2020: odissea elettorale nello spazio digitale
Il mondo è cambiato e molti, tra noi, se ne sono resi conto. Non siamo nelle condizioni di immaginare a breve termine come saranno organizzate le nostre vite, si può essere più o meno ottimisti nei confronti delle prossime vacanze estive, ma siamo certi che alcune dinamiche di gruppo così come le abbiamo vissute fino a febbraio saranno inevitabilmente un lontano ricordo. Tra queste ci sono le campagne elettorali.
Sono anni che la digitalizzazione ha mutato l’organizzazione di una campagna elettorale. L’investimento, sia in termini di contenuti che di budget, sul digitale è oramai dato per scontato, almeno da Obama in poi. La grande forza, per esempio, di quella che sarà ricordata come la prima campagna digitale di sempre (Obama 2008) fu l’uso straordinario di internet come strumento di organizzazione, di raccolta fondi, di motivazione e, soprattutto, di incontro tra persone in carne ed ossa. Molto è cambiato nella più straordinaria delle campagne elettorali recenti, quella del 2016, che portò all’elezione di Trump. Oggi, le possibilità offerte dalle piattaforme digitali sono infinite: permettono sia di essere sempre più generalisti che far arrivare il messaggio a target sempre più specifici. La sovrapposizione con la tv è ormai realtà, i social sono diventati un canale di comunicazione ordinario per i nostri leader nazionali; inoltre i dati che le piattaforme mettono a disposizione permettono di essere quanto più precisi e chirurgici nell’individuare i target di riferimento, uno strumento potenzialmente decisivo. In ogni caso, anche per Trump – “The Twitter President” – che nel 2016 ha fatto ampio uso, più o meno discutibile, dei dati e delle profilazioni di utenti, il contatto con l’elettorato ha rappresentato un elemento imprescindibile del suo consenso. Non tanto per il numero di persone che un candidato riesce a raggiungere direttamente, infinitesimamente minore di qualsiasi corpo elettorale, ma per l’effetto di senso che produce sulla sua immagine. Il fatto stesso di poter stringere delle mani, di poter organizzare eventi in location simboliche o attorno a tematiche particolari, anche una visita in una fabbrica è fondamentale non tanto per la relazione “fisica” in sé ma per la narrazione che si costruisce intorno alla campagna elettorale. Negli ultimi anni, anche nelle contese elettorali più avvincenti e incerte (si pensi a Milano 2016 tra Sala e Parisi) le presenze agli eventi pubblici sono state molto limitate, ruotando in sostanza attorno ad un nucleo di “soliti noti”. Quella che che cambierà quindi non è tanto la mancanza di questa relazione “fisica” con l’elettorato ma verranno a mancare una serie di attività che determinano delle ripercussioni nella costruzione di un immaginario e di conseguenza nello svolgimento di un’intera campagna elettorale.
Insomma, come sarà organizzare una campagna elettorale senza una stretta di mano e un baby-kissing?
“Il mondo non è ciò che penso, ma ciò che vivo”, per dirla alla Merleau Ponty, e il digitale è diventato sempre di più un prolungamento percettivo della nostra realtà. Le possibilità offerte dalle tecnologie sono molte di più e anche noi, nella nostra vita reale, ci stiamo abituando a vivere una videochiamata come un’effettiva esperienza sensoriale. Forse ancora non riusciamo a percepire la stessa emozione di fronte ad un’opera d’arte durante una visita virtuale o ad un concerto senza il sudore e la vicinanza con gli altri ma le nostre percezioni potrebbero evolversi, come già sta accadendo, anche di fronte al freddo schermo di un pc.
Se questo è il futuro che ci attende, non possiamo non immaginare quali potrebbero essere gli asset su cui puntare una campagna elettorale all’epoca del distanziamento sociale.
Tempi: la miglior difesa è l’attacco
Non cambiano solo i luoghi, anche i tempi di una campagna elettorale sono inversamente proporzionali alla sua digitalizzazione. La tempestività che già oggi è un valore imprescindibile per una comunicazione efficace online (se si ritarda, in genere non vale più la pena pubblicare), sarà ancora più dirimente. Avranno la meglio i candidati che riusciranno a essere più veloci, giocoforza quelli più aggressivi e che giocano sempre all’attacco. Gli “incumbent”, coloro che devono confermare il loro mandato, potrebbero essere penalizzati e sarà meglio che si adattino al contesto se non vogliono soccombere. Rispondere ad un attacco può richiedere tempo, studio dei dati, ricerca delle fonti. Nelle prossime campagne elettorali non ci sarà abbastanza tempo per chi dovrà difendersi, meglio attaccare.
