L’Università che non vogliamo
Da questo momento dimenticatevi di chiedermi chi sono o cosa faccio. Questa informazione non è più indispensabile. Non serve. Sono semplicemente uno dei tanti, uno che, come tanti di voi, ha subito e subisce una ingiustizia. Può accadere ad ognuno di subirne nella vita. La cosa che, purtroppo, non accade quasi mai, è decidere consapevolmente di denunciarla, farlo pubblicamente, e farne un elemento di dibattito, di battaglia per cambiare le cose, pagandone sulla propria pelle le conseguenze. Non sembri eccessivo il paragone, ma il meccanismo psicologico è simile a ciò che succede quando una giovane donna deve denunciare la violenza sessuale subita. Se non esistesse quella mentalità comune diffusa, spesso intrisa di maschilismo più o meno latente, tutto sarebbe molto più facile per lei. E’ evidentemente una questione culturale ed educativa ancora prima che politica o legislativa. Lo stesso avviene per chi vuole segnalare all’autorità competente, per amore di onestà e di verità, anche solamente per principio, un sopruso, una ingiustizia o un inganno perpetrato da un gruppo, da una lobby, da un sistema, a spese di un individuo.
Certo, la verità, direte voi, è sempre di chi la racconta. Molto spesso dipende dall’angolazione da cui si guardano i fatti. A prima vista, come dissero durante una seduta del processo Moro, potrebbe somigliare a quando si getta un sasso nell’acqua. Il sasso va subito a fondo, e in superficie si formano tanti cerchi concentrici, ognuno dei quali assume una sua vita propria. In base alla forma e alla pesantezza del sasso, o al modo in cui viene scagliato, i cerchi possono essere moltissimi o apparentemente invisibili. Da ragazzo conoscevo un gran tiratore di sassi. Era abilissimo a farli rimbalzare a pelo d’acqua per diverse volte. Ma se non ci si fa fuorviare dalle apparenze, se si riesce a tenere ferma nella mente l’idea del sasso, anche quando non si vede più ed è ormai andato a fondo, allora sì che si può anche riuscire ad avvicinarsi il più possibile all’unica verità dei fatti.
Sono passati più di tre anni e mezzo da quei giorni che hanno mutato radicalmente la mia vita, e questa storia ancora mi ossessiona e lo farà finché non avrà il suo esito, bello e brutto che sia. Sono state scritte sentenze di condanna per chi ha manipolato il concorso (che creano un importante precedente giuridico sui concorsi universitari e sui giudizi insindacabili delle commissioni, in particolare riferimento alla congruità del settore scientifico-disciplinare bandito), con tanto di segnalazione alla procura della Corte di conti per danno pubblico, sono state svolte interrogazioni parlamentari, fatte segnalazioni al ministero della pubblica istruzione, pubblicate sfilze di articoli sui quotidiani. Sono state spese, privatamente e pubblicamente, tante , tantissime, forse anche troppe, parole.
Tre cose, più di tutte, ricordo: la strada tortuosa e impervia che percorrevo in auto e che mi portava lontano dall’aula il giorno del colloquio, mentre alcune persone decidevano l’esito di quel concorso e della mia vita futura, determinando, in parte, tutto ciò che sarebbe accaduto dopo, con una serie di reazioni a catena. Poi, ricordo le parole di un amico che mi metteva in guardia, preoccupato, dicendomi che tutto sarebbe cambiato per me se avessi denunciato pubblicamente l’accaduto. Infine, ho impresse nella mente le sottili, quasi garbate, minacce di un docente, “la strada da te imboccata ti potrebbe mettere in una posizione difficile da reggere, hai mosso accuse che suonano offensive, e se tu non riuscissi a dimostrare le tue accuse, ti troveresti a mal partito, qualcuno potrebbe essere anche indotto a querelarti per dovere di difesa del buon nome…tu sei in una posizione fragile e questa vicenda ti lascerà, comunque vada, con l’amaro in bocca”.
