Brafo sarai tu. Cose che ho imparato buttando la spazzatura
Esistono dei tabù culturali che credevo fossero validi per tutti. Facili facili. Tipo io non parlo male della tua famiglia e tu fai lo stesso con la mia. Rispetto insomma. O tacita omertà.
Se il tuo vicino di casa è famoso per avere un naso molto grosso, non fare battute sui nasoni. Se il tuo amico ha appena perso il lavoro non battergli una mano sulla spalla dicendo “bello tu, che adesso non hai un tubo da fare! Beato te”. Se incontri uno spagnolo non dire “ma voi che mangiate solo paella e bevete sangria”. Se il nonno del tuo collega era un kapò nazista, non fare battute sui nazisti, il collega potrebbe avere già delle grane tutte sue con un nonno così. È un argomento che hai a cuore? Che non riesci a tenere per te che vuoi sviscerare a tutti i costi? Affrontalo da adulto. Informati, chiedi, fai una petizione contro la paella. Ma le battute sui preconcetti, sui difetti, sulle sfighe, sui talloni d’Achille non si fanno. O almeno questo è quello che pensavo prima di venire in Germania.
Poi mi ritrovo a buttare la spazzatura.
I bidoni della spazzatura si trovano nel Hof, la corte interna degli edifici Altbau, quindi antichi, di inizi Novecento, quelli che non furono bombardati, per capirsi. Lì divisi per colore ci sono di solito l’umido, la plastica, la carta, il residuo, il vetro scuro e quello chiaro. Siccome sotto al mio lavello di cucina Ikea non ho spazio per 6 contenitori raccolgo plastica e vetro in un solo cestino che mi porto davanti ai contenitori nella corte e che divido manualmente, uno ad uno, nei vari bidoni. Tutto normale. Lo facevo in Italia lo faccio ancora di più qui, dove, fin da quando ero studentessa Erasmus, circolavano voci di multe in caso di mancata precisione. La leggenda preferita dei miei coinquilini tedeschi era quella che parlava di un ragazzo che aveva preso una sanzione per non aver tolto la graffetta di metallo dalla bustina del tè perché li aveva buttati assieme. Orrore. Sciatteria. Multa.
Io non credo a questa storia perché quando apro i bidoni trovo un mix e match caotico che mi fa sentire a posto. Ma l’Erasmus era a Heidelberg, a Sud, dove tutto funziona bene (come superi le Alpi i ruoli dei fannulloni si invertono), non a Berlino dove la gente pensa solo a andare a ballare, passare col rosso e vestirsi da dominatore sadomaso. Torno verso il mio appartamento col mio cesto vuoto e le mani puzzolenti e vedo il mio vicino del piano terra che dalla finestra mi osserva e batte le mani. “Brafo!”, mi dice.
Ci tengo a precisare che questo è il vicino simpatico, quello che è venuto a mangiare a casa mia, quello che insiste per leggere storie in tedesco alle mie figlie per introdurle meglio nella cultura locale, quello che viene dal Sud dove tutti sono anche più calorosi (oltre che fare una perfetta raccolta differenziata).
Lo guardo perplessa chiedendomi dove ho sbagliato.
“Perché?”, chiedo.
“Da italiana è incredibile quello che hai fatto, non ci si aspetta tanto”.
Ho una reazione tipo “Hai paura Mcfly?!” che cerco di tenere per me. Mani che sudano, collo che divampa.
Io posso parlare male dell’Italia finché voglio. Tu, no.
Il problema è che lui mi stava facendo un complimento. Che voleva pure essere gentile. Che non si rendeva conto che se ci mettiamo a giocare a chi è meglio e chi è peggio potrei diventare terribile. Ognuno si tenga il suo presente. E il suo passato. Il paese dove si nasce non si sceglie ma si rispetta.
Perché, come dice Trevor Noah nel suo Show, il contesto è tutto, e questo significa che IO posso parlare male del mio paese, non TU.
“Beh…”
“Ma sì, guardi a Roma! Spazzatura per strada, che disastro!”, insiste lui.
Dopo queste frasi mi sono sentita in sequenza: umiliata, vittima di mobbing, vittima di un attacco razzista, vittima di una guerra culturale, incazzata con la Merkel, incazzata con la Raggi, incazzata con gli antichi romani, amareggiata, colpevole, orgogliosa, stupida, fiera e romana, ma anche del Nord Italia, del Sud del mondo, ho pensato di lanciargli una pizza in faccia e un mandolino sui denti, di tirare fuori le peggiori battute sui tedeschi a partire da quelle dove ci sono l’italiano, il francese e il tedesco e dimostrargli che lì fanno sempre la figura degli idioti. E invece non ho detto niente. Ho sorriso. Ho detto: “Beh, non in tutta Italia è così” creandomi così un microclima di indennità, mollando il mio paese peggio di giuda, vergognandomene per giorni.
La morale è che sarai sempre un italiano, che tu lo voglia o no, soprattutto se esci dal tuo paese. Sei un rappresentante, un dado condensato di tutti i luoghi comuni e delle migliori e peggiori aspettative. Si difende il proprio paese, no matter what?
Poi ho deciso di fare una lista. Come sempre. Per tranquillizzarmi.
Le cose da non dire a un italiano in Germania. La settimana prossima.
Immagina di copertina da Pixabay, thanks to Bluebudgie
Il classico cestino arancione che si trova per le strade di Berlino ha spesso una frase ironica. Immagine di Pixabay, grazie a Thomas Wolter
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