Fotografia
Filippo Romano racconta il “Viaggio in Italia” del master Iuav
Il 15 gennaio chiudono le iscrizioni del Master in photography dello IUAV di Venezia. Quest’anno il titolo sarà Viaggio in Italia, Come to Italy with me.
Filippo Romano è autore del reportage fotografico Statale 106, dedicato alla Strada Statale 106 Jonica che in poco meno di 500 Km collega Reggio Calabria a Taranto seguendo la costa: un lavoro durato dal 2007 ad oggi e che può certamente definirsi un “viaggio in Italia”. Sarà lui, docente del master fin dall’apertura nel 2016, a raccontarci il progetto di quest’anno.
Il territorio è spesso protagonista dei tuoi lavori…
Io sono un autore che lavora sul documentario come forma di scrittura visiva. Faccio un lavoro per cui a partire dalle città o comunque dai territori costruisco una narrazione di immagini, e le immagini sono spesso dei paesaggi urbani oppure dei cosiddetti ritratti ambientali.
Statale 106 è un progetto a cui hai dedicato anni, come è iniziato?
Statale 106 inizia molto tempo fa. È un classico progetto fatto non dico nei ritagli di tempo ma comunque non continuativo, realizzato in periodi diversi. È stato una sorta di collage di luoghi magari anche fotografati a distanza di tempo.
Le primissime foto sono del 2007. Ai tempi giravo spesso in quelle zone, soprattutto nella provincia di Reggio Calabria, perché andavo a trovare mio cugino che era un commissario prefettizio, ossia un prefetto che va nei comuni sospesi per mafia. Non è un lavoro sui luoghi della mafia ma ogni cm2 di questi 500 km di Statale, quanto meno in Calabria, qualche cosa a che fare con la ‘ndrangheta ce l’ha.
Uno dei motivi per cui volevo lavorare su questo progetto è che comunque io sono di origine siciliana ma un quarto calabrese perché mia nonna era calabrese. Con mio padre è capitato diverse volte nell’infanzia e adolescenza di fare viaggi su quella strada per andare a trovare i parenti che stavano dalle parti di Crotone, che sono le zone da cui veniva mia nonna.
Nel 2007 ero casualmente in quelle zone quando ci furono i funerali di San Luca* e per arrivare a San Luca da Reggio Calabria ci si mette circa un’ora e mezza e si percorre appunto la Statale 106. Allora ho pensato che sarebbe stato proprio bello fare un lavoro su tutti i 500 km di quella strada perché comunque è una strada che tocca, nel suo territorio, luoghi che sono paradigmatici per la storia del Sud.
Per esempio?
Per esempio Saline Joniche è un luogo altamente simbolico. Dopo la rivolta di Reggio Calabria del ‘70/’71, in cui Reggio si ribella al fatto che viene spostato il capoluogo a Catanzaro ma che in realtà era una ribellione dettata dalla frustrazione e dall’assenza dello Stato, lo Stato fa due grandi promesse per arginare l’immigrazione dal Sud e il malcontento: promette due poli industriali e ovviamente nessuno dei due viene realizzato. O meglio: c’è Saline Joniche che è un grande sito industriale che ha lavorato sì e no un mese. È nato obsoleto, è una sorta di cattedrale nel deserto e sta proprio lungo la 106. E poi Gioia Tauro, che ora è il porto di Reggio ma doveva essere un impianto siderurgico.
Poi ad esempio a Crotone c’era un grande impianto chimico funzionante ma che ha inquinato e seminato morte per chilometri; poi altri luoghi come la centrale elettrica a Cosenza e poi la 106 inizia o finisce a Taranto, nella zona delle acciaierie dell’Ilva di cui si parla tanto.
In questo senso questa strada è un po’ un paradigma. Io l’ho percorsa più volte, ho messo insieme queste immagini che erano anche in mostra nell’ultima Biennale di architettura nel 2021, nel Padiglione Italia e nel 2010 l’inizio di quel progetto era già stato in mostra nel Padiglione Italia. Quest’anno c’è stata anche l’acquisizione da parte del Mufoco, il Museo di fotografia di Cinisello, che ha preso dei lavori miei e di altri 5 autori e per quanto riguarda il mio lavoro ha scelto il progetto relativo alla 106, proprio perché è un lavoro compulsivo ossessivo su un luogo.