Così, difatti, è stato. Non nel senso che non sono state dimostrate le accuse, anzi, ma il risultato è stato, come diceva lui, nonostante tutto, l’isolamento. Ecco cos’è il nostro Paese. Se ti esponi, se la tua voce va fuori dal coro, si finisce con l’essere, comunque e alla lunga, più deboli. Pur con sentenze favorevoli, disposizioni di indennizzo e quant’altro, ad oggi, nulla di ciò che è stato deciso dalla magistratura, a più livelli di giudizio, è poi stato effettivamente attuato dall’università, né il risarcimento del danno, né il prosieguo del contratto (sull’argomento basta fare una rapida ricerca in rete per trovare ampio materiale di ogni tipo). Evidente ritorsione per la denuncia fatta. Ecco cos’è la nostra Università. Mi pare, infatti, che i particolari guai della Nostra nascano, anche, da una continua forma di doppiezza di chi la rappresenta a tutti i livelli, un gioco della doppia verità. E’ un gioco che può continuare a svolgersi e a scorrere, per mesi, per anni, per decenni, senza che nessuno, al suo interno, si scomponga. Giovane o vecchio che sia, con te, in privato, giudica ignobile una persona, un fatto, un comportamento, e un momento dopo, con gli altri, e ancor di più in pubblico, farà finta di nulla, sminuirà le cose. Si riempie la bocca con grandi discorsi generali sulla moralità e sulla giustizia, e poi sottobanco truccherà le carte o, nella migliore delle ipotesi, vedrà truccarle e si volterà dall’altra parte, tanto nessuno lo saprà mai. Finché non sarà scardinato alla radice , nelle nuove generazioni di studiosi, ricercatori, dottorandi, studenti, questo modo di pensare, nulla potrà cambiare e l’Università sarà ancora quella che noi tutti non vogliamo. Inutile lamentarsi della progressiva carenza di fondi, inutile rimpiangere l’inesorabile abbassamento del livello di corsi universitari un tempo invidiatici all’estero, inutile lagnarsi dell’elevata età media dei docenti universitari, inutile criticare la bassissima capacità di interazione tra università italiane e straniere, tra università e centri di eccellenza di vario tipo e settore, tra università e aziende pubbliche o private, tutte cose perfettamente vere e incontestabili, ma che, senza questo cambio di passo, di mentalità, di comportamenti fondati sull’etica pubblica e sul senso di giustizia, sono ben poca cosa.
Quello che inizia oggi con questo post non lo troverete tra i documenti ufficiali, è, invece, una sorta di diario in pubblico, un lungo racconto in pillole, di ciò che è accaduto da quel momento ad oggi, dietro le quinte. L’oggetto dei miei pensieri, sociologicamente, sarà l’Università e i suoi mali, vista dal di dentro, da uno che è stato dentro il suo ambiente per anni e anni, un tema di cui conosco bene le dinamiche e i risvolti. Ma si tratta, chiaramente, di uno spunto per parlare, in realtà, della società italiana più in generale, e anche di molto altro, di psicologie, di rapporti umani, di Storia e di storie. In attesa di tornare, si spera quanto prima, ad occuparmi, a scrivere, a insegnare, gli argomenti che sono sempre stati nelle mie corde, cioè a dire laicità e diritti civili. Aggiungo che ingiustizie come questa accadono, ogni giorno purtroppo, in tutti i rami e i settori del mondo del lavoro, manuale o intellettuale che sia. Hanno spesso le stesse logiche, le stesse dinamiche, gli stessi congegni. Ed è uno dei principali motivi, al di là delle carenze decennali della classe dirigente e politica, al di là delle mafie di vario tipo, per cui il nostro paese arranca e perde il passo rispetto agli altri paesi più avanzati: favoritismi, raccomandazioni e abusi di vario genere, portano nei posti giusti le persone sbagliate, e questo meccanismo comporta la perdita per strada di una grande fetta del prodotto interno lordo nazionale.
Per questo motivo, raccontare questa storia è un po’ come raccontarne tante altre, rimaste nel silenzio, nell’ombra, per tanti motivi, non ultimo il timore, probabilmente giustificabile, ma non certo condivisibile, di essere emarginati e isolati.
L’inizio di questa storia è chiaro e ben definito, la fine della medesima la vivremo insieme proprio da queste pagine. Anche in questo caso, infatti, vale la bella frase di un grande maestro di nome don Milani riferita alla politica ma che si può applicare, più in generale, alla vita di ognuno: l’essenziale per mettersi alle spalle i problemi è di uscirne insieme. E’ quello che proverò a fare, dunque, insieme a voi.
9 Commenti
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Descrizione molto veritiera di comportamenti collettivi molto diffusi, non solo all’Università. Li hai denunciati: hai avuto un bel coraggio. Ti ammiro: hai lottato per tutti noi. Grazie.
Grazie Alfio , spero che sia una spinta per tanti a denunciare, l’unico modo concreto per cambiare le cose, in tutti i campi, come dici tu.
Grazie dell’articolo! Ne avrei anch’io parecchie da contribuire! Ma scusami, in un Paese dove è sancito PER LEGGE che chiunque abbia le qualifiche può partecipare a un concorso da associato, ma se l’Università assume uno interno le costa un terzo rispetto a un esterno, che senso ha denunciare concorsi truccati? Questo è un trucco, grosso come una casa, a monte di qualunque concorso di fatto. Dobbiamo ringraziare i ricercatori farabutti “DE SINISTRA” che salivano coi tetti coi megafoni a protestare contro la riforma Gelmini, che hanno trasformato un obbrobrio in un obbrobrio garantista. Ma facciamoci una domanda ancora più a monte: perché l’Università italiana, roccaforte storica della sinistra dura e pura, è conciata così? Non erano loro quelli della questione morale? O forse la questione morale si solleva soltanto quando e dove il potere ce l’hanno gli altri, ma nelle nicchie di egemonia ci si comporta come e peggio degli altri, aggiungendo la sicumera e la protervia di chi pensa sempre di essere dalla parte giusta della storia. Ti do un consiglio: getta la spugna e emigra, ti assicuro che funziona.
