Infrastrutture
Stadi e città: l’occasione mancata per il rinnovo del disegno urbano di Atene
Recentemente ho avuto l’occasione di leggere da Atene, dove attualmente risiedo, un articolo del mio collega Guido Incerti “Perché e come nel 2017 va fatto un nuovo stadio se proprio si deve“, relativo al dibattito sulla costruzione del nuovo stadio della Roma a Tor di Valle. A mio parere il testo affronta un tema che non è stato mai seriamente preso in considerazione dall’amministrazione capitolina e che raramente è stato toccato dalle discussioni che hanno riempito le pagine di giornali e le piattaforme online negli ultimi mesi: il ruolo dello stadio nel contesto urbano ed le aree di margine che lo circondano. Il tema che l’articolo di Guido Incerti solleva ha occupato i miei pensieri da circa un paio d’anni, con particolare riferimento alle strutture sportive costruite ad Atene ed in altre città della Grecia in occasione dei Giochi Olimpici del 2004. Con modalità diverse, stadi ed Olimpiadi rappresentano due occasioni mancate per un significativo rinnovamento urbano di Atene e Roma.
In questo articolo mi interessa demistificare due luoghi comuni relativi all’eredità dei Giochi Olimpici di Atene 2004 per individuare le conseguenze ed il vero fallimento dell’intera gestione olimpica. Il primo luogo comune riguarda i costi necessari per l’organizzazione e la costruzione delle infrastrutture e di conseguenza il loro impatto sul debito nazionale. Il secondo invece prende in considerazione la gestione del post-evento, ovvero la riconversione delle strutture da attività sportive ad altra funzione per il beneficio di tutti cittadini. Liberati da tali pregiudizi, è possibile capire il reale impatto di questi lavori sulla città, e comprendere il motivo per cui si è persa un’occasione per iniziare una sostanziale, olistica e necessaria rigenerazione urbana.
I Giochi Olimpici di Atene del 2004 sono stati l’apice della crescita economica cominciata negli anni ’80 con l’adesione alla Comunità Europea. Gli obiettivi erano ambiziosi: rappresentare il vero spirito dei Giochi Olimpici, finalmente ospitati nel luogo dove nacquero nel lontano 1896, e da qui il titolo della cerimonia di inaugurazione Birthplace 2004, affidata ad uno dei registi di teatro più in voga, Dimitris Papaioannou; impostare uno sviluppo sostenibile dell’area metropolitana basato principalmente sulla costruzione di un solido network di infrastrutture autostradali e di trasporto pubblico, con il potenziamento della metropolitana e la realizzazione di alcune nuove arterie veicolari; impostare il dopo-olimpiadi con costruzioni temporanee velocemente smontabili e la riprogrammazione degli edifici permanenti per un upgrading sociale di cui potessero beneficiarne soprattutto le zone più periferiche della città.
Yannis Aesopos, nel catalogo del padiglione della tredicesima Biennale di Architettura Made in Athens, individua nel programma infrastrutturale implementato per i Giochi l’idea di un nuovo progetto di città strutturato sul trasporto su gomma e rotaia (treno, tram, autostrade ed un nuovo aeroporto) che ha accorciato notevolmente i tempi di spostamento su tutto il territorio urbano e suburbano. I nuovi stadi e gli edifici costruiti per quell’occasione, che oggi ospitano ancora attività sportive, ma molti sono stati convertiti in shopping mall e luoghi per il divertimento ed il tempo libero, che sono collegati tra loro da questa nuova rete, sono diventati i nuovi landmark della città ed emergono prepotentemente dall’uniforme skyline ateniese, caratterizzato da un tessuto urbano costituito da palazzine residenziali (in greco polykatoikia) con isolati che mantengono la stessa dimensione ed un’altezza costante. Atene diventa dunque la città del consumo che ha cambiato radicalmente le abitudini dei suoi cittadini.
La domanda che ci si pone riguarda dunque quali benefici Atene abbia guadagnato con il post-olimpiadi. Se l’idea dell’eccezionalità dell’evento permane ancor oggi nell’immaginario collettivo, le strutture olimpiche sono diventate il simbolo della mala gestione e dei cattivi investimenti della pubblica amministrazione, così come sono state descritte in numerosi articoli e reportage fotografici. Se è senza dubbio vera la storia della spesa fuori controllo e della speculazione finanziaria, e che i Giochi Olimpici hanno incarnato i problemi strutturali del paese come riportato su Bloomberg, va comunque annotato che i Giochi non sono stati né l’inizio né una delle cause principali dell’ingente debito greco. Un articolo sull’Huffington Post dal titolo “The True olympic Legacy of Athens: Refusing the Mythology” calcola infatti che tale spesa abbia inciso solamente del 4% sull’intero debito pubblico della Grecia, e che tale spesa include anche i costi, sostenuti interamente da attori privati, del nuovo aeroporto e del sistema metropolitano.
