Arte
Canova e Thorvaldsen: così nasce la scultura moderna
Il colpo d’occhio evoca immediatamente la simmetria di un antico teatro greco. I due gruppi marmorei de “Le tre Grazie” stanno al centro della grande sala. A sinistra quello di Antonio Canova, proveniente dall’Ermitage, prestito eccezionale del museo russo. A destra quello di Bertel Thorvaldsen, che arriva da Copenaghen, e che rappresenta “Le Grazie con Cupido”.
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Il confronto, la sfida, la rivalità che ha prodotto la nascita della scultura moderna, è qui, nel cuore della mostra delle Gallerie d’Italia, a Milano fino al 15 marzo 2020 . Attorno si muove una vera e propria coreografia. Il gesso della “Danzatrice con il dito al mento”, proveniente dalla Gypsoteca di Possagno, è accostato a quello della “Danzatrice” di Thorvaldsen, che arriva dal Thorvaldsen Museum, come il marmo della “Giovane Danzatrice”, colta mentre sembra incedere con portamento straordinariamente aggraziato verso lo spettatore. Più plastico, chiude questo formidabile corpo di danza il marmo della “Tersicore danzante” di Gaetano Matteo Monti, emulo ravennate dei due maestri. È la prima volta che la danza, espressione del movimento, veniva scelta come motivo della scultura. Le danzatrici canoviane, ideate tra il 1806 e il 1811, non avevano infatti precedenti, tanto nell’antichità quanto in età moderna.
“Canova Thorvaldsen. La nascita della scultura moderna”, la mostra promossa e ospitata dalle Gallerie d’Italia, per la curatela di Stefano Grandesso e Fernando Mazzocca (sino al 15 marzo negli spazi museali di Piazza della Scala, catalogo Edizioni Gallerie d’Italia-Skira), ha nell’eccezionale esposizione dei due gruppi delle Grazie il nucleo di un progetto espositivo articolato e complesso, che consta di oltre 160 opere, suddivise in 17 sezioni, e che è stato realizzato in collaborazione non solo con con l’Ermitage di San Pietroburgo e il Museo Thorvaldsen di Copenaghen, ma anche con il J. Paul Getty Museum di Los Angeles, il Museo Nacional del Prado di Madrid, il Metropolitan di New York, le Gallerie degli Uffizi di Firenze, la Biblioteca Apostolica Vaticana, le Gallerie dell’Accademia di Venezia, le Gallerie Nazionali di Arte Antica di Roma, sino alle maggiori istituzioni museali milanese, dalla Pinacoteca di Brera alla Biblioteca Ambrosiana. Un ruolo cardine è giocato dalla Gypsoteca di Possagno, promotrice delle celebrazioni canoviane, iniziate nel luglio scorso, a 200 anni dalla posa della prima pietra del Tempio che oggi costituisce il Museo Antonio Canova, e che si concluderanno il 13 ottobre 2022, quando ricorreranno i 2 secoli dalla scomparsa delle scultore veneto.
È la prima volta che si tenta un confronto ravvicinato tra l’opera di Antonio Canova (1757-1822) e quella del danese Bertel Thorvaldsen (1770-1844), protagonisti della nascita e maturazione di una cultura che rinnovò non solo la scultura, radicandosi nell’estetica neoclassica, e traducendo nella modernità i valori estetici del mondo greco-romano. Com’era stato in età barocca per la rivalità tra gli architetti Bernini e Borromini, teatro della loro rivalità è la città di Roma. Canova vi giunse nel 1781, Thorlvaldsen nel 1797. Entrambi qui costruirono la loro carriera, dando vita ad atelier che divennero presto il dispositivo in azione del loro modus operandi. La Città Eterna costituiva per entrambi l’occasione del confronto quotidiano con i capolavori della classicità, o con le loro repliche, e l’immersione nel gusto antiquario che nel momento della loro prima affermazione era già diventato un fatto culturale di primaria importanza, grazie anche alle incisioni di Giambattista Piranesi. Occorre rimarcare in tal senso come le dodici tavole che inaugurano la “Prima parte di architetture e prospettive inventate e incise da Gio. Batta Piranesi architetto veneziano” vennero pubblicate nel 1743. Con il conterraneo Antonio Corradini, in quello stesso anno Piranesi visitò gli scavi archeologici di Ercolano.
