Arte
Barricate misteriose
Oggi vi parlerò di un pezzo senza tempo che, per me, è uno di quei brani che si dovrebbero ascoltare almeno una volta al giorno per star bene. Un po’ come quei tre pezzi scelti da qualche saggia persona quando c’era l’Intervallo televisivo, dove si alternavano cartoline dalle città italiane in bianco e nero a prati con pecore al pascolo. Erano la Passacaglia di Georg Friedrich Händel, la Sarabanda dal quarto dei Concert Royaux di François Couperin e la Toccata di Pietro Domenico Paradisi, suonate all’arpa da Anna Palomba Contadino. Queste musiche celesti riempivano i vuoti di palinsesto colla dolcezza e rasserenavano l’ascoltatore di quella sola e unica rete RAI.
Così come le sigle dell’inizio e della fine delle trasmissioni, colla campana che annunciava il nuovo giorno. Un po’ come quando succedevano, un tempo, eventi straordinari, tipo lutti nazionali o stragi, e le reti unificate, soprattutto radiofoniche, trasmettevano musica classica, le sinfonie di Beethoven, la Grotta di Fingal, e molte altre cose. Le parole erano di troppo, bastavano i suoni a colmare l’ansia che quel vuoto creava. La musica per arpa dell’Intervallo era però un’altra cosa. I tre brani sembravano un tutt’uno, chi le scelse le scelse bene.
Adesso, io ho un’ossessione musicale che mi accompagna fin dal primo momento che la sentii suonare da una clavicembalista in un concerto, come bis.
Si tratta di un brano di François Couperin, anche questo, Les Baricades Mistérieuses, dal II ordine del VI libro dei Pièces de Clavecin (1717). Questo brano ha una sua magia particolare. Già nel nome porta quel mistero che lo avvolge.
In forma di rondeau, in si bemolle maggiore, con un ritornello e tre couplets, questo pezzo, non facilmente incasellabile, esprime un continuo ritorno e l’aspirazione a un mondo ideale, con un basso quasi ostinato che però poi ha variazioni armoniche intriganti, le quali conducono a un’esplorazione più intima dell’inconoscibile ma che poi vengono riattratte a un proprio ordine, tappeto sonoro alla mano destra che compie a sua volta le sue escursioni minimali ma assolutamente espressive.
Ma al di là delle analisi del testo musicale, riservate a chi può decifrare i segni della musica sul pentagramma e che quindi qui hanno una relativa importanza, è ascoltando questo brano, così come capita con altre composizioni di altri autori del Sei e Settecento, che si ha l’impressione di percorrere il limite tra due mondi, abitati uno da certezze e l’altro da intuizioni. Succede anche col primo numero delle Variazioni Goldberg, per esempio, l’Aria, o con alcuni madrigali di Monteverdi o con alcune mélodies di Reynaldo Hahn, come Á Chloris. Le intuizioni si intravedono per un momento, nel secondo ma soprattutto nel terzo couplet, verso la fine, quando la melodia ritmata si fonde coll’esplorazione del basso in armonie misteriose e struggenti, sebbene semplici, per poi tornare alle certezze di uno di quei due mondi, rappresentate dal ritornello. La nostalgia lasciata da questo ritorno spinge a sentire e risentire il brano più volte, per riprovare lo struggimento in attesa del terzo couplet, dove la musica ti trasporta verso anse segrete del tuo intimo e ti porta a rivivere dei ricordi lontani, almeno a me fa questo effetto. Fuori dal tempo, non sai se è un brano antico o moderno, di certo ti riporta a qualcosa che conosci, qualcosa di già sperimentato ma misterioso, come dice il titolo. È come un caleidoscopio dove le variazioni dei colori sono minime per il minimo muoversi delle tessere colorate in controluce, le quali, muovendosi, creano sempre diverse figure, simili ma mai uguali.
Sarei curioso di sapere che effetto fa agli altri. Scrivetelo nei commenti.
La versione che propongo è, secondo me, una delle più belle in assoluto perché gli esecutori, un clavicembalista e un liutista, ne hanno elaborato una piena di rubati, di sospensioni, con un fraseggio morbido e insinuante, che introduce benissimo in questi mondi misteriosi che ognuno di noi ha e che Couperin, pur tre secoli fa, conosceva benissimo. Anche nella Sarabanda e in altri suoi brani esiste questo stato di sospensione magica che cattura l’ascoltatore e lo trasporta dove il compositore vuole.
C’è però bisogno di esecutori sensibili e non frettolosi, il cui virtuosismo deve dispiegarsi non nella velocità ma nel fraseggio, gustando ogni frase del periodo musicale, che ha le sue subordinate e le sue principali, esattamente come succede nella lingua.
I due esecutori di questo brano celestiale sono Jean Rondeau (Nomen Omen) al clavicembalo e Thomas Dunford all’arciliuto; il brano dà il titolo al bellissimo CD Erato “Barricades” (2020). Si sente che i due sono amici e che c’è un’intesa speciale tra musicisti, ognuno prende dall’altro e asseconda i suoi abbandoni magnificando questo già magnifico brano.
Buona estasi.
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