Costume

Viaggio a Voghera, dove la vera emergenza è la noia di chi non ha niente da fare

25 Luglio 2021

VOGHERA – «Intendiamoci, l’insicurezza delle persone è un tema vero e sentito qui in città, e il moltiplicarsi di immigrati in strada a non fare niente, negli ultimi dieci anni, si fa sentire e pesa sulle paure dei nostri concittadini. Però… Però, ecco: a Voghera c’è un Pil procapite bassissimo, attorno ai 17-18 mila euro, diecimila meno di Pavia che è qui attaccata, per intenderci. Siamo ormai periferici, lontani da tutto, Milano sembra un altro mondo, i giovani bravi se ne vanno mentre la città invecchia e vivacchia. I problemi principali di Voghera direi che stanno qui». Parola di Marco Sartori, avvocato e politico vogherese, una vita nella Lega, anche come consigliere comunale, prima di passare a Fratelli d’Italia. Insomma, non serve stare a sinistra o fare volontariato al fianco di Carola Rackete per ammettere che, in quello specchio della provincia italiana che si chiama Voghera, il problema principale non è la sicurezza e la minaccia più accesa al futuro non sono i migranti. L’uomo di destra non relativizza l’allarme sicurezza, difende anche alcuni dei provvedimenti di Adriatici – l’assessore alla sicurezza, ora agli arresti domiciliari con l’accusa di aver ucciso per eccesso di difesa Youns El Boussettaoui – ma anche lui ammette che il problema principale di Voghera sta altrove.

Sono venuto “quaggiù”, dove la Lombardia si incunea tra il Piemonte e il piacentino e le montagne liguri sono a tiro di bicicletta, per provare a inquadrare una piccola città col grandangolo, per provare a mettere una tragica notizia di cronaca nel suo contesto territoriale. E nell’estate del 2021 non si può non partire da quella che è – dovrebbe essere, ancora – la principale preoccupazione di tutti: la fine della pandemia, la ripresa dopo la pandemia. A Voghera la prima ondata, quella del 2020 è stata devastante. In una cittadina di circa 40 mila abitanti, “abbiamo avuto decine e decine di morti e tanta gente in condizioni gravi per settimane, per mesi”, mi racconta l’avvocato Alessandro Zucchi, passeggiando attorno al Duomo. Sono morti gli anziani, tanti, come ovunque. Ma non solo. Ad un bar ascolto le conversazioni dei giorni dopo. Tanti parlano del fattaccio, certo, ma non tutti. C’è ancora il Covid nell’aria. “Da quando è stato dimesso, dopo settimane di rianimazione, non l’abbiamo più visto in uniforme, forse è in aspettativa per motivi di salute”, dicono parlando di un carabiniere. È solo una storia, ma sembra particolarmente simbolica in giorni in cui certa politica ha voluto sostituirsi alle forze dell’ordine, con i risultati drammatici che conosciamo. Ma la pandemia, che soprattutto al primo giro qui ha portato morte e dolore, si innesta su una situazione di lento, progressivo e inesorabile declino, iniziato ormai tanti anni fa. Della perifericità di Voghera ce ne si accorge anche solo sfogliando gli orari del treno. Le connessioni con Milano, che pure è vicina e dovrebbe essere la “capitale” di riferimento sono poche, e concentrate tutte in poche fasce orarie. A testimonianza sicuramente di politiche dei trasporti fatte sempre più “al risparmio”. Ma anche del fatto che la connessione tra questa pendice all’estremo sud lombardo e il resto della Lombardia non ha grande mercato. «In compenso, negli ultimi anni, abbiamo visto aumentare in modo importante le povertà e i bisogni di base, anche quelli degli italiani» dice Alessia Cacocciola, che lavora per la Caritas Diocesana di Tortona, sede vescovile in provincia di Alessandria che però è competente per Voghera. «A differenza di quel che si dice El Boussettaoui non era seguito da noi. Purtroppo non è raro che persone così bisognose e in condizioni di salute anche gravi non siano prese in carico da nessuno. Il problema del resto è a monte: spesso sono persone che non hanno una residenza e senza residenza non c’è medico di base, che è poi una figura chiave nel rendere possibile un processo di cura specialistica, anche psichiatrica». Una volta, proprio per garantire livelli minimi di assistenza, le amministrazioni accettavano di riconoscere la residenza temporanea ai senza fissa dimora, un escamotage modellato sulla vita viandante dei circensi e dei giostrai. Ma ovviamente questo uso compassionevole della residenza si è perduto, nascondendosi dietro un’interpretazione rigorista delle norme, sicuramente condivisa anche da Adriatici. «Una cosa è certa:» prosegue Cacocciola «nel reparto di psichiatria i medici specialisti sono tre o quattro, e sono sicuramente meno di quelli che servirebbero a prendersi cura di un disagio psichico sempre crescente, tanto più adesso, dopo la pandemia».