Esiste all’intero della civiltà veneta una sensibilità che procede da Mantegna e Tiziano, ha in Palladio un momento di formidabile emersione, e poi, come un fenomeno carsico, si spinge invisibile sino a Piranesi e a Canova. Sensibilità che è insieme gusto ed erudizione, e che continua a guardare alla classicità da una distanza temporale e fisica, fino a desiderare che questa distanza si annulli, e a trovare in Roma, nei suoi fori, nelle sue “parlanti ruine” il luogo della formulazione di un nuovo linguaggio magniloquente, informato a un’idea di dignità e severità in grado di ispirare una necessità di rinnovamento etico ed estetico. È in questo contesto che matura rapidamente un risorgimento delle belle arti, che nell’ultima parte del Settecento sembrano emanciparsi da una dimensione localistica e vernacolare, per innalzarsi a una statura universale, in virtù dell’affermazione di valori che si ritengono immutabili perché mutuati dalla classicità.
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Canova e Thorvaldsen sono celebrati dai loro contemporanei per la capacità di eguagliare l’antico, di sfidare ad armi pari il mito di Fidia e Prassitele, ma nello stesso tempo producono una nuova forma di bellezza. Il primo è collocato dal contemporaneo Leopoldo Cicognara al vertice assoluto dalla “Storia della scultura”. Il secondo è riconosciuto come l’artista che ha saputo sfidare le convenzioni dell’arte nordica e tedesca, facendone tabula rasa grazie all’esempio degli antichi greci. Entrambi godono da subito di una fama internazionale, e la clientela che si reca nei loro atelier è in buona parte quella che compie il Grand Tour. Sono i due scultori a rendere Roma non solo il luogo della contemplazione dell’antichità, delle visioni piranesiane e delle passeggiate sthendaliane, ma anche un centro primario di produzione culturale nell’Europa dei Lumi.
La vicenda raccontata nella grande mostra milanese è quella dell’affermazione di questa cultura, attraverso i suoi esiti più alti, il riflesso nel gusto collezionistico, il radicamento nell’opinione pubblica, sino alla celebrazione dei due artisti, alla loro trasformazione in mito. È grazie a Canova e Thorvaldsen infine che per la prima volta la scultura sembra diventare l’arte egemone. Il “Parnaso” di Mengs a Villa Albani, del 1761, o lo stesso “Giuramento degli Orazi” di David, esposto a Roma nel 1784, non possono reggere il confronto con le loro creazioni. È anche un’arte che spinge la critica a scontrarsi aspramente con la tradizione.
Francesco Milizia, intellettuale di origini pugliesi formatosi all’Università di Padova, ispirato dalle idee di Winckelmann e dello stesso Mengs, scriverà della “Pietà” di Michelangelo che “L’anatomia è al solito molta, e l’espressione è uno zero”, arrivando a dire che la Vergine sembra “una lavandaia” e che il Mosè gli appariva “un mastino orribile”, con “la testa da satiro” e “i capelli da porco”. Comprendere oggi la portata rivoluzionaria, di vero e proprio ribaltamento delle concezioni estetiche pregresse, che ebbe quella straordinaria stagione artistica è più complesso. La mostra ha il merito di aiutare a farlo, entrando nelle pieghe del gusto attraverso l’esplorazione dei temi di maggior successo, il ritratto della committenza, la documentazione della gloria, e dunque dell’immagine pubblica, degli artisti, sino alla loro eredità romantica.
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Canova | Thorvaldsen. La nascita della scultura moderna
Gallerie d’Italia – Piazza della Scala 6 – Milano
Dal 25 ottobre 2019 al 15 marzo 2020
Martedì- Domenica dalle 9:30 alle 19:30.
Giovedì dalle 9:30 alle 22:30 – Chiuso il lunedì
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La foto di apertura è di Flavio Lo Scalzo
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