Infrastrutture
«Tecnologia ed effetti speciali? Non devono stupire ma raccontare una storia»
«Multimedialità e immersione». Sono queste le parole d’ordine dell’arte contemporanea e della comunicazione di oggi. Lo spettatore deve vivere con tutti i sensi l’esposizione che sceglie di visitare, «ma la tecnologia e gli effetti speciali devono essere usati al servizio di un racconto, di una storia, non per dare un contentino a committenti e spettatori». Ad affermarlo è Bruno Genovese, architetto di formazione, con un passato nella grafica, oggi presidente di Leftloft, studio nato nel 1997 con base a Milano e a New York.
Leftloft, che opera a livello nazionale e internazionale con la convinzione che il design sia uno strumento strategico di sviluppo, ha curato e progettato la mostra di Salini Impregilo Cyclopica – The Human Side of Infrastructure, allestita negli spazi della Triennale di Milano fino al 3 giugno.
Abbiamo incontrato Genovese per capire la complessità che c’è dietro alla progettazione e costruzione di una mostra ad alto impatto sensoriale che racconta le grandi opere infrastrutturali ma soprattutto il lavoro di chi le realizza.
Che tipo di esperienze hai avuto e che obiettivi avevi prima di fondare lo studio Leftloft?
Considera che ho fondato lo studio molto presto con Andrea Braccaloni, Francesco Cavalli e David Pasquali, i miei tre soci. Quanto è nato Leftloft, io, che ero il più vecchio dei quattro, avevo solo 25 anni. Tre di noi studiavano urbanistica e quello era il sogno. Ci mantenevamo gli studi e abbiamo preso un posto che poi divenne la nostra prima sede facendo lavori di grafica. Poi abbiamo vinto qualche premio legato proprio ai progetti di grafica e quindi deciso che la nostra strada era la comunicazione.
Comunicazione anche al servizio dell’insegnamento…
In un certo senso sì. Adesso non insegno più ma ho insegnato per quattro anni allo IUAV a Venezia e al Politecnico di Milano, ma oltre al ruolo di direttore creativo per Leftloft (tutti e quattro soci siamo direttori creativi) ho assunto anche quello di presidente e il tempo per lavorare come professore purtroppo è diventato davvero troppo poco. Per noi tutti però resta comunque una cosa fondamentale, perché abbiamo voglia di raccontare e trasmettere ai ragazzi quanto appreso in strada e sul campo e poi perché ci dà la possibilità di conoscere talenti nuovi che magari in qualche modo rimangono legati al nostro studio.
Per Salini Impregilo avete progettato e curato la mostra Cyclopica. Com’è stato approcciarsi al mondo delle grandi opere attraverso un’esposizione?
È stata una sfida molto interessante per noi. Abbiamo scelto come studio di non essere focalizzati su una tipologia di cliente o di lavoro in particolare e questo ci consente di utilizzare la nostra esperienza maturata con i vari clienti e mischiare linguaggi. Lavoriamo tanto col mondo dell’arte contemporanea, seguiamo il Castello di Rivoli, il Pirelli Hangar Bicocca, abbiamo disegnato l’edizione precedente dell’esposizione documenta, il Museo Madre. Questi linguaggi ci hanno aiutato e contaminato perché quando abbiamo conosciuto il responsabile della comunicazione di Salini Impregilo abbiamo cercato di capire come poter raccontare al mondo e a un pubblico il più ampio possibile le grandi opere infrastrutturali e tutto il lavoro che c’è dietro per realizzarle. Abbiamo scelto di utilizzare un linguaggio che fosse contemporaneamente emotivo, quindi l’emozione, l’epica dell’ingegno e della creatività dell’uomo lavoratore e costruttore che lavora in condizioni e nazioni diverse, e dall’altra parte informativo, cercando di dare anche numeri. In un cantiere ci sono più di duecentocinquanta mestieri e competenze diverse al servizio della grande opera, in cui lavorano anche persone di novanta nazionalità diverse con un’organizzazione complessa. Abbiamo studiato, siamo andati nei cantieri, abbiamo fatto riprese.
Non è la prima esperienza che avete col racconto delle grandi opere però. Nel 2016 avete realizzato anche Beyond con Salini Impregilo sempre allestita a La Triennale…
In Beyond abbiamo raccontato proprio il mondo delle infrastrutture, entrando molto nello specifico dei vari progetti infrastrutturali, e in una parte della mostra usato alcune foto dell’archivio di Salini Impregilo. Quando poi ci siamo ritrovati a pensare Cyclopica, che ha l’uomo al centro, dopo aver visionato il libro dedicato al progetto, abbiamo deciso di fare una mostra che fosse divisa in due parti. La prima che celebrasse e valorizzasse proprio l’archivio fotografico del Gruppo che è immenso, avendo più di un milione e duecentomila foto, scegliendone milleduecento, e rendendole fruibili grazie al Carousel di diapositive, non per una questione estetica ma perché come ci ha insegnato il mondo dell’arte contemporanea con la diapositiva resta migliore la qualità fotografica. Poi, abbiamo deciso di raccontare con linguaggi diversi, per immedesimare sempre di più le persone, il mondo del lavoro, quindi l’uomo al centro del cantiere, con un progetto audio davvero importante. Siamo partiti dalla singola nota associata al singolo gesto dell’uomo, campionando in cantiere i rumori dei gesti dei lavoratori fotografandoli. C’è quindi questa stanza in cui una testa rotante illumina le fotografie e riproduce il suono dei singoli gesti, ma siamo passati al racconto dell’esecuzione, quindi all’uomo nell’ambiente cantiere, ricreando un prototipo video, perché una volta i video si facevano sincronizzando le diapositive. In seguito siamo passati al lavoro di squadra e abbiamo creato video in cui il ritmo gioca la parte fondamentale, e si vede il rapporto tra uomini e uomini e macchine. La quarta sala invece è quella più immersiva, è la nostra sinfonia, in cui abbiamo voluto utilizzare i proiettori per far entrare le persone e farle ritrovare in un vero e proprio cantiere. Da una singola foto partono storie e racconti e ti ritrovi immerso in tunnel, dighe, metropolitane, capendone anche il senso e la storia. Il visitatore in Cyclopica parte dall’essere immerso nel cantiere al coglierne il senso e la storia.
