Urbanistica
Macerie di città, frammenti di comunità
Venerdì 24 agosto si è ricordato il secondo anniversario del terremoto in centro Italia. In televisione sono scorse le immagini dei centri colpiti, i volti delle persone che ancora non hanno avuto la possibilità – e forse non l’avranno mai – di rientrare nelle proprie case. Proprio come i connazionali genovesi a cui il crollo del ponte autostradale ha regalato un’altra triste data da commemorare. Dolori, storie, questioni che continuano a stratificarsi estate dopo estate senza che si veda il bandolo di una matassa composta da un filo comune: molto spesso i disastri non riescono a essere affrontati per incapacità di comprenderne la complessità, oppure vengono (apparentemente) risolti mediante risposte semplici o, ahimè, semplicistiche.
Lontano dalle luci puntate su Amatrice, Accumoli, ecc., Camerino – splendida cittadina marchigiana – si prepara a un altro inverno con la collocazione di nuove casette “temporanee” e dell’altrettanto temporaneo “centro commerciale” che ospiterà gli artigiani una volta presenti nel centro storico, ormai zona rossa. L’impressione che si prospetti una lungodegenza, analoga a tante altre passate, è forte ed è emerso durante una sessione del Seminario di Cultura Urbana organizzato anche quest’anno dall’Università di Camerino per mano dell’instancabile Giovanni Marucci. Una manifestazione in cui una porzione di mondo accademico e professionale legato alla progettazione architettonica e urbana si ritrova per discutere attorno a un tema specifico. Quest’anno era “La città nuova”, una sorta di esortazione a immaginare cosa ci possa essere domani, al di là delle macerie e delle rovine contemporanee.
Effettivamente camminando lungo il perimetro della zona pattugliata continuativamente dall’esercito (impersonato da coppie di annoiatissimi ma gentilissimi soldati) si comprende immediatamente la complessità della vicenda. La devastazione materiale e il lento sgretolamento sociale richiede decisioni ardue ma chiare (appare evidente che non tutto il patrimonio, artistico compreso, sia recuperabile e quello salvabile richiederà ingenti somme) capaci di palesare quale percorso intraprendere affinché i cittadini possano riappropriarsi di quegli spazi urbani di cui la comunità si è nutrita fino a due anni fa. Segnali di resistenza arrivano dai diversi eventi organizzati – segnalo Risorgimarche (con Neri Marcorè promotore attivo) e una petizione su Change.org indirizzata al Presidente della Repubblica e dedicata esplicitamente a Camerino – affinché non si nasconda la polvere dei detriti sotto il tappeto dell’indifferenza e dell’oblio. Puntelli per tenere insieme i frammenti di una comunità pronta a disgregarsi perché non trova più la forza di aspettare in una sala di attesa troppo affollata e con tempi non preventivabili.
Le fantomatiche “casette” – nel Belice le chiamavamo senza vergogna baracche – fanno paura perché allontanano il momento del rientro, sembrano assoggettarsi alle cervellotiche procedure burocratiche che spingono a posticipare qualsiasi scelta, delineando un’apparente volontà politica che in realtà è soltanto inerzia sfiancante.
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