Beni culturali
Architettura fascista, propaganda e… la resurrezione del fascio di Perugia
Restaurando il Mercato Coperto di Perugia alcuni sovrintendenti assecondati dai politici (e viceversa) hanno ben pensato di riportare alla luce un fascio littorio di una certa dimensione (anzi, in grande evidenza e in bella mostra, così come lo presentarono i seguaci di Mussolini nel 1932, anno della costruzione del Mercato Coperto).
Il Mercato Coperto di Perugia, così come il quartiere dell’Eur a Roma e tantissimi altri edifici italiani degli anni 20 e 30 sono stati costruiti durante una dittatura, quasi tutti con una chiara ispirazione “razionale” (spesso chiamata architettura fascista). Luoghi così importanti ve ne sono a centinaia da Palermo a Trieste. Edifici a volte progettati da grandi architetti.
Allo stesso tempo in tutta Italia, durante i 20 anni di illiberalità, vi fu uno tsunami di loghi, targhe ed effigi dei seguaci di Mussolini “incollati” ovunque. Su questo il fascismo è stato maestro, memorabile potremmo dire. Dai palazzi alle fontane, dai parcheggi degli autobus fino alle fontanelle ogni pietra messa doveva spavaldamente celebrare la presenza fascista, la rivoluzione fascista!, tanto che molti di questi insignificanti loghi sono ancora oggi al loro posto e nessuno se ne cura. Per altro, se andassimo, come ha fatto la Sovrintendenza di Perugia, a togliere l’intonaco esterno in molti casolari della piana del Tevere o del Trasimeno, tanto per dire, o all’esterno di molte scuole italiane se ne troverebbero un’infinità. La profusione e lo spargimento di stemmi, targhe e loghi, anche su palazzi precedenti fu totale, impressionante e senza discussione.
Subito dopo il 25 luglio 1943, con la caduta del regime, e meglio ancora dopo il 25 aprile 1945 – in molti casi a furor di popolo per la distruzione, i morti, le deportazioni e le sofferenze – gli italiani demolirono, ridipinsero e modificarono una parte di queste opere pubblicitarie.
Anche i perugini e gli amministratori del dopoguerra – che stupidi non erano, dai socialisti ai repubblicani, dai comunisti ai cattolici – si trovarono davanti alla domanda “cosa fare della vastissima opera pubblicitaria del fascismo?”. La scelta fu chiara: opere artistiche e urbanistiche, che, sebbene volte a promuovere il fascismo, avevano e hanno tutt’oggi un indiscutibile valore storico, e non solo, andavano lasciate al loro posto. Non è per svista di chi ha liberato la città se all’Università per Stranieri è conservata un’opera straordinaria, enorme tra l’altro, di Gerardo Dottori. Non è per caso che l’Eur è ancora lì o che in tutto il paese siano in piedi opere di architetti, più o meno fascisti, pagati dal regime negli anni 20 e 30 per esaltarne l’immagine. La decisione di conservare ciò che era importante e ciò che non dava fastidio si diffuse ovunque, dalla città al piccolo Comune, fino al contado, così come quella di modificare le opere più becere e insignificanti della dittatura. E infatti non fu la stessa cosa per opere di scarso valore e pura propaganda come è il fascio littorio del Mercato Coperto di Perugia, al centro di un mercato cittadino frequentato da centinaia di persone che avevano vissuto la tragedia del ventennio. Il destino fu identico per le migliaia di svastiche con cui Hitler aveva disseminato i luoghi pubblici in Germania.
Riportare alla luce il logo del Partito Nazionale Fascista è stato un gesto nel migliore dei casi ingenuo, e sottolineo nel migliore dei casi, e di certo non serve alla memoria storica di Perugia né alla sua immagine, anzi.
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