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Bernardo Biondo: il bridge crea caratteri forti
L’ho dovuto inseguire in giro per il mondo. L’unica volta che l’ho “beccato” a Roma, era alle prese con una pièce teatrale. Insomma, da farti girare la testa per quanto si muove. D’altronde non può essere diversamente, perché Bernardo Biondo, romano, è un arbitro internazionale di bridge. E anche un grande giocatore. Ha vinto 3 medaglie d’oro, una d’argento e una di bronzo in campionati internazionali. E 3 ori, 2 argenti e 3 bronzi in campionati nazionali. Senza dimenticare la vittoria nel Campionato del mondo a squadre juniores del 1999. L’ultimo suo successo è il primo posto nella Coppa Italia mista del 2016. Insomma è uno che vive da sempre al top del gioco del bridge e che ne conosce l’anima più profonda, per cui risulta interessante sapere come la pensa, su tante cose.
Bernardo la prima domanda è ovvia: si diventa arbitro solo se si è un ottimo giocatore di bridge o si segue invece un diverso percorso professionale?
Essere un buono o ottimo giocatore non è una qualità assoluta e richiesta per poter diventare un arbitro importante e riconosciuto, però potrebbe aiutare. Mi spiego meglio: se io per un qualunque lavoro dovessi affidarmi ad un perito anche per le cose più semplici, perché ignoro del tutto la materia, il mio lavoro sarebbe quantomeno più lento e macchinoso. Potendo invece indossare al volo i panni dei giocatori interessati, riesci a dirimere velocemente alcune problematiche. Ciò non toglie che un ottimo arbitro, anche se carente in tecnica bridgistica, possa sopperire trovando “periti bridgistici” con cui risolvere problemi più complessi.
Tu non sei solo un grande arbitro. Sei anche un ottimo Maestro di bridge. E un buon maestro lo si riconosce dalla scintilla che ha negli occhi quando spiega, si usa dire. E tu la scintilla ce l’hai. In questo gioco abbastanza difficile, e si sa, i tempi di apprendimento sono lunghi e non tutti riescono ad avere pazienza e scappano. Quali consigli daresti a chi pensa di non riuscire ad imparare bene così da potersi difendere nella giusta misura nelle competizioni?
È un lungo e faticoso percorso. Per ogni gradino salito ti sembra di doverne affrontare troppi e troppo complessi…però è un gioco, ed è anche uno sport, il più bello del mondo. Unisce e appaia tutti quanti. Per imparare bisogna ascoltare con umiltà, scegliendo con cura fra vari “falsi esperti”, i consigli e gli insegnamenti, senza pensare mai di essere diventato bravo, anche dopo qualche parziale successo. Diciamo che bisogna avere tigna, come si dice a Roma.
Prendo un esempio delle tue lezioni….Attacchi: come farsi amare dal compagno (e odiare dall’avversario); Contratti impossibili: il moltiplicatore di prese; Professor X: l’abilità di leggere le tue carte (e fregarti); Contro: libretto illustrativo per giocatori ipocondriaci; Pensavo fosse amore e invece ha detto passo; Fiori Forte: delitto ma soprattutto castigo. Questi i titoli intriganti di un tuo corso base. Sono più lezioni di tecnica pura del gioco o gioco psicologico con qualche tecnica?
Ammetto di non essere io il creatore dei titoli così accattivanti e promettenti. Lo fa Alessia Cornali che essendo una brava professionista, oltre che la mia povera ragazza, riesce a trovare le parole migliori per invitare alla presenza. Io faccio lezioni a ogni livello, quindi posso scegliere un argomento e poi plasmare la lezioni dopo aver capito il livello medio della sala. Sarebbe inutile e sciocco fare una lezione di livello top a poco più che principianti che non capirebbero e si deprimerebbero. Comunque adoro la logica del naturale e spesso cerco di approfondire i meccanismi logici delle cose, evitando di costringere a sforzi mnemonici spesso inutili. Per quello che riguarda la tecnica, adoro la logica, la connessione fra licite fatte o non fatte e carte giocate. E tutto quello che riguarda e stuzzica non solo la conoscenza pedissequa di manovre considerate sterili, se prese e non contestualizzate!
Il nostro Paese ha tanti giocatori di bridge. Tu che giri tanto e ti confronti con molti campioni di tutto il mondo, come classificheresti il giocatore italiano? Ottimo, bravo o mediocre?
A livello assoluto gli italiani sono la “razza” migliore fra i tanti che giocano. Merito ovviamente di scuole e di giocatori storici di ieri e di oggi. Come livello medio credo siano in ascesa Paesi dove il bridge viene insegnato sin da quando sono ragazzi. Un esempio su tutti è la Polonia che sforna di continuo tanti giocatori di buon livello, anche ottimi a volte e gli Stati Uniti. Diciamo che il livello medio alla fine crea un forte gruppo più o meno omogeneo, con spinta verso l’alto.
