Roma
Virginia Raggi e la stanca retorica della bicicletta
C’era una volta Ignazio Marino, la sua casa al Pantheon, le sue pedalate mattutine che diventavano pesanti nell’ultimo tratto del brevissimo tragitto verso il suo ufficio, quando saliva il Monte Capitolino con vigili al seguito. C’è oggi Virginia Raggi, la giovane avvocatessa che il Movimento 5 Stelle ha lanciato nella corsa per la conquista del Campidoglio, che domenica ha organizzato una grande biciclettata al grido di “Ci riprenderemo la nostra città, vicolo dopo vicolo, pedalata dopo pedalata. Andata e ritorno”.
Politici e mezzi di trasporto. Un binomio che spesso durante le campagne elettorali viene riproposto in modo più o meno artefatto, un po’ per “umanizzarli” agli occhi di chi non li considera esseri umani al pari degli altri, un po’ per segnare spazi e linee programmatiche di chi si propone come amministratore. Chiaramente l’auto blu è il male assoluto, immagine inequivocabile di potere e privilegi della casta, l’ideale è il bagno di folla sul mezzo pubblico, ma anche il mezzo privato talvolta viene tollerato, purché non sia ovviamente troppo costoso (“lo ha comprato coi soldi nostri il maiale”). In molti ricorderanno il motorino di Francesco Rutelli ai tempi della sua prima candidatura, un vecchio Honda SH bianco, uno dei modelli più diffusi allora. Era uno dei più lenti sul mercato, ma lo aveva la tua fidanzatina che vestiva Balloon, portava ai piedi delle Tobacco Adidas marroni con braccialetto di corda alla caviglia e si riparava dai freddi invernali col suo Barbour blu. Per un pieno ci volevano meno di cinquemila lire.
Rutelli era un romano tra i romani, uno di quelli che potevi trovare in mezzo al traffico e che magari ti tagliava la strada con quel motorino del cazzo, facendoti venire voglia di schiacciare l’acceleratore per mettere fine per sempre a quei fastidiosi slalom. Fu una delle cose che piacquero di lui e che lo resero personaggio. Ma Rutelli, una volta chiuso il lucchetto della catena del suo SH, si sedeva sulla poltrona del sindaco e sapeva gestire le impegnative carte che passavano sulla grande scrivania che aveva di fronte. Insomma, il motorino gli serviva per spostarsi, come serviva alla tua fidanzatina griffata dalla testa ai piedi per andare a scuola, nulla di più.
Negli ultimi anni si è diffusa prepotentemente la retorica della bicicletta. Il politico bravo è quello che gira la città pedalando, i suoi fan ti parlano con enfasi dei deputati del nord Europa che parcheggiano la loro bici fuori dal parlamento, inondano la rete con immagini delle meravigliose ciclabili di Dublino e Amsterdam, città dove il ciclista ha sempre ragione e il semplice pedone è considerato un essere inferiore da mettere sotto se per caso commette il gravissimo errore di non dar la precedenza ai pedalanti.
Tutto molto affascinante, ma poi c’è Roma, una città che oggi compie 2.769 anni (tanti auguri), è attualmente una delle più grandi metropoli del continente e “sfortunatamente” si erge su sette bellissimi colli. Va da sé che pur essendo prioritario un aumento delle piste ciclabili (iniziando dal GRAB) e una loro integrazione con il mezzo pubblico per permettere un utilizzo sempre più diffuso del mezzo, sarà improbabile immaginare in futuro una Roma ciclabile sui livelli delle capitali nordeuropee, ma neanche su quelli di Milano, Bologna o Firenze, città molto più piccole e pianeggianti. Chi dice il contrario racconta delle bellissime favole.
C’è poi il sindaco, quello che secondo la retorica della bicicletta, è più bravo se scende dalla “poltrona” e sale sul “sellino”. Ma un bravo sindaco dovrà innanzitutto saper stare su quella poltrona, perché è da quella poltrona che si potranno curare i mali della città. È da quella poltrona che si dovrà evitare che ATAC fallisca. È da quella poltrona che si dovrà trovare una soluzione per quei campi rom da dove escono fumi tossici. È da quella poltrona che si dovrà combattere il degrado. È da quella poltrona che dovrà rilanciare l’economia di Roma. Un bravo sindaco dovrà anche saper scendere da quella poltrona quando ce ne sarà la necessità, magari quando dovrà correre a Tor Sapienza a rassicurare i suoi concittadini, possibilmente non in bicicletta, perché a Roma serve un bravo sindaco, non una maglia rosa. Ormai dovrebbe essere chiaro.
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