Urbanistica
Tiers-lieux: un’etichetta facile, una sfida difficile
I tiers lieux non come formula da replicare, ma come lente per ripensare lo sviluppo locale: abitare i territori, non solo riattivarli
Negli ultimi anni, anche in Italia si è iniziato a parlare sempre più spesso di tiers lieux—a volte come riferimento ispirazionale, altre come etichetta applicata frettolosamente a community hub o spazi rigenerati. Usare il termine francese senza considerarne il contesto di origine rischia di banalizzarne il significato e di oscurare le profonde differenze tra due realtà territoriali, istituzionali e culturali molto diverse. In Francia, i tiers lieux sono il frutto di un percorso politico e strategico chiaro, che ha preso forma con il programma “Nouveaux Lieux, Nouveaux Liens” e con investimenti pubblici significativi come il “Fonds national pour les tiers-lieux” (45 milioni nel 2018, 130 milioni con France Relance nel 2020). Sono stati pensati come dispositivi di riequilibrio territoriale, in risposta alla centralizzazione delle grandi aree urbane (soprattutto quella parigina) e all’abbandono delle zone rurali e periurbane. Non solo coworking o spazi culturali, ma infrastrutture sociali ibride che abilitano nuove forme di cooperazione, lavoro, sperimentazione e abitare.
Secondo la visione francese condivisa da France Tiers-Lieux[1] e dalla letteratura di riferimento i cinque pilastri che definiscono i tiers lieuxsono i seguenti:
- Ibridazione delle funzioni
(lavoro, cultura, formazione, artigianato, agricoltura, tutto nello stesso spazio);
- Governance partecipata
(decisioni condivise con utenti, abitanti e attori locali); - Accessibilità sociale
(inclusione di soggetti vulnerabili, prezzi calmierati, programmi di accompagnamento); - Diritto all’errore e sperimentazione
(luoghi-laboratorio dove si può innovare senza paura di fallire); - Messa in rete
(connessioni tra spazi, territori, competenze, a livello locale e nazionale).
Questi cinque principi sono considerati criteri fondanti, nel senso che uno spazio per essere riconosciuto come tiers lieu, in Francia, deve almeno orientarsi a questi principi. In Italia, molti spazi rigenerati magari incarnano uno o due di questi elementi, ma è raro che li integrino tutti.
La forza dei tiers lieux sta nel radicamento territoriale e nella capacità di rispondere, insieme alle comunità locali, a sfide complesse come la transizione ecologica o la creazione di nuove economie locali. Politiche complementari – come il co-housing rurale, i fondi etici per l’acquisto di immobili, o le figure dei médiateurs territoriaux– ne rafforzano l’impatto evitando derive speculative o dinamiche di colonizzazione culturale.
C’è un modo, allora, in cui il modello francese può davvero esserci utile: non come formula da replicare, ma come strumento critico per mettere in discussione l’approccio allo sviluppo locale dominante in Italia. Se letto bene, il lavoro dei tiers lieux in Francia ci ricorda che parlare di rigenerazione non significa solo riaprire spazi, ma attivare relazioni; che la partecipazione non si improvvisa, ma si costruisce; e che abitare un territorio richiede tempo, ascolto e cura. L’esperienza francese mostra che non si tratta di “fare innovazione” nei territori, ma di essere parte dei territori, imparando a lavorare insieme alle persone, alle pratiche, ai ritmi che li abitano.
In Italia, al contrario, gli spazi rigenerati raramente godono di una cornice strategica condivisa e la governance partecipativa è spesso più un auspicio che una pratica. Mancano strumenti normativi e finanziari adeguati e a dominare sono ancora approcci frammentari e risposte a breve termine. Inoltre, mentre in Francia i tiers lieux sono una risposta concreta alla questione territoriale e agli squilibri tra le aree urbane e le aree interne, in Italia restano concentrati quasi esclusivamente nei contesti urbani, alimentando un approccio che, pur dichiarando attenzione alle aree interne, tende spesso a calare dall’alto paradigmi metropolitani.
Quella francese è un’esperienza di grande interesse. Perché possa essere presa ad esempio e aiutare anche noi a fare qualche passo avanti rispetto ai nodi critici e alle esperienze fertili legate alla rigenerazione di spazi, più che importare modelli, serve un ripensamento profondo: che parta dalle esperienze esistenti ma sappia costruire nuove infrastrutture sociali radicate nei territori, capaci di valorizzare la diversità italiana e immaginare forme di innovazione che non siano la semplice estensione della città nelle aree interne, sulle montagne, nelle zone rurali, nei centri urbani minori. I tiers lieux non sono una moda: sono un progetto politico di lungo respiro. E come tale, richiedono visione, strumenti e coraggio.
