Lo spettacolo della morte, dal Neolitico al Corriere della Sera
“Già durante il Neolitico, in Italia, era diffuso il culto dei morti, ai quali si dava sepoltura secondo un rituale che prevedeva il rispetto per il defunto e una cura particolare per la tomba.” (tratto da Wikipedia)
L’uomo del Neolitico, pur senza possedere particolari cognizioni biologiche, sociali o antropologiche della morte, ne percepiva l’assoluta importanza e per questo motivo chi subiva tale irrimediabile evento, ci raccontano alcune tombe rinvenute, godeva di alcuni benefici tra cui, pare, il rispetto dei sopravvissuti.
Ma gli anni passano e le ere storiche con loro, così ci ritrova a vivere – e ovviamente a morire – in quella che alcuni hanno definito “la società dello spettacolo”.
Uno spettacolo continuo, un fluire incessante e infinito di vite umane riducibili a puro enterteinment, all’affannosa ricerca di nuove e sempre più intriganti narrazioni per il cittadino-spettatore. La morte, che probabilmente è la più interessante e scenografica azione che l’essere umano compie nell’arco della sua vita non può certo permettersi di sfuggire a questa dinamica, anzi ne deve diventare la “puntata” principale e più coinvolgente, il season finale.
Grazie a Dio, o forse nonostante Lui, oggi i social network ci offrono la possibilità di pescare a piene mani nelle vite (passate) dei morti (di giornata), consentendo al bravo narratore di rendere pubblico alla comunità dei sopravvissuti tutto ciò che il defunto ha pensato, provato, commentato durante la sua esistenza. Anche le cose più intime, anzi, soprattutto quelle.
Ed è così che nasce l’esercizio di stile odierno del Corriere, che manda una sua delicata penna a spulciare nel profilo facebook di una ragazzina morta per cause ancora sconosciute poche ore fa.
Le sue foto, le sue amicizie virtuali (di cui ci è dato il numero esatto, 1.2479), i suoi piercing e il suo taglio di capelli, soprattutto, l’immancabile playlist musicale, con citazione di quella strofa tanto drammatica quanto preveggente.
Con tutti questi dati e informazioni, lo spulciatore ( il giornalista scusate, ma è un’altra categoria ontologica) non può esimersi dal tratteggiare il ritratto della ragazza defunta, in alcuni punti offrendo allo spettatore (il lettore scusate, ma è un’altra categoria ontologica) dettagli precisi e puntuali che organizzati a sistema producono giudizi incontrovertibili (“l’arte del ritratto e la fotografia erano passioni appena sbocciate. Coltivate a corrente alternata. Come tutto ciò di cui si innamorava e che nel giro di poco tempo sembrava deluderla”) altre volte invece solo accennando a indizi di possibili moti dell’anima (“i suoi tre piercing e la perlina conficcata sulla lingua, possono fare pensare a una personalità complessa“).
Insomma, la Morte ed i morti, rispettati e adorati nel silenzio e nell’intimità dei loro cari intenti nel frattempo a produrre acuminate frecce di selce qualche era fa, sono oggi diventati oggetto di svago e spettacolarizzazione, argomento di discussione in spiaggia, sotto l’ombrellone.
Grazie a questo articolo del Corriere, abbiamo finalmente sfondato quello stupido muro di ipocrisia che ci teneva a distanza dal dolore e dall’intimità altrui e ci siamo finalmente calati con tutti e due i piedi nella tomba del defunto, armati di taccuino, penna e videocamere, così da annotare e riprendere il tutto.
The show must go on!
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