Il doppio ruolo di Montante nella gestione dei beni confiscati alla mafia
Antonello Montante si è autosospeso dal consiglio direttivo dell’Agenzia dei beni confiscati (aggiornamento a venerdì 13 febbraio 2015, h 1815).
Controllore e controllato? Il presidente degli industriali siciliani Antonello Montante, pezzo grosso del siculo potere appaltato all’Antimafia, è più che un semplice membro del consiglio direttivo dell’Agenzia dei beni confiscati per mafia. Come risulta da un documento ufficiale consultato da Stati Generali quattro anni prima della recente nomina del Consiglio dei ministri, che in data 20 gennaio ha ratificato l’indicazione giunta dal ministro dell’Interno Angelino Alfano, il delegato della “legalità” di Confindustria nazionale ha costituito una associazione insieme a quattro fedelissimi.
L’atto di costituzione del “Tavolo per lo Sviluppo del Centro Sicilia” venne sottoscritto in uno studio notarile di famiglia, quello di Cecilia Claudia Romano, figlia d’arte (il padre Salvatore è fra i più conosciuti notai della città di Caltanissetta) e cugina di Luigi, consigliere comunale del capoluogo eletto “in quota Montante” nella lista sponsorizzata da Rosario Crocetta e dall’onnipresente e inossidabile Salvatore “Totò” Cardinale. Montante intervenne come socio fondatore «in proprio e nella sua qualità di presidente, e come tale legale rappresentante, di Confindustria Caltanissetta». L’associazione è ancora in attività e ha fra le sue finalità statutarie proprio la gestione dei beni mafiosi confiscati dallo Stato. All’articolo 4 dello statuto, infatti, tale finalità è espressamente indicata e va a cozzare con l’odierno ruolo ricoperto da Montante presso l’Agenzia dei beni confiscati.
È giusto insomma che uno dei membri del consiglio direttivo dell’Agenzia che assegna i beni confiscati alle mafie sia anche uno dei più influenti soci di un ente che ha tra le sue finalità la gestione dei beni confiscati a Cosa Nostra? Tutto sembra chiaramente suggerire una patente incompatibilità, o un conflitto di interessi, che fa il paio con l’inchiesta emersa sulle colonne di Repubblica. Lunedì 9 febbraio il quotidiano diretto da Ezio Mauro, con un articolo di Attilio Bolzoni e Francesco Viviano, ha messo in luce una doppia inchiesta che coinvolge proprio Montante. L’industriale sarebbe finito al centro di un’indagine ancora top secret della Procura di Caltanissetta con l’ipotesi di accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. L’inchiesta non è nuova ed è in corso di approfondimento. Nessuno è nelle condizioni di prevedere dove potrebbe portare, ma fra le incoerenze di questa storia ci sono tutte le anomalie di una antimafia all’amatriciana che dal 2008 impazza sui giornali nel segno della legalità e soprattutto detta l’agenda politica.
Con la bandiera della legalità issata da anni Montante & soci esercitano una notevole influenza sui governi regionali multicolor di Raffaele Lombardo e Rosario Crocetta. Distribuiscono consulenze e incarichi pubblici, piazzando fedelissimi e parenti. E indirizzano lo sviluppo economico dell’isola verso il business degli imprenditori del cerchio magico. Un cerchio magico che comprende anche il senatore democrat Beppe Lumia, considerato in Continente uno dei paladini dell’Antimafia, e perfino l’ex ministro dei governi D’Alema e Amato, l’ex cossighiano Salvatore Cardinale. Un sistema rodato, fatto di luci e ombre, che oggi scuote il cuore del potere siciliano lasciando di stucco chi per anni ha sostenuto che il modello “Sicilia” di Montante e Ivan Lo Bello – caldeggiato dall’ex presidente di Confindustria Emma Marcegaglia – avrebbe per davvero potuto debellare il torbido e mutare le sorti dell’isola.
Ma oggi un’indagine, al di là delle accuse tutte da dimostrare, indebolisce un sistema di potere su cui poggia anche il governo della Regione siciliana. I magistrati nisseni, infatti, stanno valutando le dichiarazioni di cinque pentiti sulle presunte collusioni di Montante. Uno dei pentiti, Salvatore Dario Di Francesco, mafioso di Serradifalco (lo stesso paese di origine di Montante), ha iniziato a raccontare di appalti pilotati nella zona – e in particolare al Consorzio Asi, l’Area dello Sviluppo industriale – nel periodo dal 1999 al 2004. Di Francesco è stato definito il collante fra esponenti di Cosa Nostra e i colletti bianchi. Ed è proprio grazie a Di Francesco che si è arrivati ad un altro mafioso di Serradifalco, Vincenzo Arnone, che molti, tanti anni fa fu compare di nozze proprio di Montante.
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