Arte
Chiara Frugoni: Il Natale di Bergoglio segue davvero le orme di Francesco?
È un libro prezioso (oltre 600 pagine riccamente illustrate) l’ultimo lavoro di Chiara Frugoni, Quale Francesco? (EInaudi, 2015). Un libro prezioso perché frutto di un lavoro trentennale più unico che raro capace di unire divulgazione a ricerca scientifica in un connubio inscindibile nel solco tipico dei grandi maestri della storiografia del Novecento. Il risultato è dunque un volume capace di assolvere a quel dettame sociale che vuole la ricerca e lo studio al servizio del miglioramento della qualità della vita di una comunità. Chiara Frugoni seppure appartata da sempre rappresenta in Italia una qualità civile della ricerca storiografica, figlia del grande medievalista Arsenio Frugoni, Chiara ha insegnato presso la Normale di Pisa e successivamente presso l’Università di Tor Vergata. Il centro della ricerca di Chiara Frugoni è la figura di Francesco d’Assisi del quale ad oggi è la massima esperta. Da Vita di un uomo: Francesco d’Assisi fino a questo ultimo lavoro – con felici escursioni anche nella letteratura per ragazzi in cui con la complicità dell’illustratore Felice Feltracco ha dato alle stampe tra volumi (l’ultimo La storia della libellula coraggiosa, Feltrinelli, 2015) – Chiara Frugoni ha rivelato una qualità narrativa non banale ed un polso sempre vivo sui fatti e i temi cruciali del nostro tempo.
Quale Francesco? tenta di porre risposta alla domanda che sta tra l’umiltà di Francesco e la sua figura esaltata nel trionfale affresco di Giotto nella Basilica Superiore di Assisi. Qui Chiara Frugoni compie un doppio passo (davvero straordinario) da medievalista e da storica dell’arte lavorando su due piani con estrema premura e grande competenza. Quale Francesco? è un libro totale che riporta una certa saggistica di qualità in un territorio sociale, potremmo dire di comunità da cui troppe volte in genere si allontana per eccesso di accademismo. Un libro che è un testo di letteratura dalla scrittura seducente e raffinata, ma che contiene al suo interno altri due testi di saggistica: uno di storia e uno d’arte. Una complessità priva di cuciture in cui tutto è perfettamente uniforme e ben congegnato proprio perché figlio di un’etica e di uno sguardo che non si accontenta di stimolare gli specialisti o all’opposto di rassicurare il conformismo della chiacchiera domenicale, ma avanza proposte di sguardo e di analisi provando a coinvolgere un pubblico che sia non solo lettore/spettatore, ma attore consapevole di un patrimonio storico artistico che riguarda da sempre chiunque di noi.
In questi giorni che precedono un Natale un po’ confuso tra una presunta crescita economica (in ogni caso deboluccia, a dire il vero) che dovrebbe portare tranquillità e buone prospettive future e un’angoscia crescente attorno ad un mondo globale che pare sempre più ingovernabile tra crisi politiche, terrorismo e rischi ambientali, abbiamo incontrato Chiara Frugoni ponendole qualche domanda attorno a questo tempo tanto insicuro e incerto quanto bisognoso di affetti sinceri e di riflessioni pacate e profonde.
«Da bambina ho abitato a Brescia dove i regali li portava e li porta tutt’ora santa Lucia con un asinello volante, precedendo il suo arrivo con un campanellino. Era emozionante sentire tutta la città risuonare nel buio in un tintinnio che faceva precipitare a letto il mio fratellino ed io perché nessuno doveva vedere la santa, che avrebbe altrimenti posato cenere sui nostri occhi. Avevamo preparato per lei un caffè caldo e un dolce di fieno per l’asinello e la farina (che al mattino trovavamo rovesciata e segnata dalle orme del ferro di cavallo). Sul tavolo in mezzo ai doni, ai mandarini (i primi) alle noci e ai confetti avvolti in carta velina colorata, c’era sempre la lettera scritta con inchiostro d’oro dalla santa Lucia che rispondeva alla nostra letterina, spiegando perché non aveva (spesso) potuto accontentarci. Erano gli anni del dopo-guerra e la povertà toccava anche la santa».