L’idea viene da tutto ciò che è l’epopea sulla via Emilia. Non si sa perché tanta narrazione si è condensata su quel territorio: valeva la pena raccontarla tutta l’Italia delle Statali. Le Statali sono interessanti, soprattutto quando non diventano delle semi-autostrade e sono comunque strade difficili da percorrere perché passano in mezzo a centri abitati e dal punto di vista del paesaggio sono una sorta di museo a cielo aperto dei comportamenti e delle abitudini e delle derive della società italiana. Dove vai trovi derive diverse: nel Nord-Est trovi certe cose, in Calabria ne trovi altre. Sono veramente lo specchio di un comportamento all’interno dello spazio comune, collettivo, e questo è l’aspetto che mi interessa di più.
Continuerai a lavorarci ancora?
Io non lo considero finito e paradossalmente lo vorrò sempre incompleto perché richiama luoghi che fotografo che sono solo siti industriali ma anche luoghi trovati per caso, abitazioni incompiute, statue, personaggi incontrati su questa strada, i Padre Pio, le statue della Libertà che sono gli oggetti più misteriosi: tutt’ora non so esattamente quali siano il loro senso e significato però sembrano avercelo. E in ogni caso è impossibile considerare compiuto un discorso su una strada che è di per sé sempre in trasformazione.
In ogni caso forse farò ancora qualcosa ma più che altro adesso vorrei farne un libro. Questo è un po’ il senso di fare un progetto e così mi riallaccio anche all’insegnamento: un progetto spesso vede in un libro o comunque in un impaginato la sua vera realizzazione. La fotografia è soprattutto libri. La Storia della Fotografia è fatta da libri fotografici che hanno segnato la sua Storia e le sue svolte e che per molto tempo sono stati l’unica vera comunicazione della fotografia che non fosse la cronaca o il fotogiornalismo. Ma anche un fotogiornalista a un certo punto fa un libro, era questo il modo di finalizzare.
Ecco, parliamo del Master in photography…
Il Master IUAV non è per nulla un corso di fotogiornalismo, anzi. Si lavora sull’autorialità dei giovani fotografi e sulla loro capacità di rendere il proprio lavoro culturalmente critico e artistico, ed è questa la cosa a cui mi associo, anche se personalmente lavoro su una sorta di confine, di crinale tra racconto documentario da una parte e dall’altra ciò che si può concettualizzare, rendere più assoluto e che quindi ha valore artistico. Il mio lavoro personale nasce dall’esperienza dei luoghi per diventare poi una narrazione altra. Però, prima di essere una narrazione altra e quindi poetica, di qualità artistica, si deve nutrire e scontrare con la conoscenza dei luoghi e l’acquisizione di informazioni. Tutto può essere interessare per il contenuto finale, ma il fine ultimo non è spiegare qualcosa in maniera esaustiva. Penso sempre sia stimolante partire per una direzione per poi prendere una strada secondaria che magari è estremamente interessante e che prima non ci si sarebbe immaginati.
Quindi quest’anno con il master lavorerete sul territorio?
Quest’anno, in relazione alla mia esperienza della Statale 106 attraversando luoghi e territori, abbiamo deciso con il Master IUAV di riprendere un grande tema che è quello del “Viaggio in Italia”. È un grande tema perché Viaggio in Italia è fra l’altro un libro fotografico il cui artefice è stato Luigi Ghirri che ha chiamato altri autori a lui contemporanei che hanno ripreso la tradizione del voyage degli scrittori e intellettuali stranieri che attraversavano il territorio italiano, e l’hanno rifotografato. Ovviamente l’hanno rifotografato con un taglio non descrittivo ma molto critico e legato al linguaggio che molti di loro fortemente influenzato da una certa fotografia americana e che ha prodotto una svolta nella Storia della fotografia italiana.
