Il rilancio del commercio mondiale passa per l’antica Via della seta
Andare fino al “Gattaio” era una faccenda lunga sì, ma non particolarmente complicata. Si partiva dal porto di Tana, nel Mar d’Azov, estremità settentrionale del Mar Nero, alle foci del Don. E poi attraverso l’Asia centrale si raggiungeva la Cina, ovvero il Catai o Gattaio, come si diceva al tempo. Prima si toccava la città marittima di Hangzhou, vicino a Shanghai, e da lì si arrivava fino a Pechino, o Cambaluc. Ci volevano meno di trecento giorni. Lo racconta il più celebre manuale di mercatura medievale, quello scritto dal fiorentino Francesco Pegolotti attorno al 1330-1340. È la Via della seta, anche se ancora non lo si sapeva, perché il nome sarebbe stato inventato soltanto nel 1877, dal geografo tedesco Ferdinand von Richthofen, zio del più noto Manfred, che passerà alla storia come Barone Rosso, l’asso dell’aviazione tedesca nella Prima guerra mondiale.
Oggi più che mai la Via della seta sta tornando d’attualità, e ancora una volta gli italiani sono protagonisti. Infatti il gruppo Salini Impregilo ne sta ultimando un tratto di circa 300 chilometri, in Kazakhstan, tra le città di Almaty e Khorgos, quest’ultima al confine con la Cina. Nel complesso, si tratta di ampliare e ammodernare 630 chilometri di strade, per un importo totale di 530 milioni di euro; i lavori stanno per concludersi. Oggi, come ai tempi di Marco Polo, le rotte per andare dal Mediterraneo al Gattaio, ovvero in Cina, possono essere diverse. Si può preferire la via marittima, attraverso il canale di Suez, la più economica, ma la più lunga perché richiede quasi una cinquantina di giorni; oppure si può optare per la strada ferrata, la Transiberiana, dove le merci impiegano due settimane per arrivare a Pechino, ma i costi sono abbastanza sostenuti.
Il nuovo collegamento via terra permetterà di raggiungere Pechino in una decina di giorni e a costi competitivi. Inoltre c’è da aspettarsi che si verifichino ricadute positive sui paesi attraversati dalla nuova arteria stradale, visto che il pezzo di strada a quattro corsie già realizzato in Kazakhstan, ha comportato un aumento del traffico merci del 60 per cento rispetto all’anno precedente.
Tratto della Via della Seta realizzato da Salini Impregilo in Kyzylorda (Kazakhstan)
La nuova Via della seta coinvolge un’area dove vive il 70 per cento della popolazione mondiale, produce il 55 per cento del Pil globale, e possiede il 75 per cento delle riserve energetiche conosciute. Comprensibile che ci sia più di qualcuno che guarda con interesse all’evoluzione della faccenda. Il governo cinese ci crede molto e ne ha fatto il perno di un progetto (One belt, One road, una cintura, una strada), lanciato nel 2013, con l’obiettivo di rilanciare le antiche e gloriose rotte commerciali. La neonata Banca per gli investimenti per le infrastrutture asiatica (Biia), fortemente voluta da Pechino, metterà sul piatto un capitale iniziale di 100 miliardi di dollari. I primi prestiti dovrebbero partire già nella prima metà del 2016. All’operazione Biia partecipano 57 Paesi, fra cui l’Italia che ha sottoscritto una quota del 2,6 per cento della banca multilaterale. I più freddi di tutti, per il momento, appaiono i russi che, anche a causa degli sviluppi politici delle loro relazioni con i paesi Ue, hanno rallentato la parte dei lavori che li riguarda, ovvero i 2.233 chilometri (su 8.445) necessari per arrivare al porto di San Pietroburgo. La fine lavori per quanto riguarda questo tratto è prevista nel 2020.
Chi invece sta cercando di terminare le opere quante prima è il Kazakhstan. Anche qui ci sono stati dei rallentamenti, dovuti all’abbassarsi del prezzo del petrolio e quindi alla conseguente diminuzione delle entrate del grande stato centro asiatico. Ma il governo di Astana ha deciso di procedere in ogni caso e quindi dall’anno prossimo il paese sarà quantomeno collegato al Golfo Persico e potrà accrescere in modo significativo le esportazioni di grano verso l’Iran. La parte kazaka della nuova Via della seta è lunga 2.787 chilometri e prevede un investimento complessivo di 75 miliardi di dollari Usa. Sarà un’arteria a quattro corsie che permetterà una velocità di percorrenza di 120 chilometri all’ora.
Gran parte della rete viaria del Kazakhstan risale ai tempi dell’Unione Sovietica e non è stata rinnovata, lasciando questo vastissimo territorio in una grave crisi infrastrutturale. Tra l’altro il cattivo stato delle strade ha causato un continuo aumento degli incidenti. Ora si sta rimediando e nel biennio 2016-2018 è previsto un finanziamento di 14 miliardi di dollari Usa dedicati alle infrastrutture. Di tutto questo reticolo stradale, la Via della seta costituisce la parte più importante e il presidente kazako, Nursultan Nazarbayev, ha dichiarato di puntare a un incremento del passaggio di merci lungo questa arteria fino a 30 milioni di tonnellate all’anno.
Esiste anche una parte ferroviaria della nuova Via della seta: nel 2015 il porto di Rotterdam, in Olanda, ha visto arrivare i primi container giunti in treno direttamente dalla Cina. I 10.800 chilometri di ferrovia che uniscono Chongqing, in Cina, a Duisburg, in Germania, permettono, per esempio, alla Hewlett Packard di connettere i suoi clienti europei con le fabbriche cinesi. Al ritorno i carri ferroviari trasportano auto di lusso europee destinate al mercato del gigante asiatico. Le cose non sono semplicissime perché i paesi coinvolti sono in tutto una quarantina e i convogli ferroviari devono cambiare due volte i carrelli per via dei diversi scartamenti dei binari di Russia, Bielorussia, Mongolia e Kazakhstan, rispetto a quelli cinesi e del resto d’Europa. Anche per questi motivi la via automobilistica risulterebbe più veloce, oltre a essere più breve di 2400 chilometri, che pochi non sono. Rispetto ai 300 giorni necessari per andare dall’Europa alla Cina ai tempi di Marco Polo, di strada se n’è fatta parecchia.
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