Lusetti: “Il paese ha bisogno di più cooperazione, non di più cooperative”
Mauro Lusetti è a Milano, per le celebrazioni del 130esimo anniversario di Lega delle Cooperative, che nasceva, proprio a Milano, nel 1886. Sono giorni complicati, […]
Il dato della perdita di 37 milioni di euro, ufficializzato dalla stessa Coop due giorni fa con una comunicazione ai soci, è clamoroso, ma leggendo nei dettagli il bilancio (o meglio la bozza che deve essere approvata nelle varie assemblee territoriali già calendarizzate a partire dal 16 maggio) emergono altri dettagli interessanti sui conti della maxi cooperativa Coop Alleanza 3.0.
FONDO URANIA E FONDO RP
In particolare, si legge nella bozza, sono state messe a bilancio plusvalenze per 91 milioni di euro (e minusvalenze per 6 milioni). Nel 2017 Alleanza 3.0 ha infatti messo mano al proprio patrimonio immobiliare con l’apporto di strutture commerciali al Fondo Retail Partnership (RP), specificamente 5 ipermercati e 40 supermercati e con la cessione della Galleria Commerciale di Taranto al Fondo Urania.
Ma di chi sono questi fondi? Entrambi di Coop Alleanza 3.0. Infatti il Fondo Retail Partnership (RP) al 31 dicembre 2017 è composto da 4.345 quote, interamente detenute dalla Cooperativa, gestito da BNP Paribas Real Estate SGR e iscritto a bilancio per un valore di 222 milioni di euro. Le proprietà del Fondo sono passate dai 5 ipermercati del 2016 a 12 ipermercati e 40 supermercati, detenuti in locazione dalla Cooperativa.
Il Fondo immobiliare chiuso Urania, gestito da Serenissima SGR, è invece costituito da 848 quote, interamente detenute dalla Cooperativa ed è iscritto a bilancio per un valore di 85 milioni di euro.
In pratica, le plusvalenze che hanno consentito di chiudere con un buco di ‘solo’ 37 milioni sono frutto di vendite a un fondo di proprietà della stessa Coop.
Va inoltre sottolineato come, leggendo il bilancio, tra i debiti più importanti della cooperativa vi sia il prestito sociale per 3.916 milioni di euro, cioè denaro prestato dai soci: questo è ben superiore al patrimonio netto della società, ed è immediatamente esigibile (cioè a richiesta), mentre gli attivi finanziari (tra i quali anche queste quote di fondi e titoli relativi a società immobiliari ‘fatte in casa’) non sono a così rapido realizzo o di immediata esigibilità.
Il problema del prestito sociale è quindi evidente. Tra l’altro, lo stesso prestito sociale è soggetto a specifici vincoli per mantenerlo nella liceità. In particolare è previsto che “il Prestito sociale non possa essere immobilizzato per più del 30% in attrezzature, impianti, partecipazioni in società non quotate su mercati regolamentati e immobili”.
Secondo quanto sopra, allora, l’operazione di fine anno non solo ha generato plusvalore migliorando il risultato economico per 96milioni, ma ha consentito di migliorare gli indici per il mantenimento del prestito sociale (forse il vero problema della società) trasformando gli immobili in titoli quotati. La stessa operazione, però, in quanto “fatta in casa” (inhouse), non ha generato “cassa”, in quanto non c’è stato alcun incasso del prezzo (almeno per la maggior parte di detti immobili), ma in conto prezzo la conferente ha ricevuto quote del Fondo in luogo dei denari.
Leo
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