Ecco, diciamo che riprendiamo quell’idea ma la riportiamo come progetto didattico, con gli sguardi e le sensibilità completamente diverse che noi tutti abbiamo. Ognuno di noi docenti si “occuperà” di un pezzo di territorio e lavorerà su un tema specifico. Io non lavorerò sulla Statale 106 anche per motivi di praticità. Andremo invece a Favara, in provincia di Agrigento, dove c’è una fondazione che si chiama “Favara cultural farm” e staremo lì due settimane, lavorando sul territorio urbano della città e in particolare cercando di definire cos’è nel contemporaneo l’idea di giardino e di verde pubblico e privato. Ci concentreremo quindi su un tema molto preciso. Si tratta di viaggiare in territorio molto diverso dal nostro cercando di trovare e definire un’idea di “natura”. E non solo di natura in generale, ma di quella natura organizzata dall’uomo. In origine il giardino, che è una parola araba, è il luogo coltivato, l’orto, gli alberi da frutto, quindi un luogo dove la Natura è dominata dall’uomo. La domanda quindi sarà: Cos’è il giardino oggi, nel 2021, in un paesino della Sicilia di origini sicuramente rurali?
Il viaggio dunque è al centro?
Il principio è quello di uscire dalle proprie sicurezze visive ed esperienziali, andare in un altro luogo e trovare quella concentrazione che ti permette di produrre un progetto in un periodo limitato di tempo. Bisogna uscire dalle proprie sicurezze per creare qualcosa di nuovo.
Questo avviene in qualunque corso di un certo livello. In questo caso però c’è anche una certa idea legata al viaggio e alla diversità dei luoghi.
Il parallelo tra queste due esperienze, Statale 106 e Master, sta qui: si tratta di attraversare un luogo che non è il tuo mondo e farlo diventare un po’ il tuo modo, in quel tempo in cui lavori sul progetto. Con il master manca un pezzo che per me è importante, ossia il ritorno, per poter confrontare le esperienze. Ma in ogni caso in quelle due settimane si ha il tempo per fare proprio un mondo altro.
Io lavoro su questo ma ci sono altri temi. L’anno scorso per esempio ho lavorato su Lido di Venezia e ho chiesto agli studenti di fare un racconto soggettivo, perdendosi letteralmente. In questo caso invece torno a lavorare su un tema preciso coinvolgendo persone che si occupano di paesaggio, architetti del paesaggio, che danno input agli studenti in modo che arrivino a costruire un progetto che non sia troppo banale.
Tu sei entrato nel progetto del Master fin dall’inizio, dalla sua creazione, giusto?
Questo Master IUAV di fotografia esiste dal 2016. I fondatori sono Stefano Graziani insieme ad Andrea Pertoldeo e Angela Vettese, docente Iuav di Storia dell’arte. Io ero docente già dal primo anno. Quindi diciamo che non c’ero quando è stato concepito ma ho seguito tutto lo sviluppo didattico e il mio workshop c’è sempre stato.
E come è strutturato?
Gli studenti nel primo periodo stanno a Venezia, che è la base, e seguono corsi con docenti IUAV per esempio di semiotica, storia della fotografia, tecniche fotografiche. Poi però devono mettere in atto quello che hanno imparato e cominciano a viaggiare, vanno e fanno progetti size specific, in posti precisi e particolari.
Le iscrizioni si chiudono a gennaio e i corsi cominciano a febbraio/marzo. Io andrò in Sicilia ad aprile/maggio. Il master poi si conclude con un’esperienza di stage di due o tre mesi magari in un museo e poi i ragazzi fanno una tesi che viene discussa allo IUAV. Trattandosi di un corso sul linguaggio della fotografia da parte di chi lo crea e non di critica, la tesi è un progetto di libro fotografico, non è teorica.
E il tuo percorso invece qual è stato?
Io sono un fotografo di architettura che lavora anche all’esplorazione dei territori urbani. Mi sono formato all’ISIA di Urbino. Poi ho studiato fotografia negli Stati Uniti e quello è stato un passaggio molto importante. Ero all’ICP International Center of Photography a New York, nel ‘98/’99, e sono rimasto negli USA per circa cinque anni. Poi sono tornato in Italia.
*relativi alla strage di Ferragosto a Duisburg
© Fotografie di Filippo Romano
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