Scuola
Mense scolastiche e libertà. Contro lo stato paternalista
La libertà ha vinto di nuovo. Dopo giorni di battaglie, soprattutto nelle arene “social”, il tribunale di Torino ha dato ragione alle 58 famiglie che reclamavano la possibilità per i propri figli di portarsi da mangiare a scuola da casa, senza dover per forza consumare il pasto preparato dal servizio mensa. Il giudice per l’ennesima volta in questo paese è stato costretto ad operare in sostituzione del legislatore, intervenendo in tutela delle libertà individuali e garantendo il pieno compimento della libera scelta.
Ma la vittoria delle 58 famiglie torinesi che potrebbe sembrare un caso territorialmente confinato è in realtà un successo di tutti i cittadini contro l’ennesima ingerenza dello Stato nella loro sfera privata. Più volte infatti abbiamo assistito ai tentativi da parte delle istituzioni di imporre usi e consumi dall’alto. Da ultimi numerosi ricorsi alla leva fiscale per scoraggiare abitudini o promuovere stili di vita con pessimi risultati.
Su questo atteggiamento statalista e dispotico esiste una letteratura folta sia in filosofia sia in economia. Con il termine paternalismo infatti si usa indicare una forma di giustificazione addotta da chi detiene il potere per perpetrare le proprie finalità di tutela e guida verso soggetti considerati deboli, vulnerabili e dalla razionalità limitata. Come scriveva il filosofo del diritto Gerald Dworkin: “È una delle ragioni che qualunque potere, sia esso allo stato nascente o consolidato, può invocare per farsi riconoscere e accettare, per costruire o rafforzare la propria legittimità”.
La filosofia del nanny state, termine che indica l’atteggiamento da balia dello Stato verso i propri cittadini, è dunque una delle maggiori espressioni dell’atteggiamento paternalista in epoca contemporanea. E la posizione dello Stato italiano nel caso delle mense scolastiche ha dato prova di rientrare perfettamente entro questi canoni. Se infatti da un lato il Ministero della Salute considera il ricorso delle famiglie un preoccupante atto che va contro l’universalità del servizio mensa e la funzione pedagogica, sociale e di educazione alimentare di cui è portatrice, dall’altro dimentica che le libertà individuali sono il vero fine da perseguire e senza il riconoscimento di esse non esisterebbe la democrazia liberale in cui oggi viviamo. Per fortuna, in questo caso, è stato il giudice a ricordarlo, allontanando le predatrici grinfie statali. Che ci sia ancora speranza?
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