Gli effetti speciali quindi hanno un ruolo fondamentale nelle vostre esposizioni?
Questo è sicuramente un aspetto presente nelle nostre mostre. In questo caso l’aspetto fondamentale però è che l’effetto speciale deve avere uno scopo e un senso. Non ci piace utilizzare l’effetto speciale giusto per mettere un qualcosa e dare un contentino, deve catturare l’attenzione ed essere al servizio di un racconto. Con l’installazione del Canale di Panama in Beyond abbiamo raccontato il sistema di passaggio delle chiuse (che poi ricordavano le chiuse di Leonardo) e per farlo abbiamo usato una ripresa a tre schermi e l’effetto delle vibrazioni a terra associato ai suoni dando il senso di salire sulle chiese (ndr, per viaggiare dall’Oceano Atlantico al Pacifico, le navi devono superare un dislivello di 26 metri. Le navi attraversano 3 chiuse: Miraflores, Pedro Miguel e Gatun. Un sistema ingegnoso abbassa le navi utilizzando la gravità).
Con Cyclopica invece abbiamo usato un’unica grande opera che è questa diga di 22 metri per 6, con la fatica di pensarla, progettarla e montarla lì. Da una parte l’installazione ci serviva per dividere la mostra in due ma dall’altra abbiamo voluto esprimere la bellezza e la spettacolarità dell’oggetto. I ventuno Carousel di diapositive che sono all’interno del racconto della diga sono sincronizzati e usati in modo molto contemporaneo. Abbiamo lavorato con The Buss che ci ha anche ricordato un’esposizione fatta anni fa proprio in Triennale da Brian Eno con questo tipo di sincronizzazione di diapositive. È stata un’ispirazione.
Che differenza c’è stata nella progettazione e realizzazione delle due mostre?
Sono simili per certi aspetti ma molto diverse soprattutto nella concezione. Noi lavoriamo molto col cliente ma qui abbiamo avuto una curatela maggiore, essendo la seconda esperienza. Peraltro avevamo a disposizione un materiale fotografico molto ampio su cui lavorare. Beyond è stata più architettonica Cyclopica usa più tecnologie diverse tra loro. Proiettori di dispositive, proiettori di ultima generazione, video-proiettori, retroilluminazione, progetti audio, lampade sincronizzate, una testa rotante luminosa. Sono queste le tecnologie che vediamo e viviamo visitando Cyclopica, ma dietro, computer e tecnologie avanzate permettono all’esposizione di funzionare in modo preciso e sincronizzato. La diga che è l’unico elemento scenografico viene guardata, toccata, c’è tutta la sensorialità possibile. E poi nella manutenzione qui c’è moltissimo lavoro.
Queste mostre, inoltre, stanno avendo un’affluenza di pubblico incredibile. Guardare come si muovono le persone è importante per noi, ce lo insegna l’arte contemporanea. In particolare a me lo ha insegnato Philippe Parreno. Il giorno dell’apertura di Cyclopica un signore anziano che ha riconosciuto nei Carousel qualcosa che aveva usato nella vita voleva andare lui a cambiare le diapositive. Abbiamo dovuto fermarlo. Ti aiuta molto quando progetti tenere conto dello spettatore.
Voi lavorate molto in Italia ma anche all’estero. Quali sono le tendenze mondiali nelle esposizioni temporanee oggi?
La richiesta e la domanda che arriva da tutto il mondo è quella di avere una forte multimedialità e immersione. È sempre esistita una differenza tra le esposizioni tipicamente latine, italiane, che sono molto informative, da quelle del mondo anglosassone che sono fortemente esperenziali. Se tu pensi ai nostri musei, ad esempio al nostro Museo della Scienza e della Tecnica, pieno di disegni, e pensi a quello di Berlino dove si sale su un treno, ti rendi conto della differenza di approccio. La richiesta che arriva a noi e credo a tutto al mondo è quella di sperimentare tecnologie che possano permettere di esaltare i sensi degli spettatori in tutti i modi. Moltissima multimedialità. La nostra risposta è che continueremo sicuramente a indagare sulle tecnologie e a quello che si potrà fare in futuro però tutto deve avere progettualmente un senso. Non bisogna progettare per il gusto di stupire ma trovare il giusto modo e linguaggio per raccontare una storia.
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