Il secondo aspetto che occorre demistificare riguarda lo stato di abbandono degli edifici olimpici, in quanto oggi molte strutture sono state riconvertite e sono usate con successo. Tra questi lo Stadio Olimpico di Calatrava ospita eventi sportivi e culturali di rilievo, mentre gli edifici adiacenti sono usati quotidianamente per attività sportive; lo stadio del Badminton è diventato una delle più grandi sale concerti della città, così come lo stadio del Taekwondo, usato per fiere e concerti. La lista potrebbe andare avanti. Inoltre altri siti olimpici sono in via di trasformazione, con ritardi causati dalla lentezza della burocrazia ellenica e da interessi speculativi privati. In realtà solo alcuni stadi sono stati abbandonati da anni, come lo stadio del Beach Volley sulla costa di Faliro, accanto al nuovo Stavros Niarchos Foundation Cultural Center di Renzo Piano, o il centro del canottaggio, in una zona balneare fuori Atene.
Evitato lo sterile dibattito su costi e programmi, occorre capire il nodo della problematica dell’eredità dei Giochi. Aesopos, con molta lucidità indica come la maggior parte degli interventi per le Olimpiadi siano caratterizzati dall’assenza di architettura e di disegno urbano. Tale carenza non riguarda esclusivamente i siti olimpici, ma anche le stesse infrastrutture: Attiki Odos è un’autostrada che unisce l’est e l’ovest della città, ma in realtà taglia la città in due; le stazioni della metropolitana hanno un’architettura indistinguibile ed al livello del piano strada non presentano piazze, parchi o un nuovi servizi, come recentemente hanno precisato Alexander Tzonis e Alcester P. Rodi nella loro Storia dell’Architettura Moderna della Grecia.
Ad Atene gli Stadi Olimpici hanno un significato particolare ed un ruolo eccezionale se rapportati al contesto urbano in cui sono immersi. A guardarla dall’alto, Atene si presenta come un manto di cemento che si dirama orizzontalmente in ogni direzione. Gli stadi invece sono edifici pubblici a grande scala, nuovi landmark pubblici in un panorama dominato da residenze private. Ma anche in questo caso, come per le stazioni della metro, nessun progetto urbano è stato pensato per favorire l’integrazione nel contesto. Gli stadi non sono stati inseriti in un progetto urbano che presentasse spazi pubblici e servizi che potessero unirli ai quartieri circostanti, così da creare nuovi centri per la vita pubblica. A nord-est della città, l’Ano Liosia Olympic Hall, facilmente accessibile dall’autostrada Attiki Odos, e che ospiterà l’Accademia Greca di Cultura e l’Archivio Digitale Nazionale, emerge perentoriamente dal rado tessuto di case unifamiliari del quartiere di Ano Liosia, uno dei più poveri della città. Nessun altro elemento è stato progettato per rapportare lo stadio ed i suoi spazi adiacenti con il tessuto urbano circostante, se non delle aiuole e dei parcheggi. Se l’Ano Liosia Olympic Hall ha radicalmente alterato lo skyline della città, è stato condannato ad un ruolo marginale nelle dinamiche urbane del quartiere. Un gigante debole.
Ancora più significativo è il caso del complesso Olimpico di Calatrava, investigato recentemente in un saggio di Simone Brott. Oltre allo stadio Olimpico ed al Velodromo, l’intervento di Calatrava include uno spazio pubblico di grandi dimensioni famoso per la sequenza di arcate gotiche, meta di pellegrinaggio di turisti e ateniesi durante le Olimpiadi. Il Centro Olimpico fallisce nel rapporto di continuità con i quartieri circostanti, negando una diretta accessibilità che l’avrebbe trasformato in un parco tra le case. Invece abbiamo un’isola raggiungibile esclusivamente con l’automobile, e che dopo l’entusiasmo iniziale e l’ampia partecipazione, è stato velocemente dimenticato, condannando questi spazi pubblici all’abbandono.
Questi territori di margine dove lo stadio e la città mai si toccano sono la vera sfida di un progetto urbano che parte con grandi investimenti e che deve soddisfare una moltitudine di attori ed utenti, ma che alla fine si concentra solo sull’oggetto in se. Se la prima occasione di riqualificare intere aree attraverso l’innesto di edifici dall’impatto significativo per funzione e massa è stato fallito, oggi occorre occuparsi di ciò che resta. In una città come Atene, con un’altissima densità urbana, molto compatta, e con pochi spazi pubblici, la sfida diventa non la riconversione funzionale degli Stadi, ma riuscire a conferir loro un valore civico e collettivo attraverso la progettazione di questi spazi intermedi ed indefiniti che li separano dalla città. Occorrerebbe però non pensare al bene collettivo come sempre a posteriori.
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