Da sempre territorio a vocazione agricola, questo pezzo di provincia di Pavia viaggia comunque per conto suo, lontana dal pur vicinissimo capoluogo che può contare, da secoli, sull’eccellenza di un’università che continua ad attrarre studenti da mezza italia. Nel 2013 ha chiuso la sede del Tribunale, e quindi tutte le funzioni giudiziarie principali sono state accorpate a Pavia, facendo perdere a Voghera il tradizionale ruolo di riferimento burocratico per i territori dell’Oltrepo e della Lomellina. L’industria, che quaggiù non ha mai avuto la proverbiale centralità nota nel nord e nel nordest lombardo, mantiene qualche presidio sempre più malfermo. È il caso della Cameron Grove, ad esempio, azienda statunitense che produce valvole per il settore dell’Oil and Gas. Da un lato la transizione energetica, dall’altro le continue minacce di delocalizzare e trasferirsi altrove, rendono quanto precario uno degli ultimi presidi occupazionali industriali. Molte aziende del territorio hanno chiuso nell’ultimo decennio, togliendo sbocchi sia al lavoro meno qualificato che, eventualmente, anche a quello dei giovani vogheresi che con una laurea in tasca puntavano però a rimanere sul territorio, magari facendo carriera a due passi da casa. Questo è sempre più difficile, in una zona di Lombardia e di Nord Italia sempre meno produttiva. Tra le storiche eccellenze ci sarebbe, sulle colline dell’Oltrepo, la produzione vitivinicola. Da qui arrivavano, per tutta la seconda metà del Novecento, vagonate di damigiane di bianchi e rossi senza troppe pretese e dal costo contenuto, che riempivano le cantine delle osterie di mezza Lombardia. Negli anni si è cercato anche di valorizzare le produzioni di maggior qualità, che ci sono sempre state, soprattutto quelle incentrate su vitigni potenzialmente pregiati e qui radicati da secoli, come il Pinot Nero. Un cammino, quello verso il riconoscimento dell’eccellenza, reso più faticoso dagli scandali che di tanto in tanto – l’ultimo pochi mesi fa – travolgono alcuni produttori, accusati di adulterare i prodotti. Anche in quel caso, si attendono ancora i riscontri definitivi e i punti fermi che devono essere messi dagli organi competenti. Ma intanto la botta d’immagine resta, e si sedimenta, un’inchiesta e una retata dopo l’altra.

Nel suo ufficio al tredicesimo piano del Pirellone, il consigliere regionale vogherese Simone Verni del Movimento 5 Stelle sorride amaro. Sul fatto che l’emergenza vera, a Voghera e dintorni, non sia la sicurezza, non ha troppi dubbi. Anzi. Commentiamo insieme i giornali, che parlano di “escalation”, per poi precisare che le morti violente in città sono state quattro negli ultimi 15 anni. «Quindi vuol dire che il 25% di queste morti l’ha causato l’assessore alla sicurezza». Lui i leghisti li conosce bene, dopo qualche anno all’opposizione della giunta. «Questa è una regione che non fa indagini epidemiologiche, e quindi non siamo in grado di capire come i fattori inquinanti impattino sulla salute dei cittadini. In questa regione è consentito di avere in Provincia di Pavia, la nostra provincia, due termovalorizzatori, ed è stata anche autorizzata un’espansione delle attività, negli anni scorsi. Non perché servissero al territorio, sia chiaro: per farli funzionare, per farli stare almeno a breakeven, importiamo nella nostra provincia tonnellate e tonnellate di rifiuti». Racconta con passione le battaglie per un territorio in cui vengono sversati «il 50% dei fanghi da defecazione di tutta la Lombardia». Lo stesso territorio su cui insiste uno dei grandi temi che attraversano il modello di sviluppo della Pianura Padana, incidendone la carne. Parliamo, naturalmente, di logistica. «Abbiamo province disseminate di casermoni di cemento armato, costruiti devastando pezzi di campagna vergine. Poi, dopo due anni, il progetto logistico naufraga, il capannone resta lì, abbandonato, e la stessa richiesta viene avanzata al Comune accanto. Naturalmente, con le casse vuote degli enti locali, tutti sono pronti a fare i ponti d’oro ai grandi player della logistica internazionale che offrono milioni. Stiamo cercando di obbligare tutti a utilizzare quello che è già costruito e vuoto, ad esempio, anche se qua in regione è dura. Per fare un esempio: nella scorsa giunta avevano un’assessora all’ambiente, Giulia Maria Terzi, che la mattina raccoglieva le firme contro la costruzione di un inceneritore nelle zone in cui prendeva i voti, e il pomeriggio votava a favore della costruzione, nelle sede istituzionali in cui rappresentava i cittadini…».
Certo, bella la vita del 5 Stelle che fa opposizione alla Lega in Lombardia. Però insomma, siete stati al governo insieme a Roma, prima col primo Conte, e ora con Draghi. «Io da militante ho votato due volte no, sempre dichiarandolo. Adesso, quando c’era da decidere se sostenere Draghi, ho provato a spiegare a tutti che il problema non è sostenere o meno un governo Draghi. Il problema è perchè lo si fa. Mi dicono che così possiamo controllare i processi…». E scuote la testa, come chi ancora non si è convinto che sia vero.

