Urbanistica
E se il virus facesse rivivere le nostre città?
Il turismo è mondofago, cioè uccide ciò che lo fa vivere, distrugge il mondo che dice di amare, Rodolphe Christin
Da quando è iniziata la quarantena forzosa, ogni italiano pubblica sul web foto e video che ritraggono la propria città deserta. Svuotate dai consueti flussi di traffico e da qualsiasi interazione umana, le metropoli appaiono immerse in un silenzio sanitario che esonda fragorosamente dalle immagini. Quello che colpisce sono soprattutto le località turistiche private del consueto struscio domenicale o della famigerata “movida”, nonostante la primavera che incalza. La lunga sequenza che conduce tra le calli e i campielli di una Venezia fantasma, le istantanee del desolato corso di Taormina, giungono al mio telefono corredate da commenti strazianti ed emoticon tristi. Però le città sono state parzialmente desertificate già prima dell’epidemia da fenomeni di “svendita” di intere porzioni, soprattutto i centri storici, in favore di un turismo che grazie a “strati di retorica comunitaria” – come dice Sarah Gainsforth nel suo Airbnb. Città Merce (Deriveapprodi) – ha accelerato lo sfratto di centinaia di famiglie. La trasformazione di alcuni residenti in host votati all’accoglimento dei turisti ha attivato, silenziosamente, inesorabili (e talvolta velocissimi) processi di gentrificazione che hanno convertito l’attitudine residenziale di molti quartieri. A cascata, è cambiata anche la geografia del commercio a contorno, sostituendo i negozi legati alla quotidianità con esercizi pensati esclusivamente al soddisfacimento turistico (con la ristorazione in testa). E obbligati a rimanere chiusi in questo periodo di quarantena, non essendo considerati “fondamentali”. La visione spettrale delle città sta innescando una riflessione generale sul turismo, sulle modalità di spostamento e di fruizione dello spazio pubblico in maniera più ampia. La post pandemia lascerà sfitte a lungo tutte quelle case che venivano affittate per brevi periodi? Le “nuove” modalità di ricettività (b&b, case vacanze, ecc.) verranno abbandonate in favore di strutture – come gli alberghi che invece avevano patito di questa offerta di ospitalità diffusa e incontrollata – forniti di protocolli di sanificazione certificati da enti terzi?
Questo scenario potrebbe segnare un ritorno alla città, la ripopolazione dei centri storici con una fauna, residente, da tempo scomparsa (ma non estinta) che potrebbe occupare nuovamente non solo le case da tempo negate ma anche gli spazi aperti; la post pandemia, paradossalmente, potrebbe favorire un’agorafagia verso lo spazio pubblico la cui la fruizione è stata impedita, prima dai processi di privatizzazione e poi dalle ordinanze ministeriali. E di un desiderio di città come antidoto all’isolamento.
Chissà se le istituzioni saranno in grado di sviluppare politiche di gestione urbana capaci di affrontare la complessità dei temi e delle esigenze che emergeranno una volta passata l’emergenza.
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