Sei una persona molto proattiva, nel senso che ti dedichi molto a promuovere e insegnare questo gioco. Non ti fermi mai. Ti ritieni soddisfatto dei risultati o vorresti fare ancora di più. E cosa?
Amo insegnare il bridge, trovare persone a cui parlare e con cui divertirmi. Le mie lezioni, poveri loro, potrebbero durare ore se non venissi fermato da qualche segnale di fumo dal fondo della sala… però credo che si dovrebbe fare una pubblicità diversa per creare una patina più attrattiva: cercare di far giocare immediatamente le persone per creare la passione. E’ un peccato vedere così poca collaborazione e coesione nello spingere tutti verso l’obiettivo della divulgazione.
Si usa dire che il bridge supporta molto la ricerca della costruzione dell’identità personale e che il continuo confronto permette di acquisire una serie di sicurezze comportamentali. Questo potrebbe significare che i giocatori di bridge sono persone perfette da un punto di vista comportamentale?
Ahahaha, perfette non direi proprio, ma sicuramente il bridge apre la porta alla logica, alle capacità deduttive, alla collaborazione e alla capacità di reagire immediatamente a situazioni fluide. E’ una buona palestra per creare caratteri forti. Anche troppo a volte.
Cambieresti qualcosa nei rapporti tra gioco e giocatori, tra la Federazione e le tante società e tra Maestri e Allievi? Insomma pensi che sia tutto perfetto così o si dovrebbe cambiare o migliorare questo grande spaccato di vita umana a cui apparteniamo ormai in gran numero?
Tante cose non vanno. Da tutte le parti. E sarebbe difficile stilare classifiche di colpe e meriti. I giocatori spesso non rispettano il gioco. Credo sia una delle mie frasi più frequenti, mentre il gioco bellissimo non permette distrazioni ed errori. E’ questo che lo fa essere sempre così diverso e divertente.
La Federazione ogni 4 anni cambia e nel cambiare necessita di lunghi tempi per riassemblare e ripartire e questo crea problemi alle Associazioni che non sempre si sentono difese ed aiutate ma solo utilizzate come bancomat. Dall’altra parte le Associazioni, spesso, pensano solo al proprio orticello ignorando o addirittura ostacolando progetti e situazioni che alla lunga farebbero il bene del bridge.
Per quello che riguarda gli insegnanti ci sarebbe molto da parlare, poiché se da un lato è bene e serve che su tutto il territorio ci siano persone che più o meno a titolo gratuito, insegnino le basi del gioco, dall’altro degli insegnanti non all’altezza, e non mi sbilancio oltre, possono rompere il filo che si è creato fra allievi e il bridge, interrompendo la “storia d’amore” sul nascere.
Gli allievi alle volte si sentono arrivati o danno per scontato di aver tutto chiaro. Poi se volessimo aprire la situazione economica, dovremmo aprire un comizio infinito.
Sto in questi giorni arbitrando i campionati Sudamericani di Bridge validi anche per la qualificazione alla partecipazione ai prossimi mondiali in Cina e ho notato una passione e una veracità nelle reazioni che in molti altri posti è stata sostituita da arroganza e presunzione. Eppure il gioco è sempre lo stesso. Cambiamo noi, cambiamo i sistemi, le convenzioni, ma in fondo vince sempre chi è disposto a dare tutto e a non mollare. Anche a livello mentale.
Nell’ultima mia intervista alla professoressa Montalcini, fatta prima che morisse, lei volle lasciare un testamento importante ai giovani: «Ritengo, disse, che sia dannoso per lo scienziato e non, rinchiudersi nella propria torre d’avorio, perché un’esigenza dello spirito è quella di comunicare i nostri dubbi, le certezze e le vittorie». Ecco, secondo te, il bridge potrebbe essere quell’ambiente ideale che a qualsiasi persona, che viva chiusa nel proprio lavoro, nella propria casa o solo nel proprio ego, permetta di uscire dalla propria torre d’avorio per confrontarsi con gli altri e quindi migliorare se stessa e …la società?
Credo possa sicuramente essere una buona via di uscita, soprattutto per menti brillanti o che hanno voglia di misurarsi in primis con se stessi. L’unico problema che intravedo è che essendo spesso ostico l’apprendimento, come reagirebbero questi “geni” nelle loro particolari realtà lavorative ad insuccessi o salite molto ripide da scalare? Ahaha, mi è successo qualche volta e ho visto reazioni molto diverse fra loro.
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