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Biennale dell’architettura: avremo un padiglione a fumetti?
Come previsto il ministro Franceschini ha annunciato rapidamente i nomi dei curatori del prossimo padiglione Italia alla Biennale di Architettura di Venezia. Dopo l’arrivo dei dossier di candidatura una settimana fa, la scelta ha premiato i tam associati (taking care in architecture), già premiati dal Consiglio Nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori – ovvero l’organo ufficiale di queste professioni – alla seconda edizione dell’ “Architetto italiano dell’anno” nel 2014, per la loro “capacità di valorizzare una dimensione etica della professione, realizzando progetti di architettura di qualità non solo in Italia ma, all’estero, e soprattutto in realtà di particolare disagio, spesso caratterizzate da condizioni estreme causate da guerre, carestie, epidemie”.
La scelta del ministro del Mibact e della direzione per Arte e Architettura Contemporanee e Periferie Urbane sembra aver sorpreso un po’ tutti non solo perché queste parole di motivazione del premio ad “architetto dell’anno” sono probabilmente riconducibili a qualche altro concorrente alla selezione per la curatela del padiglione, ma perché simili protagonisti recenti dell’architettura italiana, risultano un po’ defilati del mainstream dominante.
Il profilo morale dei vincitori lascerà scontento chi già discuteva una selezione truccata e scontata e chi si è lamentato dell’assenza di esponenti delle regioni del Sud. Fa piacere vedere che tra i nomi usciti quello dei Tam era tra quelli meno considerati e certamente non di “prima fascia”. Pur essendo estremamente conosciuti agli addetti ai lavori non hanno realizzato edifici iconici nel nostro paese. I loro lavori per Emergency li hanno però condotti sia sulle pagine dei giornali, che a ricevere anche il prestigioso AgaKhan Award for Architecture (per il Salam Centre for Cardiac Surgery, già presentato a AILATI. Reflections from the future la mostra concepita per il padiglione italiano della Biennale del 2010, da Luca Molinari, ora nel Consiglio superiore beni culturali e paesaggistici), eppure non sono tenuti in considerazione quanto molte meno incisive e superficiali muse del disegno contemporaneo, e di fatto sono stati esclusi dallo sterile mondo academico.
L’impressione, infatti, è che la decisione del ministero abbia riguardato il profilo dei curatori oltre che il contenuto della loro proposta. Non è questo un aspetto negativo, anzi, l’esito della scelta appare straordinariamente appropriato e pertinente e forse si aspettava perfino che Aravena scoprisse un po’ le carte per decidere in quale direzione andare. Ora vedremo come proseguirà la collaborazione tra curatore generale e quelli del nostro padiglione, di sicuro aiuterà il fatto che lo studio tam ha sede a Venezia.
Va rilevato soprattutto il fatto che la proposta rappresentava un gruppo e non un curatore, una sola persona fisica. L’annuncio ha riguardato il nome (Simone Sfriso), ma la proposta rimane collettiva, e questo dobbiamo attenderci: un lavoro di gruppo che già nel progetto avanzato coinvolgeva esperti appartenenti a differenti settori, tutti esterni allo studio. La loro proposta ha sostanzialmente puntato a qualcosa di coerente con la storia dello studio, come dice Sfriso: “portare in mostra quelle realtà che hanno un approccio molto orientato al sociale, lavorare sui progetti di periferia intesa non solo come luogo geografici ma anche spazio sociali. Individuare marginalità e situazioni difficili e quei progetti, soggetti enti, istituzioni e associazioni che affrontano il tema del degrado e marginalità dando soluzioni concrete occupandosi quotidianamente di recupero e della riqualificazione di luoghi al margine”.
Cosa presenteranno i Tam? Recentemente Raul Pantaleo – uno dei partner fondatori – ha scritto, con Luca Molinari – e i disegni di Marta Gerardi – Architetture resistenti, uscito per Becco Giallo. Un libro a fumetti che racconta, tra l’altro, anche dei loro progetti. Un tentativo di divulgare l’impegno in architettura anche presso un pubblico non specialistico. Una prospettiva forse intrigante per allestire anche una mostra che aspira a estendere la ricezione delle questioni abitative a tutti, o sperando che questo stile non sia già da considerare passato per i soloni dell’autonomia dell’architettura?
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