Per le strade di Voghera, intanto, l’estate afosa e piena di insetti sembra sgombrare il campo da chi non ha il fisico. Ci vuole tempra. «Ho capito che è una roba grave dai, ma non facciamola lunga. Se ne occuperà la magistratura, speriamo con misura. Ma non è proprio il caso che tutto il paese ne parli ancora a lungo» dice un operatore bancario saltando in macchina, mentre la chioma lunga, vagamente anni Novanta, lo segue appena in tempo prima che si richiuda la portiera. Roberta Migliavacca, invece, sospira. «Mezza Voghera non mi saluta più». Lei è la donna che ha portato fiori e parole di solidarietà davanti al bar Ligure, su quei maledetti venti metri quadri in cui un uomo senza pistola è morto, e quello con la pistola dovrà spiegare perché è successo. «Youns stava male, malissimo. Ogni tanto lo trovavi steso a terra che leccava i marciapiedi. Adesso hanno pure iniziato a dire che stava molestando una donna, e che Adriatici sarebbe intervenuto per difendere lei…». Chi ha iniziato è Angelo Ciocca, deputato leghista pavese,  che prima ha parlato di una molestia su una donna che subito dopo è scomparsa da ogni radar, e poi su twitter ha prontamente commentato l’unico video circolante spiegando che «se questa non è legittima difesa, cos’è?». Più morbida, per definizione, la prima cittadina, Paola Garlaschelli, anche lei leghista: «Cari cittadini, sono giorni difficili per la nostra comunità. Siamo increduli per la tragedia che si è consumata, scossi dal clamore che ha investito la nostra città e dalla strumentalizzazione mediatica che hanno assunto fatti che la magistratura è stata chiamata a chiarire». Per caldeggiare la sua elezione arrivò il capitano Matteo Salvini in persona, tanto che più di un osservatore, sul territorio, sospetta che l’incrocio tra provincia spopolata e annoiata, perifiricità terminale e risorse ambientali da aggredire facciano di quel territorio un laboratorio ideale per sperimentare nuove alchimie. O, almeno, per farne una roccaforte inespugnabile per anni e magari decenni, altri ancora, a venire.

Intanto, da Salvini in giù, la linea sul fatto resta una: se non è questa legittima difesa, cos’è? Cos’è, per definizione, lo stabiliscono i tribunali, alla fine di un giusto processo, con tutte le dovute garanzie, e sperando che – tra una riforma e l’altra – il tutto non vada prescritto in appello. Ma questo, almeno per ora, è un altro discorso. Oggi ci sono solo un malato psichiatrico, cittadino marocchino, mai assistito davvero dallo stato italiano, morto sparato da un assessore alla sicurezza, avvocato, ex poliziotto, di Voghera, in provincia di Pavia. Fa un po’ impressione una cosa. Anzi, fa parecchia impressione. Ad ogni livello, il fatto che Youns fosse un conclamato malato psichiatrico, troppo marginale per entrare in un sistema di assistenza, non viene considerato. Non se ne parla. Enrico Letta punta il dito contro le troppe armi, e poi tace. Poco, pochissimo. Più della stragrande maggioranza dei politici di centrosinistra e del Movimento 5 Stelle, che tacciono, più o meno tutti. Tace Giuseppe Conte, tace Matteo Renzi, tace Beppe Grillo (e va bene così, per carità). Parla invece la destra, da Salvini in giù (sempre che sia possibile scendere). A tutti, silenti e parlanti, mi sento di dare un consiglio, che – sia chiaro – non è un augurio. La politica tende a parlare o a tacere immaginando, ormai, solo i sentimenti maggioratori. E quindi pensa che la maggioranza delle persone che può votare “empatizzerà” più facilmente con Adriatici che con un povero marocchino con problemi psichiatrici. Sicuramente hanno ragione loro. Tuttavia, i problemi psichiatrici – che magari erano, in origine, solo psicologici – esistono e riguardano milioni di famiglie italiane. Sono problemi seri, drammatici, che probabilmente, come molti altri, i nostri politici non hanno mai vissuto da vicino, O forse sì, chissà. Ecco, pensare che Youns potrebbe essere loro – nostro – fratello, padre o figlio, potrebbe aiutare a essere politici migliori. Ed esseri umani degni di questo nome.

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