Costume
Un po’ scimmie, un po’ lupi, un po’ umani – La Posta del Cigno Nero
Caro Cigno Nero,
pare che Hobbes ritenesse che, mentre gli uomini cercano di ottenere il bene proprio, a qualunque costo, gli animali tendono, per la loro natura, al bene comune, anche se lo stesso Hobbes, per spiegare il pessimismo circa la natura umana, tira in ballo proprio un animale (“homo homini lupus”). Lo psicanalista J. Hillman, poi, sostiene che possiamo recuperare il meglio di noi stessi proprio stabilendo un contatto nuovo con gli animali, che infatti ci visitano spesso nei nostri sogni, sollecitando in noi prospettive particolari. Se assumiamo un “modo animale” di guardare il mondo, forse possiamo dare un senso nuovo e più interessante al nostro essere nel mondo. Eppure, se veniamo a sapere di azioni violente o criminali, parliamo di efferatezza e bestialità.
Un proverbio arabo recita così: “Se ognuno pulisse lo spazio davanti alla sua casa, tutta la città sarebbe pulita”.
Conosciute queste diverse posizioni, come possiamo migliorare le relazioni sociali perché siano più significative?
Claudio B.
Caro Claudio,
parlando di animalità e umanità, natura e civiltà, in genere alludiamo a una contrapposizione che sottende un preciso giudizio di valore, secondo il quale l’essere umano si è innalzato dallo stato brutalmente selvaggio per vivere secondo modelli che fossero all’altezza del suo intelletto.
Mantenendo la contrapposizione, verrebbe allora da interrogarsi sul senso delle numerose vicende in cui donne e uomini sono stati considerati alla stregua delle bestie. Tra le più eclatanti, quella che coinvolse gli indios del centro e sud America: intere popolazioni, culturalmente ricchissime, rispettose dei loro simili e del mondo che abitavano, furono assoggettate perché andavano educate, torturate perché andavano civilizzate. Bisognava insegnar loro a parlare un linguaggio comprensibile, ad adorare un dio meno improbabile, a vestirsi in modo più decoroso. E fu così che un falso assistenzialismo nascose la vera intenzione: quella predatoria ‒ e certo in questo animalesca ‒ della conquista. Il paradosso fu proprio usare, allo scopo, la bestialità di cui erano accusati quei popoli. Strano, no? Ma era un altro tipo di bestialità, una bestialità scimmiesca, e vedremo in che senso.
Veniamo a Hobbes, filosofo che, per quanto ritenga che uomini e animali non differiscano poi molto, mette in luce le straordinarie capacità umane legate soprattutto al linguaggio. Certo, gli esseri umani hanno anche una specificità non proprio encomiabile, l’egoismo: l’unico motore delle loro azioni è la volontà di perseguire il bene proprio. Non funziona così per le api e le formiche, che non discernono il bene individuale da quello collettivo, lo spazio antistante la propria abitazione da quello della città, quindi agiscono secondo una eticità che, non derivando da una scelta, in fondo neppure potrebbe dirsi tale. Hobbes, infatti, immagina uno stato di natura in cui siamo, sì, simili ad animali, ma non a quelli ordinati, meticolosi e collaborativi citati sopra. Siamo come lupi, cattivi, selvaggi e violenti. Ma, c’è un ma: possiamo sbarazzarci del lupo che è in noi grazie al contratto stipulato coi nostri simili, in cui rinunciamo alla libertà per ottenere la garanzia di vantaggi maggiori.
Cosa vuol dire sbarazzarci del lupo? La questione è più complessa di quello che sembra, e il lupo merita sicuramente attenzione, perché nei sogni sono animali come questo, dotati di enigmaticità, potenza e ambivalenza, a farci visita.
Il lupo è ambivalente, perché oltre al lupo famelico di Cappuccetto Rosso, conosciamo la lupa protettiva di Romolo e Remo o il saggio Akela del “Libro della Giungla”.
Il filosofo Mark Rowlands adottò un lupo, e raccontò in un libro l’esperienza intensa vissuta al suo fianco, fino alla fine e in ogni dove, persino in classe, con gli studenti e in compagnia di Wittgenstein, Russell e tanti altri. Al di là della profondità di molti passaggi, il testo insiste sulla differenza tra due tipi di animali: i lupi da una parte e le scimmie dall’altra. Nel confronto siamo noi ad uscirne miseramente, sia per morale che per etica, in quanto imparentati alle scimmie per strutture cerebrali e comportamentali. La scimmia riduce tutto e tutti in termini di costi-benefici, è calcolatrice e imbrogliona. Fa bottino del passato solo per servirsene nel futuro e infischiandosene dell’inutile presente. La sua intelligenza è strumentale e analitica, e si è evoluta per essere più abile nel complotto, per ingannare, cospirare e avvantaggiarsi.
Attraverso la convivenza col lupo Brenin, Rowlands scopre che questo animale è molto diverso, può insegnargli cosa sia la felicità, dare un altro senso alla morte, alla vita e alle relazioni. Il lupo è curioso e divertente, ha spirito di adattamento, intuizione e sete di conoscenza; è coraggioso, forte e protettivo, ignora la vendetta e perdona subito, senza rancore; vive solo il presente e, soprattutto, nella sua lealtà è “resistente al male”. Rowlands, infatti, rileva come i lupi superino brillantemente la “prova di Kundera”, che misura la bontà di qualcuno dalla relazione che instaura con chi è privo di forza, cioè quando decade ogni ragione strumentale di trattare l’altro con rispetto e civiltà. Non ne usciamo bene noi, che scimmiescamente cerchiamo vantaggi sempre e comunque. E la cosa peggiore è questa: se l’altro non è più debole, pianifichiamo il modo per costruire la sua debolezza. Per dirla ancora con Rowlands, “gli uomini sono quegli animali che progettano la possibilità del male”. Non è questo che è successo con gli indios? Chi erano i lupi e chi le scimmie?
Allora, tornando a Hobbes, sono le scimmie che hanno stipulato il contratto sociale, non i lupi! I lupi non avrebbero mai venduto la libertà, loro sono “il popolo “libero”, e sono liberi proprio perché aderiscono a una legge, quella della giungla, secondo cui il diritto del branco è il diritto del più debole. Le scimmie invece, che nella giungla sono “il popolo senza legge”, hanno contrattato la libertà in cambio di tornaconti maggiori. E nella giustizia che deriva dalle loro leggi la lealtà non è contemplata.
Allora guardare il mondo in “modo animale”, come suggerisci, potrebbe sì migliorare le nostre relazioni sociali, se riconosciamo che la lealtà viene prima del calcolo, se scegliamo il lupo antico e dimenticato che eravamo un tempo, prima che diventassimo scimmie.
Lascio a Rowlands la consueta domanda finale: “Tutto questo che cosa ci dice di noi stessi? Che tipo di animale penserebbe al suo bene più prezioso, la moralità, come a qualcosa di basato su un contratto?”
Irene Merlini
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