Partiti e politici

La crisi di Siena, un problema di competizione politica

22 Giugno 2015

Il libro di David Allegranti Siena brucia (di cui l’autore ha presentato parte della premessa su Gli Stati Generali), riporta l’attenzione su Siena, la sua crisi (universitaria, bancaria, sportiva,…) e il “groviglio armonioso” che ne ha gestito le fortune e la disfatta. Ho vissuto a Siena in anni “buoni” e la mia interpretazione della sua crisi, complementare a quella di Allegranti, si fonda sulla mancanza di competizione politica in quella città, assenza che ha portato anche l’opposizione ad unirsi alla maggioranza in una posizione subalterna e di comodo.

È dai tempi di Adam Smith che gli economisti insistono sui benefici della concorrenza sul mercato dei beni: spinge i prezzi verso i costi; incoraggia l’innovazione di processo e di prodotto; massimizza il benessere sociale. Solo recentemente si è cominciato ad analizzare in maniera approfondita l’effetto della concorrenza in campo politico. Uno dei maggiori contributi in questo campo è quello di Tim Besley, Torsten Persson e Daniel Sturm (“Political Competition, Policy and Growth: Theory and Evidence from the United States”, in Review of Economic Studies, 77, ottobre 2010, pp. 1329-1352) in cui si sostiene che negli USA la competizione in politica è da 90 anni uno dei principali fattori di sviluppo a livello statale. In particolare si argomenta che negli ultimi 40 anni lo sviluppo degli stati del sud sarebbe riconducibile a un aumento della competizione politica nelle assemblee statali e nei governatorati. La spiegazione potrebbe essere la seguente: fino al 1965, anno di approvazione del Voting Rights Act, i neri erano di fatto privati del diritto di voto (e questo in seguito alle leggi statali che limitavano il suffragio a chi superasse un test di inglese e fosse soggetto a tassazione capitaria); ma non appena la questione fu superata dalle nuove leggi federali, il voto non si divise più sulla barriera ideologica che separava i repubblicani dai democratici su basi razziali (con gli uni favorevoli all’estensione del voto ai neri e gli altri pregiudizialmente ostili). Si cominciò invece a valutare i Governatori sulla base della loro performance e questo aumentò la loro accountability e quindi il loro sforzo di produrre buoni risultati al fine di essere confermati nel ruolo.

Fatte le opportune (ed evidenti) differenze, la situazione di Siena può essere interpretata in questa ottica. Qui per situazione senese non si intendono solo le questioni relative al Monte dei Paschi di Siena, ma a una crisi sistemica della città, partita nel 2008 con l’esplosione del buco finanziario dell’Università, a cui fece seguito la caduta nel 2012 della giunta comunale in carica da un anno, sempre per problemi legati alle nomine nella Fondazione MPS e nella banca.

Comune e Provincia nominavano 13 consiglieri su 16, e l’affiliazione politica è evidente dato che i partiti del centrosinistra dominano le assemblee locali. Si considerino poi altri aspetti propri della politica senese: sindaci che sono dipendenti della Banca, sindaci che ambivano a presiedere la Fondazione (una lettera del ministro Vincenzo Visco bloccò la nomina perché non era passato un congruo periodo di tempo tra le due cariche) e che poi venivano messi a capo di una controllata della Banca. Un contentino era previsto anche per l’opposizione di centro-destra, che vedeva persone ad essa riferite essere nominate nei consigli di amministrazione di società del gruppo bancario.

In una situazione politica in cui il governo di Comune e Provincia fosse stato effettivamente contendibile, probabilmente certi comportamenti non sarebbero stati messi in pratica e, dove lo fossero, gli elettori avrebbero potuto punire chi si fosse comportato in maniera inadeguata. Il cambio di maggioranza negli enti locali avrebbe portato a un certo ricambio in Fondazione e nella Banca, in modo da fare pulizia degli errori (ed eventualmente dei reati) compiuti da amministratori e manager precedenti. Invece il sostegno reciproco tra Comune e Banca (per il tramite della Fondazione) ha permesso alla politica la nomina gli organi amministrativi della Fondazione e a cascata della banca, e a sua volta il Comune attraverso i dividendi della banca alla Fondazione riceveva le risorse necessarie all’ottenimento del consenso (finanziamento di lavori pubblici, contributi ad associazioni, alla stessa Università, ecc.) e pertanto indirettamente la possibilità di continuare a nominare gli stessi vertici della Fondazione.

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