Urbanistica
Parziali proposte per una legge sull’architettura
Alcune settimane fa è stata lanciata una petizione online per sollecitare la promulgazione di una legge per l’architettura in Italia, che potrebbe arrivare giusto in tempo per i festeggiamenti dei 40 anni della omologa legge francese.
Pur mettendo in dubbio la reale utilità di uno strumento come quello della sottoscrizione via web, forse è il caso che un dibattito si accenda, intorno a questo tema, in un paese che continua a riempirsi la bocca di bellezza, ma che pare correre velocissimo lontano dalla stessa, come impaurito da una contemporaneità che non piace, che non capisce, che ritiene superflua, se non dannosa.
Camminiamo con lo sguardo rivolto all’indietro, ottima maniera per innescare incidenti.
I casi recenti dello smantellamento dell’Expo Gate a Milano – salutato come una liberazione da molti, che otterranno in cambio una notevole quantità di calcestre a terra, qualche chiosco metà Ottocento e la fondamentale risistemazione della aiuole della zona – o dell’inaugurazione del Centro Congressi a Roma, a 16 anni dagli esiti del concorso – tutta centrata su fantomatiche “colpe” del progettista (per i ritardi, per l’utilità dell’opera, per i costi, per i contenziosi legali tra impresa e Comune, per il futuro uso dell’edificio) – esprimono bene il senso e la misura di una totale confusione e di una sostanziale ignoranza su quale sia il ruolo, le possibilità e anche i limiti dell’architettura contemporanea.
Una legge per l’architettura, in Italia, dovrebbe dunque essere anticipata da una legge sui programmi scolastici, che preveda di addentrarsi nella cultura contemporanea, soprattutto dal punto di vista di quella materia tanto bistrattata, quanto fondamentale, qual è la storia dell’Arte.
Questo, forse, potrebbe permettere alle persone di capire i fondamenti dell’architettura contemporanea, che trovano le loro radici nelle avanguardie storiche dei primi anni del 1900 (stiamo parlando di più di un secolo fa!), cioè un periodo, attualmente, al di là di ogni comprensione scolastica, terreno fertile perché gli storici possano incentrare i propri strali sul logoro concetto di Rinascimento.
Questa indispensabile riforma scolastica forse aiuterebbe a rendere superfluo parlare di bellezza (questa opera può definirsi bella?) e quindi a smarcarsi, finalmente, da una continua contrapposizione tra ideale classico e contemporaneo, per chiudere poi su una questione di gusto.
Solo un cambiamento profondo nella didattica scolastica potrà permettere il funzionamento di una eventuale legge sull’architettura, che, ad ogni modo, dovrebbe contemplare almeno questi quattro temi (a parte, ovviamente, tutte le proposte lanciate nella petizione):
- oggi in Italia sono presenti 2,5 architetti ogni mille abitanti (erano 1,6 nel 2000) che rappresentano il 27% di tutti gli architetti europei (compresa la Turchia).
E’ un dato più che conosciuto, ma che non smette di impressionare, soprattutto pensando che il reddito medio imponibile di un architetto italiano è inferiore a 20.000 € all’anno.
Nonostante ciò, esistono circa 50 facoltà universitarie che propongono corsi di architettura e ingegneria edile: la sola facoltà di architettura del Politecnico di Milano presenta sedi, oltre che nel capoluogo, a Lecco, Piacenza e Mantova.
Una legge per l’architettura dovrebbe limitare fortemente le sedi delle facoltà di architettura delle università pubbliche.
Per esempio, si potrebbe ipotizzare un numero massimo pari a 20, cioè una per regione.
Un numero limitato di scuole determinerebbe un controllo nei numeri dei nuovi laureati e trasformerebbe, finalmente, il corso in architettura in un percorso serio, impegnativo, severo e non solo nel ricettacolo di tutti i giovani creativi italiani.
- oggi in Italia almeno 6 figure professionali possono presentare (entro determinati, ma spesso labili, vincoli) un progetto urbano e architettonico: architetto, ingegnere, geometra, perito edile, agronomo e forestale. D’altronde, anche dove le competenze paiono chiare, per esempio riguardo i beni culturali, le sorprese sono in agguato (vedasi la recente nomina di un ingegnere a capo della Sovrintendenza Speciale per le aree del Sisma del Centro Italia).