Risorse: Fundraising and data driving
Niente più cene elettorali, lo strumento di fundraising più utilizzato in Italia. La prossima campagna elettorale dovrà probabilmente passare, causa Covid, attraverso il crowdfunding. Di piattaforme, anche politicamente connotate, ce ne sono già diverse e lo stesso Facebook è diventato un potente mezzo di raccolta fondi online. Quello che dovrà cambiare è la mentalità e la metodologia del fundraising. Fino ad oggi, gli esempi virtuosi italiani sono pochissimi. Non basta, infatti, far partire una raccolta su queste piattaforme ma è essenziale utilizzare tutti gli strumenti di comunicazione: call to action, mailing, fee ed eventi (online) dedicati. La chiave del successo risiede nel coinvolgere tutti i donatori (anche i più piccoli) tramite traguardi e ricompense simboliche e non. Grazie alle attività di crowdfunding, oltre a raccogliere finanziamenti, è possibile individuare la community che sostiene il progetto. Chi sono, quali sono i loro interessi, i loro amici: informazioni legittimamente acquisite, dal momento in cui sono raccolte in trasparenza e sicurezza, che permettono di arrivare a tanti potenziali elettori. Se non possiamo raggiungerli bussando a casa o invitandoli ad un incontro, lo faremo grazie ad una campagna data-oriented. Partendo dai dati di ciascun donatore, infatti, è possibile costruire modelli predittivi per avere una comunicazione più efficiente e mirata; grazie ai “look-alike audiences” (un algoritmo che trova persone accomunate da interessi simili) troveremo nuovi elettori potenzialmente già vicini alle posizioni del candidato. Senza la campagna elettorale “per strada”, la bulimia informativa digitale sarà ancora maggiore. Personalizzare i messaggi, georefenziare le zone con maggiori possibilità di vittoria, individuare i destinatari: sono tips alla base di qualsiasi buona strategia elettorale e in futuro lo saranno ancora di più. È arrivata l’era della campagna data driving digitale.
Organizzazione: militanti e mediatori digitali.
Se l’uso del fundraising, dei social media e dei dati è importante, organizzarli bene è essenziale. Se non si potrà fare volantinaggio o montare un gazebo, si potrebbero impiegare online le risorse della community raggiunta. Non solo le famose “war room” di fan che ricondividono contenuti, ma un’organizzazione vera e propria delle risorse-utenti affinché si sentano coinvolti in prima linea (Facebook ad esempio sta modificando i suoi “gruppi” seguendo questa direzione). Chiamare al telefono un elettore indeciso (su questo fa scuola il ballottaggio Sala-Parisi Milano 2016 dove durante il secondo turno furono effettuate 30.000 chiamate elettorali al popolo delle primarie del centrosinistra), individuare nuovi sostenitori, diventare “mediatori social” (la versione digital dei mediatori culturali), o introdurre nuove figure che – ben formate – lavorino sui social per divulgare messaggi e informazioni. Nuovi strumenti come Messenger Rooms possono avere un’enorme valenza nell’influenzare l’opinione e il consenso. Se io da casa apro la mia stanza per interagire con gli altri ci sto mettendo la faccia e la mia credibilità, funzionerò quindi da vero e proprio “microinfluencer”.
Correlare le informazioni raccolte nei dati e organizzare le truppe digitali sono insomma gli strumenti chiave per far passare un messaggio più forte e convincente.
Strumenti: come superare la filter bubble
Servono anche gli strumenti e nell’istant paper di Domenico Giordano e Angelo Montella “Come sarà la prima campagna elettorale post Coronavirus?” c’è un elenco lungo ed esauriente, da Facebok a Youtube, da Zoom a Bigvu. Il rischio nell’uso di questi strumenti è la classica “filter bubble”, ovvero che a partecipare siano sempre gli stessi, quelli che sono già convinti. Il tema è la creazione di contenuti originali e di intrattenimento che possano raccogliere un pubblico più ampio e che possano essere ripresi anche dai canali tradizionali come la tv. Non è un caso che Facebook abbia annunciato la possibilità del “Live With” sulla propria piattaforma, già presente su Instagram. Il tema degli “influencer” diventa cruciale per portare sulle proprie pagine più persone possibili, anche quelle solitamente lontane dalla conversazione politica. Senza il lavoro di organizzazione digitale, non si riusciranno a raggiungere fasce potenzialmente interessanti di consenso elettorale. La costruzione delle community è propedeutica al successo digitale e il coinvolgimento degli “influencer” fa parte del processo, così come proporre contenuti non prettamente politici ma anche ludici nella contesa elettorale digitale.
Non è da sottovalutare, infine, l’uso del “gaming” come strumento di engagement e interazione con potenziali elettori e altre possibili innovazioni come la realtà aumentata.
Lo scenario è completamente aperto, basta iniziare ad organizzarsi da subito. Ma, come sappiamo, prima del “come” c’è sempre il “cosa”: il web non è solo uno strumento ma è un luogo pubblico nel quale si costruisce la propria immagine e il posizionamento politico. Sono quindi i contenuti a veicolare il messaggio, costruire senso e soprattutto procurare follower/elettori.
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