Torino

Torino, la città appesa alla benevolenza del manager di una partecipata

11 Dicembre 2019

I tempi in cui i sindaci potevano disporre delle (ex) municipalizzate come si fa col bancomat sono passati da un pezzo. I rapporti di forza sono ormai del tutto ribaltati e a dettare la linea sono le – chissà ancora per quanto – partecipate, da tempo quotate in Borsa e protagoniste di percorsi sviluppo tanto legittimi quanto del tutto indipendenti. A ricordarlo è il caso che vede contrapposti la sindaca di Torino, Chiara Appendino, e Massimiliano Bianco, amministratore delegato della partecipata Iren, la multi-utility principale del Nord Ovest, oggi quotata in Borsa e nata per consolidamento progressivo delle ex municipalizzate delle città di Torino, Genova, Reggio Emilia, Parma e Piacenza.

La vicenda attuale si colloca nel più ampio processo di concentrazione delle multi-utility locali, che fin qui hanno beneficiato di un’annata borsistica buona che da inizio anno vanno dal +32% di Iren al 51,8% di Acea fino al 46% di Hera, al più modesto +4% di A2A. L’occasione ghiotta è poi arrivata con la decisione delle banche (Mps, Banco Bpm, Ubi, Intesa Sanpaolo, Unicredit) di mettere in vendita Sorgenia, uno dei maggiori operatori italiani nel mercato libero dell’energia del gas. È un boccone grosso: si stima un valore d’impresa di un miliardo di euro, inclusi debiti netti per 632 milioni a fine 2018. La gara per Sorgenia è prossima al punto di svolta: le offerte vincolanti sono attese dagli advisor Lazard e Colombo & Associati entro il 16 dicembre. Fra le multi-utility regionali in short list ci sono A2A, in cordata con il gruppo ceco Eph, e appunto Iren, il cui a.d. Bianco ha ripetutamente confermato l’interesse per Sorgenia.

Per raggiungere l’obiettivo Bianco sembra voler tirare dritto, forte dell’appoggio del Comune di Genova (oggi primo azionista con il 23,7% dei diritti voto), e incurante delle perplessità arrivate da Torino, che, dopo aver alleggerito la partecipazione per far cassa, pesa solo per il 18,6%. E per far capire l’antifona non ha esitato a mandare deserta l’asta per la vendita del 17% di Trm (la società, controllata all’80% da Iren, che detiene e gestisce il termovalorizzatore di Torino), da cui Appendino si aspettava un incasso di 38 milioni – cifra in linea con i recenti flussi di cassa erogati agli azionisti.

Ad avere il coltello dalla parte del manico è Bianco: se non compra, Appendino non sa come chiudere il bilancio 2019, anche dopo un recente vertice fra i due enti  Iren ha comunque promesso di presentare un’offerta per il 17% del termovalorizzatore. Chi deve scendere a compromessi, insomma, è la sindaca, assecondando le ambizioni del manager. Intanto domani mattina, nel corso di una conferenza convocata nella sala delle Minoranze del Palazzo civico, il vicepresidente del consiglio comunale Enzo Lavolta (Pd) esporrà i suoi «10 motivi per dire sì a Iren e no a Sorgenia».

Fra le multi-utility ex municipalizzate, al momento Iren è solo terza per fatturato (4 miliardi), dopo A2A (6,5 mld) e Hera (6,1 mld), ma davanti ad Acea (3 mld). Consolidando 1,6 miliardi di ricavi che Sorgenia ha realizzato nel 2018, Iren farebbe un salto dimensionale, che cambierebbe i rapporti di forza fra le multi-utility. Uno scenario ambizioso, dunque, per il quale Bianco si è già portato avanti: nel 2018 i suoi compensi personali come amministratore delegato di Iren si sono attestati a 726 mila euro tra fisso e variabile, superiori ai 578 mila euro percepiti da Stefano Venier, capo-azienda di Hera – gruppo che nel 2018 può vantare fatturato, utili netti (296 milioni contro 242  di Iren) e dipendenti (8.622 contro 7.042) largamente superiori a quelli di Iren. Il compenso di Bianco svetta, sia pur di poco, anche rispetto ai 702 mila euro che il big del comparto, A2A, con i suoi 244 milioni di utile 2018 e oltre 12mila dipendenti, ha spesato per il proprio a.d. Valerio Camerano.

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