Arte

C’era una volta in America: il mistero della scena finale

4 Gennaio 2021

Meglio che lo dica subito: “C’era una volta in America” è l’unico film che ho visto una seconda volta, poi una terza e così via. Talmente tante che non so quante. L’ho rivisto ripetutamente perché mosso da un interesse spasmodico per la comprensione razionale della grande fascinazione suscitata in maniera così diretta e immediata dalla prima visione. Questo film, per me, rappresenta, nella storia della cinematografia mondiale, un esempio imprescindibile per venire a capo dell’intensità e la bellezza del dramma rappresentato per fotogrammi, colori, musiche. E Sergio Leone è stato un regista che ha saputo magistralmente estrarre dai piani sequenza di un’opera, concepita come capolavoro assoluto, l’ineluttabilità immodificabile del sentimento e la passione, l’imponderabilità fatale e complessa delle vicende che determinano le identità nella loro esistenza, recuperando lo spirito più profondo della realtà delle cose, mediante una recitazione che richiedeva agli interpreti di immergere totalmente l’anima nella finzione, fino a confonderla con la realtà.

Sono diverse le scene che restano ben fissate nella memoria di chi ha visto e amato il film, suddiviso in più linee temporali, dove drammaticità e romanticismo s’intrecciano a meraviglia per confluire in un presente dai contorni amari e brucianti. Ma quella che ancora oggi resta avvolta nel mistero e costituisce un enigma irrisolto è la scena finale. Le ultime sequenze, il colpo di scena! Il Senatore Bailey (James Woods) rivela a Noodles (Robert De Niro) un inganno perpetrato ai suoi danni, durato 35 anni: Max (Bailey) non era morto la notte in cui Noodles vide i cadaveri della sua gang. Tutto un raggiro grazie al quale il suo amico Max gli avrebbe rubato i soldi e preso la donna che aveva amato, lasciandolo nel dolore del rimorso per una morte di cui si sentiva responsabile. Succede, però, che Max, ex gangster reinventatosi a nuova vita nelle vesti del senatore Bailey, è in guai piuttosto gravi e irrisolvibili, nell’ambito di uno scandalo politico di notevoli dimensioni, e chiede a Noodles, in segno di penitenza per la meschinità commessa nei suoi confronti, di ucciderlo. Noodles, nella sua calma serafica, fatta di malinconia, dolore e pietà, si rifiuta. Per lui Max è morto quella notte di 35 anni prima. Per lui il senatore Bailey è del tutto estraneo a quella storia. Non vi è redenzione, dunque, tanto meno castigo.

“È il tuo modo di vendicarti?” – chiede Max.

“No. È solo il mio modo di vedere le cose.” – risponde Noodles.

Quel che succede dopo è la celebre scena fuori dalla villa a cui si accennava. Noodles, abbandona lo studio dell’importante politico, uscendo dal retro. Cammina per la strada di quell’elegante quartiere residenziale, passando accanto a un grosso camion, che subito dopo il suo passaggio, viene messo in moto. Dalla sontuosa villa del senatore avanza una figura che sembrerebbe (perché esserne certi?) quella di Max/Bailey. Il camion inizia a muoversi lentamente, frapponendosi tra Noodles e quella figura. Si percepisce uno stridore metallico. Il camion passa, liberando la visuale a Noodles dell’altro lato della strada. Ma, la figura vista un attimo prima non c’è più. Al passaggio del camion Noodles scorge, nella parte posteriore dell’enorme mezzo, le lame che maciullano l’immondizia. Si racconta che nemmeno l’attore che ha interpretato Max, James Woods, sappia se davvero il suo personaggio si sia buttato tra le lame del camion, o se sia ancora una volta scomparso dalla vita di Noodles. Pare evidente che Sergio Leone abbia voluto esplicitamente lasciare l’ambiguità dell’ultima scena. Si aggiunga che, secondo una leggenda, la silhouette che viene fuori dalla villa sarebbe quella di una controfigura, non di  Woods stesso. E, questo, per alimentare maggiormente il dubbio circa il riconoscimento. Fatto sta che Noodles non ha nessuna premura di accertarsi quello che è appena successo sotto i suoi occhi. Non lo fa per mantenere il mistero, compagno inseparabile e veramente fedele della sua vita. Non lo fa perché per lui Max è davvero morto 35 anni addietro. E, perché quello che ha appena visto è soltanto il frutto della sua immaginazione.

In chiusura, il flashback che riporta alla tragica notte in cui la gang è morta, conclusa da Noodles alla fumeria d’oppio. Un primo piano da grande attore. Un sorriso che non stride affatto con la storia tragica che si racconta perché ne è il suo rovescio. Un sorriso certamente indotto dal fumo, ma non per questo artificiale, o meno espressivo. Un sorriso enigmatico, che lascia un segno di ambiguità così significativa da sembrare una confessione di una sincerità disarmante, sia pure in una lingua incomprensibile. E, la verità della scena finale appare finanche inequivocabile: immergersi nel mistero è più importante che capire cosa realmente sia successo. L’arte, talvolta, si offre per essere indagata, non necessariamente compresa nella sua logica apparente.

 

 

 

 

 

 

 

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