Urbanistica
viaggi piccolissimi – a barcellona con un gaudi esclusivo
Dici “Sarrià” a un italiano mediamente calciofilo non giovanissimo, e forse vedrai una luce brillare in fondo ai suoi occhi: era il nome dello stadio minore di Barcellona (quello in cui giocava l’Espanyol) che ai Mondiali del 1982 vide i mitologici zoffgentilecabrini eccetera risvegliarsi dal torpore in occasione delle sfide disputate contro i rivali più temibili: Argentina e Brasile. Lo stadio se lo portarono poi via le ruspe nel 1997, mentre il quartiere da cui prende il nome resta, ed è un bel vedere, e un buon vivere: a dieci minuti di locale passante ferroviario dall’ombelico barcellonese di Plaza de Catalunya, è un classico, storico quartiere alto. Basti pensare che, dei dieci distretti di Barcellona, Sarrià/Sant Gervasi è il secondo per estensione (20,09 km²), e l’ultimo per densità (6.992 ab./km²); i residenti sono 140 mila circa.
Tagliato in due dal Passeig de Bonanova villini liberty e studi ginecologici o estetici, o, dentistici e talvolta anche studi ginecologico /estetico/dentistici ospitati in villini liberty; ogni genere di case di residenza e riposo per “gent grand” (il delizioso eufemismo catalano per dire “vecchietti”) e mountain bikers pronti a scalare il Tibidabo, monte che ospita un venerabile luna park antiquato e uno storico nightclub molto panoramico di nome Mirablau; ristoranti acchiapponi e ancora parchi mirabili e temibili collegi di gesuiti o salesiani, tra un campus e un castelletto, con relativo pullulare di suv e sciure della barça bene (che se sono di sinistra tendono a chiamarsi Montse o Nuria e portare Birkenstock tutto l’anno) e calciatori olandesi in pensione, proprietari di weimaraner e beagle contro liceali ben pettinate e molto sgambate. Ma chi finisce a prendere la colazione nell’angolino più old school di tutta Sarrià, nella Plaça del Consell de la Vila (il vecchio municipio; ché fino agli anni Trenta Sarrià era un comune autonomo), si trova come in una bolla di epoca franchista se in quell’epoca vi fossero stati fruttivendoli integralisti del bio che espongono lattughe e finocchietti collocati in valigie di pelle; poi, sì, tra un negozietto di sneaker chic e il Monterrey, bar/campo base dell’intero quartiere, non è difficile incontrare anche dignitosi 45enni che tentano di rimediare qualche euro vendendo fazzoletti di carta causa “paro” (fermi tutti, è la disoccupazione).
Non bastasse tutto ciò proprio a Sarrià si trova l’opera più intima e meno conosciuta di Antoni Gaudí, aperta al pubblico per la prima volta nel 2013: Torre Bellesguard. La torre sorge sulle rovine di un antico castello appartenuto al Re Martino I d’Aragona (Martino l’Umano) e fu costruita tra il 1900 e il 1909, con elementi di carattere medievale uniti al simbolismo religioso tipico di Gaudí.
Confiscata durante la Guerra Civile Spagnola e adibita ad orfanatrofio in un rigido inverno durante il quale tutti i mobili furono bruciati, la Torre val bene più che una visita: è di una bellezza disarmante. Sul tetto, come al solito, c’è un segreto. Piazzandosi in un punto particolare si capisce di essere all’interno di un drago, quel drago ucciso da San Giorgio (patrono di Barcellona) che tanto suggestionò Gaudí e gli architetti del modernismo catalano.
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