Infrastrutture
Dialogo, trasparenza, puntualità: così San Francisco costruisce i metrò
Siamo abituati a figurarci San Francisco come una città colonizzata da marziani dell’intelligenza e del talento imprenditoriale. Si capisce. Da queste parti è nato il mito della Silicon Valley e della nuova civiltà della Rete, e la cultura nerd è stata sdoganata e resa seducente da figure come Steve Jobs, Larry Page e Mark Zuckerberg. Ma San Francisco non è solo smartphone, motori di ricerca, social media e la realtà virtuale. La città pullula di vita di comunità, fatta di gente in carne e ossa che si sposta, viaggia in bici e usa i mezzi pubblici, e ha bisogno di infrastrutture fisiche, non solo digitali.
E proprio nel campo della mobilità urbana sostenibile, San Francisco si è dimostrata all’altezza della sua fama. Qui, nel marzo 2012 sono cominciati i lavori per la realizzazione di due tunnel metropolitani paralleli nell’ambito del Central Subway Project, che estende la terza linea della metropolitana di San Francisco dalla Stazione Caltrain sulla Quarta strada fino a Chinatown. Tempi di realizzazione previsti: tre anni. Rispettati.
Se lo scopo di un’opera è migliorare la qualità della vita dei cittadini, è il ragionamento che si fa da queste parti, la missione deve essere rispettata anche durante i lavori di esecuzione. E la missione è stata raggiunta su tutti i fronti, nonostante le difficoltà su vari fronti riscontrate nell’operare nel centro di San Francisco. «È stato cruciale aver rispettato il nostro patto con il pubblico. Abbiamo promesso di consegnare rispettando le previsioni di calendario e di budget, e il completamento di questa porzione del progetto è un’altra tappa essenziale a dimostrazione che consegnamo quanto promesso», ha dichiarato Ed Reiskin, direttore Trasporti della San Francisco Municipal Transportation Agency (SFMTA), al momento del completamento del progetto. Una soddisfazione rafforzata dall’arrivo di due importanti riconoscimenti: l’Award of Merit 2015 dell’Engineering News-Records California e il premio come “Progetto di Trasporto dell’anno” assegnato sempre quest’anno dalla Società americana degli ingegneri civili (Asce).
Il piano dei lavori includeva la costruzione di due tunnel paralleli per il passaggio dei treni della lunghezza di circa 2.6 km ciascuno, e di quattro stazioni lungo un percorso di 1,7 miglia, per un costo di 1, 6 miliardi di dollari, di cui una quota di 241 milioni è stata assegnata al gruppo italiano Salini Impregilo, alla sua controllata Usa S.A Healy e al partner Barnard CCI. Salini ha realizzato i due tunnel, le opere preliminari per le future stazioni e quelle di consolidamento, insieme con la rampa di ingresso e il pozzo di estrazione della fresa.
A parte le difficoltà tecniche riscontrate nella costruzione dei due tunnel che attraversano il centro di una città come San Francisco, la vera sfida era realizzare l’opera gestendo in modo trasparente il dialogo con la popolazione e tenendo conto degli interessi diffusi sul territorio. Per esempio il contratto prevedeva l’obbligo di reclutare in loco una parte del personale impiegato nei cantieri e di riservare una quota del 6% dei lavori a imprese certificate come piccole o disagiate e che pertanto sono state selezionate fra quelle locali. Ma da sole queste garanzie non potevano certo bastare.
«La città di San Francisco è molto sensibile verso la tutela di ogni tipo di minoranza e attenta ad ascoltarele istanze provenienti da tutte le parti coinvolte, ed è strutturalmente organizzata per tale scopo – racconta Michele Gorasso, manager di Salini negli Stati Uniti –. L’ operazione di costruzione della nuova linea è stata perciò condotta da tutti gli attori in costante trasparenza e dialogo e questo ha evitato il sorgere di proteste o problemi che avrebbero potuto ostacolare l’opera».
La soddisfazione implicita nel commento di Ed Reiskin riguarda anche la capacità di adattamento di cui il piano di lavoro ha dato prova nei riguardi dei comitati di quartiere, che sono intervenuti a più riprese per richiedere modifiche di tracciato e di esecuzione. Per esempio, il comitato di North Beach ha ottenuto lo spostamento dell’area dove doveva essere costruito il pozzo di uscita della TBM. Nel progetto originario il pozzo di uscita sorgeva in Columbus Avenue, una strada pubblica. La costruzione del pozzo avrebbe comportato ovviamente restrizioni al traffico e probabilmente alcune difficoltà alle attività economiche e alla cittadinanza. La comunità ha invece ottenuto la ricollocazione del pozzo in un area privata che il committente ha acquistato allo scopo, evitando ogni forma di disagio.
La San Francisco Municipal Transportation Agency ha aperto un suo canale di comunicazione con la città, attraverso cui ha aggiornato i cittadini sull’avanzamento dei lavori. Con cadenza almeno settimanale il blog pubblicava il piano dei lavori per i giorni successivi, mostrando le foto dal cantiere per illustrare i segmenti di progetto via via completati. La trasparenza è stata dunque una delle forme in cui si materializza il dialogo con il territorio. E il piano di avanzamento dei lavori del metrò di San Francisco ha mostrato che è possibile produrre risultati di eccellenza, rispettando gli standard di qualità, i tempi previsti e il budget dell’opera. E minimizzando i disagi per chi nella città ci vive.
L’attenzione per la realtà sociale è denunciata fin dal battesimo delle due macchine “TBM”, ovvero le frese che scavano i tunnel. Infatti, allo scopo di dare un nome alle due frese, SFMTA ha indetto dei sondaggi online per coinvolgere e far partecipare delle scelte la comunità. La prima ad entrare in attività, nel luglio 2013, si chiama Mom Chung. Con questo nome si celebra la dottoressa Margaret Chung, vissuta per settant’anni tra il 1889 e il 1959: è lei il primo medico donna, di estrazione sino-americana, ad aver esercitato la professione negli Stati Uniti. Ha aperto il suo studio nei primi anni Venti proprio nella zona di Chinatown a San Francisco. L’appellativo di Mom le deriva dalle attività patriottiche condotte negli anni Trenta e Quaranta fra Cina e America. La seconda macchina di scavo è stata invece dedicata a Big Alma, il soprannome che Alma de Bretteville Spreckels si è guadagnata in vita anche a causa della sua altezza – inconsueta per l’epoca – di un metro e ottanta. La sua vita è stata dedicata all’arte e alla filantropia, con grandi investimenti nelle opere pubbliche americane dedicate alla cultura. La storia la ricorda per essersi guadagnata da vivere, dopo aver abbandonato la ricca famiglia di origine, posando come modella per lo studio di nudi. E per aver coniato l’etichetta sugar daddy come appellativo del primo marito, che amministrava la Spreckels Sugar Company.
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