel 1918, è infatti nato uno dei più grandi “ciclisti inseguitori” di tutti i tempi, Toni Bevilacqua, detto Labron. Toni dal 1947 al 1953 due ori, due argenti e due bronzi ai Mondiali dell’inseguimento su pista. E oggi, forse, nell’arte della caccia al fuggitivo, avrebbe saputo fare di meglio. Ma è anche vero che dal 1946 al 1952 vinse undici tappe al Giro d’Italia, mettendo a profitto la sua capacità di potente finisseur, che sapeva anticipare le volate del gruppo. Un po’ quello che oggi, Damiano Cima, partendo da molto lontano, è riuscito a sopresa a realizzare. Prima di oggi aveva vinto solo per due volte, e in terre molto lontane dall’Italia: nel settembre del 2018, al Tour of Xingtai – dove ha vinto anche la classifica generale – e al Tour of China.

Toni Bevilacqua, da Santa Maria di Sala

China chiama Cima. Ma Cima chiama anche Cima da Conegliano. A Conegliano, 50 km dal traguardo, chissà a cosa avranno pensato i tre fuggitivi. Se cominciavano a sperare che l’attacco di giornata potesse essere qualcosa di più di una avventura coraggiosa, ma a tempo determinato, o se dovevano lottare contro la tentazione di tirar giù un attimo a farsi un goto de Prosecco. E chissà che a Cima, ciclista sensibile, passando da proprio da Conegliano, non gli sia apparsa una Madonna con bambino, con annessi angeli e santi, o che, in una Sacra conversazione, una Sant’Elena che gli abbia sussurrato “in hoc signo vinces“.

Cima da Conegliano, Sant’Elena (1498), National Gallery of Art, Washington
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