Criminalità
Marco Alessandrini: «Emilio? Non solo un padre, ma un amico»
«Chi era Emilio? Non solo un padre, ma un amico». A dirlo è Marco Alessandrini, il figlio di Emilio, il magistrato che il 29 gennaio 1979 fu ucciso da un commando di Prima Linea, dal Gruppo di fuoco Romano Tognini “Valerio”. «Non l’ho mai chiamato papà ma Emilio, e questo continuo a fare ancora oggi». Dopo aver accompagnato a scuola il figlio Marco, che all’epoca aveva solo 8 anni, in via Coletta a Milano, risalì sulla sua Renault 5. Erano le 8.30 e, all’incrocio tra viale Umbria e via Tertulliano, fu affiancato da una Fiat 128. A bordo c’era un commando di terroristi che lo crivellò di colpi senza pietà. Morì così, 44 anni fa, Emilio Alessandrini, giovane giudice milanese in prima linea contro il terrorismo, per mano degli uomini di Prima Linea che, poche ore dopo l’attentato, rivendicò l’azione con alcune telefonate ai quotidiani.
Emilio Alessandrini aveva 36 anni il giorno della sua morte. Da allora, di anni, ne sono trascorsi 44. «Un battito di ciglia per la lunga storia dell’umanità ma un periodo enorme per noi, comuni mortali – racconta Marco – si tratta di un periodo più lungo di quello che Emilio ha potuto vivere. Mi è mancato il tempo per capire cosa fosse un padre e l’ho trovato solo dopo, grazie ai racconti dei familiari, degli amici. Avevo un padre amico. Lo chiamavo Emilio, come lo chiamo adesso. Oggi è un fratello ormai minore. Quando è morto aveva 36 anni. Io, oggi, ne ho più di 50. Sono evidentemente il fratello maggiore. Diventerò, nel tempo, il padre di mio padre».
Un padre amico con il quale giocare. «Era Natale, forse del ’77 o del ’78, non ricordo bene. Tra i regali Emilio mi face trovare “Dribbling”, un gioco da tavolo. Si trattava di una sorta di bigliardino. Non solo fu, per me, un regalo gradito ma fu un gioco con cui potevo trascorrere del tempo assieme a lui, giocando».
Marco Alessandrini è custode di un messaggio di dolore, una croce difficile da portare, che è quella di un figlio rimasto orfano di padre. È portatore di memoria, non solo quella di suo padre ma quello di un complesso momento storico sociale del quale suo padre è stato protagonista e vittima al tempo stesso. «Amo andare nella scuole, per parlare con i ragazzi – continua – e proprio la settimana scorsa, entrando nell’istituto, mi sono trovato a riflettere su quanto sia difficile raccontare quel periodo storico a una generazione che non solo in quel periodo non era nata ma che inevitabilmente la vede e la sente lontana nel tempo».
Prima Linea nel messaggio di rivendicazione dell’omicidio, scrisse che Alessandrini era «una delle figure centrali che il comando capitalistico usa per rifondarsi come macchina militare o giudiziaria efficiente e come controllore dei comportamenti sociali e proletari sui quali intervenire quando la lotta operaia e proletaria si determina come antagonista ed eversiva». In realtà Alessandrini non era un semplice magistrato. Alessandrini era un uomo di Stato, che lo difendeva dagli attacchi eversivi degli “anni di piombo”. Alessandrini era un uomo che intendeva la magistratura come servizio e la Legge come strumento di civiltà. Ai suoi funerali, in piazza Duomo a Milano, c’erano oltre duecentomila persone che decisero di partecipare non solo per lo choc emotivo dell’omicidio ma, e soprattutto, per il valore della persona. Il suo assassinio fece percorrere tutta l’Italia da un moto di orrore e di sdegno, oltre che di dolore e di sgomento. Alessandrini era il magistrato della Procura di Milano che aveva scavato nella “madre di tutte le stragi”, l’attentato alla sede della Banca Nazionale dell’Agricoltura di Piazza Fontana del 12 dicembre 1969, assieme ai colleghi Gerardo D’Ambrosio e Luigi Fiasconaro. Lui aveva aperto le inchieste sul terrorismo, sugli scandali finanziari del Banco Ambrosiano di Roberto Calvi, sulla cosiddetta “strategia della tensione”.
Alessandrini era un magistrato con una visione lucida, analitica e che riusciva a guardare lontano, oltre l’indagine che stava seguendo. L’ha dimostrato, non che ce ne fosse bisogno, anche il dottor Imposimato quando dichiarò che il primo ad aver trovato legami tra il gruppo Bilderberg (che raduna esponenti di spicco della politica, della finanza, dell’industria e dei media), la strategia della tensione e le stragi di Stato fu proprio Emilio Alessandrini in un documento del 1967 che, forse, faceva riferimento all’incontro che avvenne a Cambridge, in Inghilterra, nel periodo 31 marzo-2 aprile 1967.
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