Una legge per l’architettura dovrebbe dare competenza esclusiva alla figura dell’architetto, per qualsiasi progetto.
Un progetto spaziale è, in prima istanza, un processo culturale, che sfocia solo dopo cospicue riflessioni in un ambito tangibile: l’unica professione formata per agire da snodo fra istanze umanistiche e tecniche, ad alto livello, è l’architetto.
- oggi in Italia l’amministrazione pubblica progetta molti degli spazi delle città attraverso i propri uffici tecnici, costruendo luoghi senza alcun interesse urbano e spaziale (per esempio, a Milano, la riqualificazione di uno dei centri più importanti legati al Fuorisalone, Via Ventura, ha portato a questo risultato).
Neppure la recentissima apertura della Fondazione Feltrinelli, osannata in ogni dove per la sua altissima qualità architettonica, è riuscita a portare ad una progettazione più attenta degli spazi esterni, caratterizzati da qualche panchina di plastica e da cestini e lampioni perfettamente in linea con l’anonimo arredo urbano da catalogo.
Eppure, proprio il successo di pubblico e critica della nuova sede della Fondazione Feltrinelli, così come della Fondazione Prada, o della poco più anziana sede della Bocconi (e il suo futuro nuovo campus), sempre per stare a Milano, dimostra l’importanza che il ruolo dell’architettura svolge nella costruzione della città, della sua qualità, della sua complessità.
Una legge per l’architettura dovrebbe obbligare le amministrazioni a costruire processi di progettazione di alta qualità per ogni singolo intervento che riguardi lo spazio pubblico delle città, attraverso concorsi di progettazione.
Ovviamente questo riguarda ogni scala di progetto, dalla piccola piazza fino agli interventi più complessi, siano essi urbani o architettonici.
- oggi in Italia l’amministrazione pubblica (forse per evitare il meccanismo del concorso?) si affida spesso ad enti che, pur essendo pubblici, si comportano come privati, come, per esempio, il Politecnico di Milano, portando a risultati di questo tenore.
Una legge per l’architettura dovrebbe vietare il ricorso a università o enti equiparabili per progetti di spazi pubblici.
L’università è il luogo della ricerca applicata: può affiancare l’amministrazione pubblica fino ad un ambito di analisi strategica; dal livello di studio di fattibilità in poi, bisognerebbe ricorrere al concorso.
Queste sono solo alcune delle innumerevoli questioni che una legge dell’architettura dovrebbe risolvere, ma è imprescindibile partire da un ambito di formazione scolastica e universitaria.
Tutto il resto è ricerca di qualità spaziale; è, questa volta sì, un ritorno al processo che ha costruito il paesaggio italiano: ingessarsi su un certo periodo storico, avere timore della contemporaneità, evitare di costruire l’immagine del futuro, è certamente l’opposto di tutto quanto la cultura e la storia del nostro paese paese possano insegnarci.
Scommettere su pratiche banali, evitare il rischio delle sorprese, favorire il conosciuto rispetto al nuovo, vuol dire rifiutare decisamente la cultura italiana: i dolorosi eventi avvenuti ad Amatrice, a Norcia, a L’Aquila ci hanno mostrato che le città e il paesaggio italiani sono organismi vivi che non cessano di muoversi, di rispondere alla continua sfida di un territorio difficile e forse per questo bello. Sono organismi che mostrano le ferite della storia, le contraddizioni della propria esistenza, le debolezze dell’edificato: narrano, insomma, le vicende stesse della nostra piccola umanità, che ha costruito questi fragili ripari, senza pensare alla Storia, allo stile, al passato, ma, anche, senza proporre una questione meramente tecnica, normativa e, nemmeno, economica.
Le vediamo per quello che sono: radicate nel presente, luogo temporale dove vivono le persone, tese verso un miglioramento del futuro: una legge per l’architettura ci può ricordare che, appunto, è l’architettura stessa a offrire un ricovero al presente e a costruire una concezione, innovativa, del futuro.
In copertina, Fondazione Prada dallo scalo ferroviario di Porta Romana, foto di Diego Terna.
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