«A Natale non c’erano doni e non facevamo l’albero. Costruivamo il presepio, andando a cogliere il muschio e cercando ogni anno di variarlo con specchietti che fingevano un lago e casette che avevamo in precedenza costruito. Finito il presepio non si esauriva però l’attenzione al Natale perché ogni sera facevamo lentamente avvicinare i re Magi lontanissimi e rovesciavamo sul muschio le pecorine e i pastori perché dormissero, risvegliandoli nella loro posizione abituale al mattino. Quindi era il presepio che continuava a parlava della nascita del Bambino, a renderci impazienti per la culla ancora vuota. Anzi l’intera capanna era deserta e anche Maria e Giuseppe erano in viaggio fra rocce e alberelli per prendere possesso della loro capanna solo la notte di Natale, giusto in tempo per riempire la culla di paglia e la mangiatoia di fieno. Anche la cometa si spostava sulle rocce di carta accartocciata e ci teneva occupati fino all’Epifania. Dunque per noi bambini il Natale era una lunga attesa in un’atmosfera di piccole soddisfazioni intorno al nostro presepio. La notte di Natale andavamo alla messa di mezzanotte e al ritorno ci aspettava una cioccolata bollente, anche quella accarezzata nel pensiero nella gelida chiesa. Crescendo, il Natale si è mischiato al Natale vissuto dagli altri finché sono ora i nipoti che fanno il presepio, in altro modo e con altri mezzi. Dovrei parlare di come si sono trasformate le famiglie, delle persone scomparse. Mi fermo qui».
Quale pensa sia il giusto modo perché il Natale possa essere vissuto trasversalmente da una società moderna come è nei fatti quella italiana?
Io ritengo che il Natale per dei bambini debba essere un racconto, un racconto che deve incantare. Non vedo perché debba ferire chi ascolta se è di religione diversa tanto più che Maria e Cristo sono presenti nella religione musulmana e in maniera positiva, anche se Cristo è presentato come un profeta. Penso che stia alla sensibilità dell’insegnante trovare il tono giusto per lasciare lo spazio di credere o di non credere che tutto sia accaduto veramente così. Del resto quanti dei genitori cattolici si pongono il problema di parlare o no del bue e dell’asinello che sono ignorati dai Vangeli canonici, quelli che la Chiesa ritiene ispirati da Dio e che compaiono solo nei Vangeli apocrifi, quelli cioè che la Chiesa non ha mai riconosciuto come scritti dai quattro evangelisti?
Esiste un Natale laico contrapposto ad un Natale religioso?
Il consumismo sfrenato, il traffico impazzito, l’attenzione ossessiva al pranzo e ai pranzi di Natale (i giornali dedicano pagine e pagine alle ricette e alle tradizioni regionali e ai cuochi stellati) costituiscono per me il Natale laico dove c’è però anche la gioia di donare e fare felici i propri cari e la speranza di essere da loro, in contraccambio, gratificati. Mi sembra che il pensiero verso chi nulla possiede o verso che passerà il Natale come un altro giorno atroce, sotto le bombe, nella miseria o nella sofferenza delle malattie sia oggi atrofizzato e lasciato in carico a chi vive il Natale andando in chiesa. Quale traccia lascino le parole del sacerdote non so.
Il Natale può essere l’occasione di restituire forma ad un sentimento di comunità?
Lo spero. Il Natale riunisce le famiglie, favorisce gli incontri fra amici. Nella mia vita e finché i miei figli sono stati in casa pranzavamo ogni giorno insieme, abitando in una città dove questo era possibile. Io vivo come una ferita il fatto che invece oggi a pranzo ognuno pranzi da solo, da solo con altri, e che dunque lo scambio di pensieri e di riflessioni in famiglia si riduca alla sera, quando si è stanchi e ci sono anche tante informazioni da scambiare. Poi c’è la televisione alla quale è difficile sfuggire. Certamente a Natale si sta più insieme. Forse si riesce a pensare quanto sarebbe bello vedersi a pranzo non solo a Natale.
Penso che anche la scuola potrebbe fare molto nello stimolare considerazioni e riflessioni su quello che accade intorno a noi, nel proporre uno sguardo fresco, interessato, all’interno di noi stessi e sul mondo. Sono invece molto contraria alla continua presenza della televisione la cui voce, le cui immagini ci addormentano, ci abituano alle atrocità e ci fanno diventare insensibili e passivi. We do’nt care, non sono problemi nostri i bambini annegati e via dicendo.
