Presenzano, Unterleuten e politica
C’è un bel romanzo di Juli Zeh, Turbine, pubblicato in Italia da Fazi Editore nel 2018. L’autrice tedesca racconta nel libro le vicende accadute in un paesino di campagna chiamato Unterleuten (di cui solo di recente ho apprezzato il significato, tradotto significa tra la gente) alle prese con il progetto di costruzione di un parco eolico da parte di una società. Brevemente: la trasformazione di un territorio, il giro di soldi, i nodi dei rapporti e degli scontri nella comunità, le pulsioni, le ambizioni e l’odio dei singoli personaggi, sono tutti elementi narrati con eleganza dalla scrittrice. Ne esce fuori il ritratto di un mondo soffocato dai rancori. Uno dei passaggi più illuminanti:
“Nel tardo capitalismo la società non c’era più, era rimasto il gioco di società, e lo scopo del gioco era trasformare abilmente i miseri resti della politica in un fattore di intrattenimento. Dato che per propria ammissione i politici non potevano comunque più decidere niente, si tramutavano in attori specializzati in teatro dei sentimenti, messa in scena di convinzioni e simulazione di scelte”.
Comprai il libro e lo lessi soprattutto per via del mio coinvolgimento emotivo e ideale nella lotta contro la centrale termoelettrica attualmente in costruzione a Presenzano (Ce). Il parallelismo mi sembrava ovvio, e fui sorpreso solo in parte quando scoprii che alcune dinamiche, partorite dalla fantasia dell’autrice per descrivere quei fatti e quei protagonisti, le potevo ritrovare accadute anche qui, ieri e oggi.
Come ad Unterleuten anche a Presenzano la politica ha fallito, a tutti i livelli. Sul territorio i politici hanno ammesso di non poter decidere niente. Ma una politica che non decide praticamente non esiste, non serve, è inutile. Non resta allora che amministrare, ma il concetto è di gran lunga diverso. Su quanto poi tali amministratori, di tutto il circondario, abbiano messo in scena convinzioni o simulato scelte, va al di là dello scibile umano. La politica fallisce e la prima grande conseguenza è l’imbarbarimento dei rapporti umani. Ad un livello più alto la politica ha fallito invece per miopia. Sappiamo che il progetto di costruzione di una centrale termoelettrica a Presenzano risale ad una quindicina di anni fa e che tutti i governi, dal 2009 ad oggi, hanno di volta in volta concesso o prorogato le autorizzazioni ad Edison. E anche se questo possa sembrare risolutivo della questione, non la esaurisce per niente. Perché il punto non è lo stato dell’arte amministrativo, ma di principio politico. Si gioca su terreni diversi, parlando due lingue diverse. Alla base dell’opposizione a questo progetto c’è la ricerca di coesione sociale e di un patto tra generazioni. Solo nel 2020 il cantiere è stato finalmente aperto, ma oggi la situazione globale, oltre che territoriale, è drasticamente cambiata (in peggio). Siamo già in colpevole ritardo nell’affrontare il tema del cambiamento climatico, e uno dei presupposti principali per tornare a respirare è la transizione ecologica. Le emissioni climalteranti dell’impianto di Presenzano, così come quelle degli altri impianti esistenti o in costruzione in altre parti d’Italia, secondo gli esperti semplicemente non ce le possiamo più permettere. C’era una scelta che anche un amministratore, oltre che un politico, poteva (o doveva) fare, ovvero quella di non cedere al “compromesso” anche quando i giochi sembravano fatti. Per un semplice motivo: non c’è futuro per chi non comprende che il momento è decisivo. Sia chiaro che la Turbogas di Presenzano un giorno verrà dismessa (se mai entrerà in funzione). Un giorno neanche tanto lontano, dato che non possiamo non tenere in considerazione gli obiettivi europei da raggiungere riguardo l’abbattimento delle emissioni, altrimenti i costi economici, cioè quelli che sembrano preoccupare di più, supereranno immensamente i guadagni (quali, poi?). Scegliere di (re)stare dalla parte di chi sembra stia “perdendo” la battaglia, non solo era una scelta di coerenza, ma anche di lungimiranza politica. Saranno i nostri figli a dover chiudere quella centrale, se non riusciremo ad impedirlo noi oggi, il che sarebbe decisamente preferibile. Quando succederà (perché succederà), saremo pronti a ricordarci di chi oggi sta rappresentando un ostacolo al cambiamento e, di fatto, ritardando di anni la transizione ecologica; quella “vera”, quella che chiude definitivamente i conti con le fonti di energia non rinnovabili. Solo che nel frattempo il costo in termini ambientali, sociali ed economici sarà divenuto esorbitante.
Ecco perché Presenzano di colpo è diventato il terreno dove si sta giocando una partita fondamentale per il Paese. Una elevazione simbolica, che potrà influenzare le scelte politiche energetiche nazionali nel prossimo futuro. Un interesse rinnovato, laddove invece il problema sembrava già archiviato con l’inizio dei lavori di costruzione, è scaturito dalla nascita del Ministero della Transizione Ecologica e dai copiosissimi finanziamenti europei in arrivo con il Recovery Fund e del Capacity Market. Tutti green oggi, ma i movimenti ambientalisti che da anni chiedono di transitare nella sostenibilità, pensano pure che continuare a sfruttare il gas per produrre energia non porti esattamente a questo, anzi, al contrario, ci allontani.