Non estendere la città, ma costruire reciprocità: una governance per territori vivi
Se l’idea di tiers lieux ha avuto successo in Francia, è anche perché è stata accompagnata da un modello di governance e di sviluppo attento alla specificità dei contesti, soprattutto di quelli non urbani. Modelli e strumenti che non esportano semplicemente un’idea nata in città, ma provano a costruire nuove forme di convivenza, progettazione e cura, capaci di dare centralità ai territori invece di ridurli a periferie da animare.
Tanti sono gli spunti che l’esperienza francese offre. Tra gli altri, ci sono almeno tre elementi su cui vale la pena soffermarsi, perché esplicitano un modo di tradurre in prassi quell’atteggiamento che il sociologo francese Jean-Louis Laville definisce di “reciprocità territoriale” come antidoto al “colonialismo benevolo”. Una forma di intervento nei territori che, pur animata da buone intenzioni, finisce per imporre visioni e modelli esterni, spesso urbani, ignorando le specificità e i saperi locali e che spesso accompagna progetti calati dall’alto o portati da nuovi abitanti urbani.
- Governance partecipata e ancorata al territorio
Nei tiers lieux francesi la governance è spesso condivisa tra soggetti diversi: abitanti storici, nuovi arrivati, istituzioni locali. Esempi come Le 100e Singe vicino a Tolosa mostrano modelli tripartiti, dove nessun gruppo può imporre la propria visione (abitanti storici (40% dei diritti di voto), nuovi abitanti (40%) ed enti pubblici locali (20%). Questo garantisce che nessun gruppo possa imporre decisioni unilateralmente). Altri, come Les Imaginations Fertiles, hanno creato collegi rappresentativi per garantire l’ascolto di agricoltori, artigiani, associazioni locali.
- Approccio slow e immersivo
I progetti che funzionano davvero si sviluppano nel tempo, con un ritmo rispettoso dei luoghi. L’esperienza francese ha codificato fasi di ascolto e immersione (anche di più anni) prima di avviare qualunque attività. Prima dell’avvio delle attività, i promotori trascorrono periodi di 6-12 mesi nel territorio, partecipando alla vita locale e ascoltando le esigenze della comunità, senza proporre immediatamente progetti. Nei contesti rurali le attività si adattano ai ritmi stagionali e si sincronizzano con il calendario agricolo locale, intensificando le attività nei periodi di minor lavoro agricolo, per rispondere meglio alle dinamiche della comunità rurale. Si rallenta deliberatamente il processo per permettere l’integrazione organica del progetto nel territorio, costruendo fiducia invece che visibilità immediata. Questa lentezza è una scelta politica: rinunciare alla performance a breve termine per radicare processi trasformativi duraturi.
- Politiche complementari sull’abitare
Un tiers-lieu non è mai solo un edificio: è parte di un ecosistema. In Francia, molti progetti sono stati accompagnati da politiche abitative pensate per evitare la gentrificazione rurale. Si va dal droit de préemption (diritto di prelazione per fermare la speculazione) alle cooperative abitative rurali (come Villages Vivants), fino ai contrats d’installation che offrono case a prezzi calmierati per chi si impegna nel territorio.
La chiave sembra essere l’integrazione di queste tre leve in una visione territoriale complessiva: la governance partecipativa garantisce che le decisioni riflettano realmente i bisogni locali; l’approccio slow permette adattamenti progressivi e apprendimento reciproco; le politiche abitative complementari assicurano che i benefici della rivitalizzazione territoriale siano distribuiti equamente, evitando che i tiers-lieux diventino enclaves privilegiate in territori marginalizzati.
Per ripensare il rapporto tra città e territori serve una visione sistemica e rispettosa, che non imponga modelli, ma costruisca alleanze. I tiers lieux francesi mostrano che è possibile – ma solo se si parte dalla relazione, non dalla replica.
[1] Un gruppo di interesse pubblico che attualmente conta sette membri: lo Stato francese, rappresentato da 5 ministeri: Ministero della Transizione Ecologica e della Coesione Territoriale, Ministero del Lavoro, Ministero dell’Istruzione Superiore e della Ricerca, Ministero dell’Economia, delle Finanze e della Sovranità Industriale e Digitale della Francia, Ministero della Cultura, l’Agenzia Nazionale per la Coesione Territoriale (ANCT), l’Associazione Nazionale dei Luoghi Terzi
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