La religione in un’epoca di turbo capitalismo può tornare ad essere il centro delle speranze e delle prospettive di un popolo globalizzato?
La religione può tornare ad essere il centro delle speranze e delle prospettive di un popolo globalizzato se si è religiosi, se si crede in Dio. Diverso è il discorso di chi non crede che però può comunque vedere in papa Bergoglio un modello e un esempio. La spettacolarizzazione di ogni evento porta, parlando in generale, la gente ad avere bisogno di personaggi da mitizzare, come un tempo erano gli attori cinematografici e come oggi sono spesso i cantanti. Non voglio certo istituire un raffronto con papa Bergoglio. Voglio dire che in genere molte persone possono essere attratte dall’avere un personaggio guida da ammirare. Trattandosi di un papa che ha riportato in primo piano il Vangelo e la necessità di una Chiesa povera penso che una conseguenza benefica sia il potere riflettere sulle sue parole piuttosto che sui calzini di Renzi.
Pensa che l’azione di papa Francesco sia realmente nel solco di Francesco?
Penso che per quanto riguarda l’impegno nel cercare di riformare le strutture della Santa Sede e nel riportare in primo piano il valore di una Chiesa povera e l’importanza del Vangelo il papa sia veramente nel solco di Francesco. Su altri temi che mi sembrano importantissimi, come il ruolo della donna all’interno della Chiesa, con una reale parità di funzioni, il celibato dei preti, la contraccezione, l’accettare che di conseguenza si continui a morire di AIDS, ci siano invece molta, troppa cautela e il freno potente del passato e delle prerogative acquisite. Ma il papa ci ha abituato a molte sorprese e sarò felice di essermi sbagliata.
Sarà Bergoglio in grado di innovare nel profondo la Chiesa?
Dipenderà da vari fattori: dalla sua salute e dalla volontà degli uomini che dovrebbero essere i suoi collaboratori.
Cosa pensa dello scandalo attorno a Vatileaks? Un rigurgito del clero romano?
Mi sembra una storia brutta in tutti i sensi e incomprensibili, alla luce di tante aperture, anche la durezza del papa nei confronti dell’ex sindaco Marino, il non avere impedito un processo dove mancano molte garanzie per gli imputati giornalisti e incredibile la stessa idea di processarli: mi appaiono segnali preoccupanti di una sostanziale sopravvivenza anche nel papa di un’idea autocratica della Chiesa che speravamo fosse del tutto sparita. Ma per tutto ci vuole tempo.
Cosa ci racconta il Natale di Greccio del 1223?
Francesco era stato in Terrasanta durante la quinta crociata ed era stato molto colpito dalla violenza dei crociati che portavano la morte in nome di Cristo. Tornato in patria, nella notte di Natale del 1223, fece celebrare in cima alla montagna di Greccio (in provincia di Rieti), all’aperto, la messa alla presenza del bue e dell’asino, davanti alla greppia piena di fieno. Predicò con grande dolcezza della nascita del “Bimbo di Betlemme”. Voleva rendere visibili – disse – i disagi in cui si era trovato il Bambino Gesù nella grotta di Betlemme per la mancanza delle cose necessarie a un neonato, raccontando come venne posto in una mangiatoia, sul fieno, tra un bue e un asino. Il bue e l’asino non fanno parte, come ho detto, del racconto evangelico ma figurano nei Vangeli apocrifi. Per i padri della Chiesa, ad esempio per sant’Agostino, il bue rappresenta gli ebrei, l’asino i pagani, il fieno, l’ostia che porta la salvezza.
Francesco pensava che gli infedeli (ebrei e musulmani) avrebbero conosciuto Cristo nel tempo, secondo il disegno provvidenziale del Salvatore. La pace è il punto centrale del progetto di Francesco, instancabilmente ricercata per tutta la vita, pace che coincide con l’essenza stessa del Natale: “Pace in terra agli uomini di buona volontà” come annunciano gli angeli. Francesco, con la sua rappresentazione, volle far capire che non era necessario andare fino in Terrasanta per toccare i luoghi di Cristo, né massacrare e rapinare per raggiungere questo scopo. Betlemme era dovunque, anche a Greccio, perché i cristiani dovevano ritrovare Betlemme dentro il loro cuore e ricordarsi del messaggio di amore e di pace di Cristo che avevano dimenticato. Infatti Tommaso da Celano, il biografo di Francesco, scrisse che in quella notte Greccio era divenuta «una nuova Betlemme».
