Letteratura

Trieste, 9 novembre 1954. Una giornata particolare di Ada Murolo

16 Giugno 2016

Con Si può tornare indietro Ada Murolo consente al suo lettore di fare un doppio percorso: cogliere nelle pieghe più intime che cosa significhi un momento collettivo di emozione che si fa storia; intrecciare la “storia grande” e la storia delle persone concrete in un groviglio che non consente di mollare la presa della lettura.

Giovedì 4 novembre 1954. L’Italia è in festa per l’anniversario della fine della Prima guerra mondiale. Lo è anche Trieste. In quel giorno festeggiare l’anniversario a Trieste significa riconnettere un filo lungo della storia. Nelle scene pubbliche Piazza Unità d’Italia è gremita di folla. Il Presidente Luigi Einaudi è lì con i ministri Taviani e Scelba. Ufficialmente Trieste è tornata ad essere parte dell’Italia da nove giorni, il 26 ottobre anche in quel caso la folla aveva riempito Piazza Unità.

Come nel film Una giornata particolare la scena dell’entusiasmo collettivo, dell’esaltazione della folla che si percepisce lontano, tutto questo fa da sfondo all’inquietudine lì di un uomo e una donna qui in Si può tornare indietro  delle due donne protagoniste, cariche di storia e, soprattutto, di tristezza e di malinconia. Un tempo sono state molto amiche, ma con la guerra e l’occupazione si sono completamente perse di vista.

Per la prima donna  Trieste rappresenta il ritorno a casa da sconfitta. E’ tornata a Trieste per fuggire da un matrimonio fallito e per  ricominciare daccapo. Berta si trova tra la folla con Rosina e Lea, le sue figlie, e con i suoi fratelli e suoi cognati. In realtà è sola e in profondo conflitto con la sua stessa famiglia.

L’altra donna è Alina Rosenholz. La storia violenta della Triste nazista l’ha segnata. Alina è una donna che ha una serie di numeri tatuati sul braccio, i ricordi di un passato triste che continuano a tormentarla, un presente difficile da gestire e accettare. Il suo luogo di residenza, tornata a Trieste, unica superstite della sua famiglia, è l’Ospedale San Giovanni, da cui quella mattina del 4 novembre 1954 fugge.

Berta lavora in quell’ospedale da quando nel febbraio dello stesso anno ha lasciato la Romagna ma non ha mai incontrato Alina e se anche l’avesse incontrata difficilmente l’avrebbe riconosciuta.

Quella mattina nel suo girovagare Alina si ritrova nella Piazza Unità d’Italia e si ritrova confusa nel bel mezzo di una folla oceanica, in attesa delle parole del sindaco, l’ingegner Gianni Bartoli, il “Sindaco della Seconda Redenzione” della città di Trieste, quello che guida il processo di ricongiungimento all’Italia nel 1954 ma anche figura dell’Esodo giuliano-dalmata e dunque fortemente rappresentativo di una città segnata dal passato.

In quel passato stano le foibe, che tutti ricordano, ma anche la Risiera, che nessuno ricorda o di cui fa conto di non sapere. Stanno le delazioni (di cui Alina Rosenholz è stata vittima), un fenomeno estremamente diffuso, tanto da stupire persino l’occupante tedesco per la sua diffusione, ma anche i soccorsi e i tentativi di aiuto ai perseguitati (per quanto meno numerosi), stanno i nuovi sentimenti nazionalisti antislavi. Trieste è una città che pensa di rivivere gli antichi splendori, di riprendere il corso  interrotto e di tornare ad essere la “città di frontiera”. Come sappiamo da allora sarà sempre più “città di confine”, mentale, innanzi tutto e perciò ostile, impermeabile allo scambio, diffidente.

In quel giorno dunque in un punto della città convergono i molti volti della città e con essi le molte storie. Trieste è una città molto segnata dalla storia da almeno quaranta anni, ma soprattutto in quel 1954 sono gli ultimi dieci a pesare.

Poi improvvisamente Berta si gira e mostra i suoi orecchini allo sguardo perso, apparentemente vuoto, di Alina.

Quel particolare riapre il capitolo del passato in una donna provata dalla deportazione e che non sa di sé. Quello sguardo puntuto non sfugge a Berta e improvvisamente anche lei si mette a osservare quella capigliatura che capisce ingrigita precocemente. Non è il colore, come per Alina sono gli orecchini a bucare un passato altrimenti muto, per Berta è l’attaccatura dei capelli a catturare l’attenzione, quella testa (non quel volto) ha un nome, una storia, un passato. La storia può riprendere.

Non sappiamo cosa accadrà dopo.  La storia può riprendere lentamente, forse.

Si può tornare indietro è un racconto carico di rabbia, soprusi, dolore, rimpianto, inquietudine, oppressione e sconfitte in cui, improvvisamente, convergono, in un giorno e in un luogo, le storie e le tragedie del Novecento e allo stesso tempo la possibilità di riconoscersi e dunque provare a ritessere un filo. Perché nella vita c’è sempre la possibilità di una seconda volta.

0 Commenti

Devi fare login per commentare

Login

Gli Stati Generali è un progetto di giornalismo partecipativo

Vuoi diventare un brain?

Newsletter

Ti sei registrato con successo alla newsletter de Gli Stati Generali, controlla la tua mail per completare la registrazione.