Clima
Presentato alla COP22 l’Emission Gap Report dell’UNEP
di Stefano Caserini
Come da tradizione, uno dei side event che trova spazio a margine delle COP è dedicato alla presentazione del Emission GAP Report, un volume edito dal Programma Ambientale dell’ONU (UNEP) in cui si presenta il divario fra gli obiettivi del negoziato sul clima e gli impegni di riduzione delle emissioni già decisi.
Nella presentazione che si è tenuta martedì 8 novembre alla COP 22 di Marrakech sono intervenuti alcuni autori del rapporto, ed è stata particolarmente interessante per due motivi: il primo, che è poi la ragione per cui vale la pena leggere questo rapporto, è che quest’anno c’è una grande chiarezza sui due termini del confronto, ovvero “obiettivi” e “impegni”.
Gli obiettivi del negoziato sul clima sono stati decisi dall’Accordo di Parigi (Art. 2), ossia “mantenere l’incremento della temperatura media mondiale ben al di sotto dei 2°C” rispetto ai livelli pre-industriali, “compiendo ogni sforzo per limitare l’incremento della temperatura a 1,5°C“. Tradotto nel linguaggio tecnico, il rapporto ha considerato due scenari: nel primo le temperature sono inferiori ai 2°C con una probabilità maggiore del 66%; nel secondo sono inferiori ai 2°C con una probabilità maggiore del 50%.
Anche gli impegni ad azioni per ridurre le emissioni oggi sono più chiari che nel passato, e sono espressi nei 160 INDC (Contributi Determinati a Livello Nazionale) sottoscritti da quasi tutti i Paesi del mondo, che assieme coprono il 99,8% della popolazione mondiale. Si distinguono impegni “non condizionati”, ossia che i paesi si impegnano a fare volontariamente in ogni caso, ed impegni “condizionati” da aiuti finanziari e tecnologici.
Come noto, nel complesso questi impegni non sono sufficienti a raggiungere gli obiettivi dell’Accordo, e il pregio dell’Emission Gap report è di spiegare tale divario in modo metodologicamente inattaccabile ma anche in maniera chiara e comprensibile. Anche qualora tutti gli impegni condizionati venissero realizzati, ci sarebbero comunque 12 miliardi di tonnellate di emissioni di biossido di carbonio equivalente all’anno (GtCO2e/anno) in più di quelle permesse dalla traiettoria verso i 2°C. Per lo scenario 1,5°C, il gap cresce sino alle 15 GtCO2e/anno; per dare l’idea, si tratta di una quantità di emissioni pari a quelle prodotte in un anno da Cina ed Europa.
Il rapporto confronta inoltre le emissioni attuali e future di tutti i principali emettitori, e valuta quanto le politiche già decise dagli Stati siano in linea con gli INDC. Il messaggio è che molti Paesi sono già sulla buona strada per raggiungere gli obiettivi. Tuttavia, essere in linea con il rispetto dell’INDC non è condizione sufficiente a rendere un Paese particolarmente virtuoso, anzi; spesso ciò è dovuto al fatto che l’INDC approvato era poco ambizioso, o comunque non aggiungeva niente di più rispetto a quanto lo Stato avrebbe comunque fatto prima di presentare il Contributo.
Il rapporto illustra in modo efficace altri temi importanti, come il ruolo degli attori non statali (regioni, città, aziende, investitori, società civile), o il rapporto fra le politiche sul clima e i Sustainable Development Goals.
Infine, di interesse sono le indicazioni sulle politiche e le tecnologie che possono contribuire a colmare l’emission gap. I suggerimenti in questo senso non rilevano particolari novità rispetto al passato, ma vale la pena rivederli: azione immediata globale e pervasiva, aumento rapido dell’efficienza energetica in tutti i settori, accelerazione dello sviluppo di tutte le tecnologie di energie rinnovabili e della cattura e stoccaggio del carbonio, rapida riduzione delle tecnologie fossili senza sequestro di CO2 e sviluppo di emissioni negative.
In conclusione, c’è ancora tanto da fare…ed anche questa non è una novità.
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