San Francisco
Il grande cuore del Laurel Canyon
Ricordo di aver sentito la notizia alla radio, di notte, in una delle mie orribili veglie adolescenziali. Mama Cass Elliott è morta di infarto, a soli 33 anni, e l’intero mondo della musica la piange. Una frase fatta, pensai allora. Di lei sapevo solo che cantava “Monday Monday” e “California Dreamin'” con i Mamas & Papas, e quindi non è che la prendessi sul serio. In quei tempi ero un fondamentalista di Frank Zappa e del prog.
Con gli anni mi sono innamorato della musica della West Coast, poi del blues e del country-rock, ed infine, più adulto, del jazz. Ovunque leggessi, prima o poi incontravo di nuovo Mama Cass: una ragazza più vecchia della sua età, forse, con una voce celestiale e problemi di obesità – che, anni dopo, avrei dovuto dolorosamente sperimentare su me stesso.
Stanotte, leggendo una monumentale biografia di Frank Zappa, mi ha commosso enormemente leggere ciò che lui ha scritto di lei – un musicista che, apparentemente, appariva così lontano dalla corista dei Mamas & Papas. Zappa la cita nella canzone “We’re turning again”, con cui lui (che odiava le droghe) elenca tutti coloro che si credevano eroi del folk e, spinti da una stampa imbecille e dal mito dell’infantilismo, hanno distrutto la propria vita inutilmente. Tipico di Zappa: nelle contumelie si legge un affetto triste e mai sbadato. “In qualunque momento saremmo potuti andare da Big Mama, incartarla e portarla via mentre lei mangiava il suo panino”, canta, spiegando che c’era un immenso bisogno di persone adulte in un’era di ragazzini – un’altra cosa che Zappa ha sempre odiato, hippies in testa – e che lei era sempre disponibile per tutti.
Ma perché era così importante? Certo, una grande voce, in ogni caso una grande carriera che spazia dal jazz al folk al beat al country ed al pop, sempre con un grande successo – ed una sola sconfitta: nel 1962, a Broadway, al provino per la parte principale nel musical “I can get it for the wholesale”, che allora era campione di incassi a New York. Mama Cass aveva già imparato gli spartiti a memoria, sicura di vincere, ed invece i produttori le avevano preferito una ragazzina di 18 anni senza nessun passato, una certa Barbra Streisand.
I tempi in cui i Mamas & Papas iniziarono ad avere grande successo, erano gli anni in cui TUTTI scrivevano le cose più importanti di sempre, e Mama aveva lavorato con ciascuno di loro, era amica di tutti, conosceva chiunque, dai Beatles ai Rolling Stones, da Crosby Stills Nash & Young a Joan Baez e Bob Dylan, da Frank Zappa a Frank Sinatra e Sammy Davis Junior, che racconta: “Era una donna incredibile, dolcissima, di una cultura letteraria profondissima, che non sembrava mai triste, ma sempre a suo agio. Veniva da una famiglia di fornai ed aveva conquistato ogni centimetro della propria bravura e cultura con entusiasmo, buon umore ed una tigna incomparabile, e se ne fregava se era grassa”.
Nel 1967, a 26 anni, era rimasta incinta di un jazzista (il cui nome è rimasto segreto finché la bimba, oramai maggiorenne, andò a controllare l’atto di nascita) e quindi voleva una vera casa. Ma non aveva i miliardi che, più tardi, le star avrebbero avuto. Trovò un terreno a Laurel Canyon ed unì due bungalows, avendo così un prato grande abbastanza per metterci un tavolo cui potevano comodamente sedere 40 persone. L’ha comprato da una zia di Carrie Fisher, la principessa Leyla di Star Wars (che, grazie a Mama Cass, aveva incontrato il suo primo marito, il cantautore Paul Simon), che aveva recitato nel cinema muto quando Debbie Reynolds, la mamma di Carrie, era ancora giovanissima, e si era ritirata lassù, nelle colline dietro Hollywood, perché con l’avvento del sonoro aveva perso tutto.
Laurel Canyon Boulevard parte dalla Ventura Highway (quella celebrata dalla canzone degli America), vicino agli studi di registrazione della CBS, e s’inerpica su delle colline (a quei tempi) desertiche per chilometri e chilometri. Intorno alle due case comprate da Mama Cass c’erano decine di bungalow e cottages abbandonati. Tra il 1967 ed il 1971 l’intero mondo musicale californiano aveva dapprima partecipato alle feste che si tenevano ogni sera nel prato di Mama Cass, poi aveva incontrato là qualche altro musicista, fondato nuove band, ed a quel punto aveva comprato una delle case circostanti. E questo è divenuto Laurel Canyon: chi legge le mie cose lo sa, è quel mondo meraviglioso e dannato in cui, in meno di un decennio, è stata sognata, scritta e suonata la più grande musica degli ultimi due secoli.
Mama Cass dava alloggio ai musicisti sconosciuti, faceva da paciere con quelli famosi, cantava sugli spartiti di chiunque, ha partecipato alla stesura degli arrangiamenti di oltre mille canzoni indimenticabili. E mentre gli altri si ferivano l’un l’altro con la stupidaggine dell’amore libero e l’orrore dell’eroina, Mama era l’unico adulto in un oceano di bambini straordinari, unici, irripetibili, e trattava tutti con affetto e partecipazione. Ma non era vero che non soffrisse. Quando, nel 1968, le offrirono un contratto per una cifra folle per una stagione a Las Vegas, Cass fece una dieta che la porta da 136 a 90 kg. Esagera, le viene l’ulcera, i concerti vanno malissimo, e lei si nasconde a Londra per curarsi da sola le ferite. Più tardi, le morti di Jimi Hendrix e quella di Janis Joplin, due amici carissimi, le spezzano il cuore. Alla fine passa più tempo a Londra che a Laurel Canyon.
La salva un manager, Allan Carr, che l’aveva già fatta lavorare in diversi film e l’aveva fatta apparire in oltre 200 show televisivi. Allan le aveva spiegato che i tempi erano maturi, che doveva fare un salto di qualità ed accettare che non poteva più essere una mamma, ma una diva. Vendere la casa sulle colline di Hollywood, cambiare repertorio e vita. Questa decisione ha cancellato, in soli tre mesi, l’intera scena musicale del Laurel Canyon – senza di lei non funzionava più, mancava il cuore pulsante.
Aveva ricominciato a Londra da una serie di concerti al Palladium, davanti a 2300 persone ogni sera, tutto venduto prima ancora che ci fosse la sera del debutto. Quella volta, racconta chi c’era, Cass, sul palco, bruciò i cuori di una generazione perduta e suicida e restituì al mondo, come una fenice, un universo di armonia, passione, tecnica e profondità. Alla fine c’era stata una standing ovation di oltre un quarto d’ora. Mama Cass, stanchissima, aveva promesso si andare a salutare gli amici alla festa di compleanno di Mick Jagger. È tornata a casa che erano le tre e mezza. Un’ora dopo il suo grande cuore l’aveva lasciata.
Cass Elliott ha lasciato dei dischi, certo, ed anche mille interviste e registrazioni TV. Ma, come scriveva Zappa, ha soprattutto lasciato un’immagine simbolica: è stata un riferimento non solo musicale e culturale, ma materno. E, come una mamma, ha creato cose indimenticabili, che sono fiorite nelle mani e nelle voci dei più grandi artisti del 20° secolo.
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