Quale rapporto ha stabilito dopo una vita di studi e ricerche con Francesco? Cosa rappresenta per lei la sua figura?
Gli ho dedicato trent’anni della mia vita. In realtà ho pensato molto a lui ma anche ai primi frati e ai primi biografi, a Tommaso da Celano ad esempio, così colto e fine nell’alludere e nel cercare di dire quello che non poteva. Di Francesco ammiro la tenacia e la grandezza del suo progetto, l’apertura mentale che anticipa di secoli punti di vista su questioni essenziali della nostra vita, la sua intelligenza e abilità politica, ovviamente di un uomo di profondissima e limpida fede. Fu un progetto, il suo, che si realizzò per una breve stagione, quando i compagni, pochissimi, erano in grado di metterlo in pratica. Così è stato per il Vangelo. Il Vangelo è per tutti, se si vuole, credenti e non credenti, irrealizzabile nella sua interezza se non da parte di pochissimi, pure essendo per tutti uno straordinario punto di riferimento. Ho letto e riletto le bellissime lettere di Francesco e so a memoria la sua prima lunghissima regola, non approvata dal papa e dai frati, che è il racconto della prima fraternità, con dei tratti a volte struggenti.
Il Natale è anche un momento che riporta all’assenza di chi non c’è più, quale ricordo ha in particolare di suo padre? E cosa ha rappresentato il rapporto con suo padre anche nel suo lavoro?
Mio padre, come mio fratello, non ci sono più da quando avevo trent’anni eppure non c’è giorno che non li ricordi. Andavo molto d’accordo con mio fratello, era un rapporto intenso ed amichevole. Da piccola pensavo che sarebbe stato bello vivere sempre insieme, come nelle favole dove ci sono i fratelli che si aiutano. Mio padre ha messo in opera, soprattutto con me, una educazione molto severa che mi ha reso anche infelice. Però ha nello stesso tempo esercitato su di me un fascino e un’influenza profondi perché in ogni istante era “presente”, con un giudizio, con una frase illuminante e con il suo modo di parlare mai banale dove ogni parola era naturalmente scelta e precisa e mostrava la sua intelligenza fuori del comune. Mi ha inculcato credo un grande senso del dovere, l’onestà, l’onestà intellettuale, il bisogno di controllare le fonti, di chiedersi sempre perché; mi ha inculcato anche, lo devo ammettere, una francescana paura del possedere, perché conduce spesso ad immiserirsi mentalmente. E poi la sua figura è stata proprio un modello di vita, un faro, anche misterioso.
Durante la guerra, mettendo in pericolo la sua vita ha salvato moltissime persone, eppure lo sono venuta a saperlo dopo la sua morte. Devo riconoscere che ho mantenuto nei suoi confronti uno sguardo dal basso, della bambina che guarda il genitore e gli affida la propria vita. Non vorrei dimenticare in questo quadro mia madre, nei confronti della quale non c’è stato lo strappo violento della scomparsa improvvisa; con lei mi sono accompagnata negli anni guardando insieme i figli-nipoti che crescevano. Quando mio padre è morto mi occupavo molto della famiglia e facevo la bibliotecaria. Non avevo tempo per studiare davvero e poi la presenza di mio padre mi inibiva. Mio padre ha influito non direttamente, per quanto riguarda il lavoro, ma attraverso i suoi libri che ho letto quando le domande che avrei voluto porgli potevo solo pensarle.
Cosa si augura per Natale? E cosa augura ai suoi nipoti?
Diceva Francesco: «Vorrei che in questo giorno i poveri e i mendicanti fossero saziati dai ricchi e che i buoi e gli asini ricevessero una razione di cibo e di fieno più abbondante del solito». Mi augurerei che diminuissero le ingiustizie e che ognuno riflettendo nel suo foro interiore cercasse di farle diminuire, per quanto può. Per i miei nipoti, che sono ancora bambini, mi auguro che ricordino con gioia questo Natale, e vorrei che fosse una gioia fatta di molto affetto, ricevuto e dato.
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