Una petizione lanciata dai comitati locali sul portale change.org qualche settimana fa, con l’obiettivo di raccogliere firme per chiedere a Draghi e Cingolani di interrompere i lavori del cantiere fino a quando non sarà rivalutata l’utilità dell’opera in termini di transizione ecologica, ha avuto un grandissimo successo. Migliaia di adesioni hanno riaperto il dibattito pubblico. Dal mondo della cultura alla politica, dalle associazioni ambientaliste e civiche ai giovani studenti, l’attenzione sulla Turbogas di Presenzano è ai massimi storici. Costanza D’Elia, docente di Storia contemporanea all’Università di Cassino, ha scritto sulle pagine del Mattino che “in questa parte di provincia di Caserta sta sorgendo una nuova Terra dei Fuochi, che toglie alla popolazione il diritto alla salute e, insieme, la possibilità di crescita economica basata sulla valorizzazione dei beni paesaggistici, archeologici e monumentali”. Mariateresa Imparato (Legambiente) sostiene che “la nuova centrale turbogas di Presenzano, la richiesta del raddoppio di quella di Sparanise, la paventata ipotesi di un’altra centrale nell’area industriale di Benevento con il progetto di deposito di Gas naturale liquido nella darsena di San Giovanni a Teduccio a Napoli sono il segnale di una politica energetica schizofrenica che da un lato indica la strada maestra nella transizione ecologica e dall’altra autorizza impianti e infrastrutture inutili e inquinanti”. Anche l’On. Rossella Muroni (FacciamoEco), vicepresidente della Commissione Ambiente alla Camera dei Deputati, ha firmato e rilanciato la petizione chiedendo “azioni coerenti” del Governo verso la transizione e quindi lo stop del cantiere. Scrive così Walter Girardi sul sito di Possibile, il partito di Beatrice Brignone e Pippo Civati, su questi primi mesi di “transizione” che “ci parlano di autorizzazioni rilasciate con esito positivo, di pareri favorevoli alle trivellazioni in mare, di impianti da fonti fossili o di mega centrali come quella di Presenzano che si aggiungono alle altre esistenti decisamente più inquinanti, che non si vorrebbero spegnere. Mentre i colossi energetici annunciano la chiusura di numerosi centrali a carbone come Brindisi e Civitavecchia, parallelamente l’accordo – al ribasso – raggiunto dal nostro paese è che invece di incentivare e spingere sulle rinnovabili e sulla creazione di dispostivi di accumulo in numero sufficiente per la rete elettrica nazionale, ci appoggeremo sulle centrali a gas.” Anche la deputata molisana ex 5 Stelle Rosalba Testamento interviene sui social schierandosi apertamente per la “sospensione immediata dei lavori di realizzazione della cosiddetta Turbogas di Presenzano” e che “il Governo deve dimostrare di stare dalla parte dei comitati ambientalisti attivi da sempre sul territorio”. Così pure i sindacati, secondo i quali si tratta di “un impianto inutile, con un progetto vecchio di oltre dieci anni che ha avuto un iter autorizzativo con tante ombre, in un’area a forte vocazione agricola e, soprattutto, che brucia combustibile fossile mentre il tema della transizione ecologica si pone al centro di ogni seria agenda politica nazionale e internazionale”.
Il merito di tutto questo lavoro va all’ Associazione Agricoltori Antica Rufrae e al Comitato Antica Terra di Lavoro che oggi si rafforzano all’interno della rete #StopBiocidio, in prima linea da anni sulle lotte ambientali e che è pronta a mobilitarsi già nelle prossime settimane.
E mentre la questione sta esplodendo e divenendo imprevedibile, molti di quelli che in passato erano considerati protagonisti della vicenda (che oggi derubrichiamo a controfigure) risultano teneramente desaparecidos, racchiusi in un silenzio imbarazzante che personalmente trovo, tutto sommato, comprensibile. E’ evidente che quel mantra del “non c’è più niente da fare” ha perso fascino e assume la forma di ritornello autoassolutorio, quasi scaramantico, nella testa di chi sa di aver probabilmente sbagliato qualcosa e teme che la propria inadeguatezza emerga in ogni dove. Perché invece, per quanto abbiamo visto, c’è ancora molto da fare. C’è la politica. Quella che deve tornare a decidere. E ci sono le persone. Che devono tornare a sospingere la politica. Perché se la pagina burocratica e amministrativa si è conclusa con strette di mano e documenti firmati e relegati nelle ventiquattrore di uomini incravattati, se ne può ancora scrivere un’altra, esclusivamente politica, che è quella più importante, quella davvero decisiva.
Stiamo vivendo uno dei momenti peggiori della nostra storia recente a causa della pandemia, e la politica ha dovuto prendere decisioni estreme su più fronti (condivisibili o meno, non è questo il punto). Bisogna accettare l’idea che anche il cambiamento climatico debba essere affrontato come in uno “stato di emergenza” perdurante, e che vadano prese soluzioni politiche di carattere emergenziale. Alla luce di tutto questo, fermare la costruzione di un impianto che non si ritiene utile non può essere catalogato come problema di burocrazia e contratti firmati.
Oggi gli ambientalisti hanno finalmente ritrovato una coesione di intenti e di strategia su Presenzano, ed era quello che forse mancava, a dire il vero. E questo è stato possibile perché il punto di vista è radicalmente cambiato: non più un affare meramente locale, che in passato ne ha limitato di molto la comprensione, ma una questione emblematica prima regionale e poi nazionale. Su Presenzano il Ministero della Transizione Ecologica ha l’opportunità di dimostrare che ha una ragione di esistere, la questione ormai è posta e non può essere ignorata.
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