Grazie dell’articolo! Ne avrei anch’io parecchie da contribuire! Ma scusami, in un Paese dove è sancito PER LEGGE che chiunque abbia le qualifiche può partecipare a un concorso da associato, ma se l’Università assume uno interno le costa un terzo rispetto a un esterno, che senso ha denunciare concorsi truccati? Questo è un trucco, grosso come una casa, a monte di qualunque concorso di fatto. Dobbiamo ringraziare i ricercatori farabutti “DE SINISTRA” che salivano coi tetti coi megafoni a protestare contro la riforma Gelmini, che hanno trasformato un obbrobrio in un obbrobrio garantista. Ma facciamoci una domanda ancora più a monte: perché l’Università italiana, roccaforte storica della sinistra dura e pura, è conciata così? Non erano loro quelli della questione morale? O forse la questione morale si solleva soltanto quando e dove il potere ce l’hanno gli altri, ma nelle nicchie di egemonia ci si comporta come e peggio degli altri, aggiungendo la sicumera e la protervia di chi pensa sempre di essere dalla parte giusta della storia. Ti do un consiglio: getta la spugna e emigra, ti assicuro che funziona.
Grazie. E non sei solo. Come te, molti altri hanno visto concorsi truccati. Chissà, forse l’Università cambierà, un giorno, e sarà grazie a persone come te.
Grazie Andrea, sì lo so che sono davvero in tanti a subire soprusi del genere, e spero come te che finalmente vengano fuori dall’ombra a denunciare, è l’unico modo per cambiare.
… tanto per amore di chiosa, ti aggiungo in copia e incolla il commento di un amico ordinario Italiano in merito ad un concorso recente super-blindato, come tutti i concorsi: “dopo l’introduzione delle abilitazioni nazionali, infatti, le università fanno dei concorsi (interni e qui non c’è storia) oppure esterni (e qui in teoria potrebbe vincere un esterno). Ma anche quelli esterni in realtà sono concorsi fasulli: a parte casi iper-rari, nessuno infatti si sogna di far perdere un candidato interno a vantaggio di Pinco Pallo che viene da Koenigsberg. In sostanza è peggio di prima: almeno prima si facevano accordi sotto banco e se X vinceva a Y grazie a Tizio, Tizio poi aiutava Caio che veniva da Y per far vincere Z da qualche altra parte. Era sempre mafia accademica, però – paradossalmente – più duttile. E questo è tutto dire…” Emigra.
Caro Andrea, tengo sempre in considerazione l’ipotesi di andar via da questo paese, come mi consigli tu sulla base di elementi precisi, inconfutabili, e credimi ho anche io assistito a frasi come quella che riporti tu, detta da persone più diverse dentro all’ambiente universitario e non solo da noti docenti, la cosa che più fa male, anche da giovanissimi studiosi…ti dico solo che però, prima di emigrare, preferirei lottare fino alla fine e cercare di fare in modo che ad emigrare non sia io o quelli come me e come te, ma che ad emigrare siano, per esempio, i membri delle commissioni che manipolano i concorsi e chi ha fatto diventare l’università italiana il letamaio che, purtroppo, è oggi.
Caro Giambattista, come non essere d’accordo? E tuttavia io credo e continuo a credere che il primato dell’inguistizia vada attribuito al sistema, non alla gent(aglia) che ne espleta le funzioni. Un sistema costruito su una presunta imparzialitá (in tanti concorsi vengono valutati solo i titoli, non c’é nemmeno un colloquio), in cui spesso i membri della commissione giudicatrice non sono nemmeno dell’ateneo in questione (quindi posso assumere qualunque idiota, tanto non me lo trovo in corridoio tutte le mattine), in cui i bandi di concorso vengono pubblicati solo (o quasi) in Italiano essendo cosí inaccessibili da qualunque straniero, ma soprattutto in cui é legittimo bandire un concorso in cui la descrizione delle competenze é cosí particolareggiata da calzare a pennello su un solo candidato, e in cui comunque é inutile che ti sbatti piú di tanto a guardare i Curricula degli esterni perché costano troppo e non li assumi comunque, come cavolo é possibile essere “onesti”? Cosa vuol dire “onesti” in questo caso? Il punto é che i professori Italiani fanno spudoratamente quello che farebbero volentieri (ti assicuro da esperienza diretta) anche i loro colleghi stranieri, ma per lo piú non riescono a fare (perché il sistema di reclutamento introduce troppe variabili non direttamente influenzabili) o riescono a fare soltanto con un minimo di pudore e inscenando tragicommedie meritocratiche come copione anglosassone impone. Se tu dai a un Bambino la chiave della credenza piena di cioccolatini, come puoi aspettare che il Bambino sia onesto e non li mangi?