Immobiliare

Viaggio nell’emergenza abitativa di Roma: “Siamo obbligati all’illegalità”

31 Marzo 2018

(Reportage realizzato da Francesco Conte e Gabriele Cruciata)

Roma ha un puzzo peculiare, fatto dell’incontro tra cemento, smog e pini secolari. A questa miscela a tratti raccapricciante si unisce l’odore dei materassi e delle coperte ormai intrise di acqua piovana e urina. Sono i giacigli di fortuna di chi non ha più una casa. Incontrarli lungo la strada si è fatto facile negli ultimi tempi.

Roma vive da anni dentro un’emergenza abitativa così prolungata da esser diventata ormai una questione ordinaria. Lo raccontano bene i volti di uomini e donne che da anni si sono trovati a dover occupare edifici per poter sopravvivere. “Viviamo in un’illegalità forzata da anni. Ma se io sono abituato a commettere un reato per vivere, davvero sono colpevole?”. È una domanda retorica che in tanti si pongono in città. Ma una risposta esauriente sembra non arrivare mai.

OCCUPARE I PALAZZI

“La prima volta che ho occupato non me la ricordo bene, erano gli anni Ottanta”. A parlare è Andrea Alzetta, detto Tarzan. Cinquant’anni appena compiuti, è considerato uno dei leader della disobbedienza romana. Ci riceve in una trattoria popolare realizzata in Via Santa Croce in Gerusalemme. Il locale si trova all’interno dell’ex sede principale dell’INPDAP, ora occupata da circa 180 famiglie.

Tarzan nel 2002 ha cofondato Action, uno dei movimenti più attivi nel mondo del diritto all’abitare. “Volevamo innovare la lotta per la casa, inserendo il diritto all’abitare all’interno del disegno della città, che spesso era speculativo”. Mentre parliamo sorseggia una birra, e gli altri commensali chiacchierano appoggiati a bancali trasformati in tavoli e sedie. “L’occupazione di Santa Croce in Gerusalemme è tra le più importanti a Roma. Occupammo il 12 ottobre del 2013, e da allora molti ospiti son cambiati, ma le famiglie sono più o meno sempre le stesse”. A circa un chilometro da qui c’è la sede di CasaPound, anch’essa occupata. Il movimento neofascista fa alloggiare lì decine di famiglie da circa dieci anni. È la dimostrazione di quanto la crisi abitativa romana sia diventata sistematica e bipartisan.

Tra gli ospiti arrivati da poco vi è anche Giorgio, un ragazzo peruviano trasferitosi a Roma per studiare musica. “Sai, qui a Roma c’è musica e arte dappertutto, è il posto migliore per studiare questo genere di cose”. Accanto a lui vivono altri ragazzi di passaggio, ma anche famiglie oramai stanziali. All’ingresso, specie nel tardo pomeriggio, è tutto un via vai di padri, madri, passeggini e ragazzini. Sembra di trovarsi dentro un grande condominio in cui tutti si conoscono. Nel palazzone di sette piani c’è una portineria, un auditorium, un ristorante e degli uffici dedicati all’ascolto psicologico e all’assistenza legale. Nei locali dell’ex sede INPDAP esiste anche una discoteca e una palestra, nonostante gran parte degli spazi siano organizzati per dormire. “E’ una forma di autogestione in cui tante persone si danno un’organizzazione e rispettano le regole per vivere in società. Le regole sono chiare, a volte severe, e tutti devono rispettarle per vivere meglio insieme”.

 COME SI FINANZIANO I MOVIMENTI

“Una vera politica per l’abitare qui non esiste da anni. Considera che oggi stanno per essere portati a compimento i 10 punti per l’abitare che il Comune nel 2000 si era riproposto di raggiungere nel 2010. Capito? Se vuoi la legalità devi aspettare 18 anni”. Quando Tarzan parla di politica si capisce che quel soprannome è meritato. “Occupare – ci spiega – è come stringere un patto sociale. Però questo patto è sempre stato disatteso dalle istituzioni”.

Il problema abitativo a Roma si è infatti acuito a causa della crisi economica. Mentre le persone perdevano il lavoro, nessuna nuova casa popolare veniva costruita, e le liste per ottenerne una si allungavano esponenzialmente. Per questo motivo nelle periferie di Roma si è creato un racket degli alloggi popolari, e contestualmente le occupazioni sono aumentate. Al momento nella sola Capitale sono 102 gli edifici occupati, una casa per circa 15mila persone. A questo numero vanno aggiunti i senzatetto che dormono per strada. La Comunità di Sant’Egidio ne stima 7.500 soltanto a Roma.

Nel corso degli anni Action è stato – insieme ad altri movimenti per la casa – al centro di critiche aspre. Oltre all’illegalità di una occupazione, i detrattori contestano agli attivisti l’aver creato un sistema criminale basato sullo sfruttamento dell’emergenza abitativa. “Nel 2006 ci indagarono per associazione a delinquere – racconta Alzetta -, perché chiedevamo dei soldi per una tessera. Ci assolsero completamente”. Spesso i movimenti sono accusati anche di chiedere una sorta di pizzo a chi occupa gli stabili. “Si tratta di un piccolo contributo mensile, di circa 10 euro, che serve per la manutenzione degli edifici. Con quei soldi ci paghiamo l’idraulico, l’elettricista e in generale le attività necessarie per mantenere un livello dignitoso di vita”. Il resto dei fondi proviene da autofinanziamento attraverso feste, trattoria ed altre attività.

 

IL PESO DELLA BUROCRAZIA

Roma è vasta, e più ci si allontana dal centro più il problema abitativo si fa grave. “Io mercoledì parlo con quello dell’INPS e finalmente mi danno i soldi della pensione che mi spettano”. Questa frase è diventata un mantra tra i volontari di Ostia, il lungomare capitolino. La ripete ormai da anni Roberto, un clochard 77enne e diabetico dal forte accento romano. Dopo una vita passata a guidare camion, ora la notte dorme su dei cartoni poggiati sotto un porticato, a due passi dalla fermata centrale della Roma Lido. Spesso si occupano di lui i volontari de L’Alternativa, una onlus locale.

I ragazzi spiegano che per un motivo burocratico ancora non identificato, Roberto non riesce a prendere diverse migliaia euro di pensione mai riscossi. Per questo l’associazione fornisce anche un sostegno legale e amministrativo a chi ne ha bisogno. “Stamo a cercà de capì perché non mi danno sti soldi, ma tanto mercoledì sta storia finisce”, spiega Roberto. Eppure sono centinaia i mercoledì passati da quando vive in strada, e la pensione ancora non è arrivata.

Tra i bisognosi seguiti da L’Alternativa c’è anche Stefano. Dopo anni di lavori precari e una convivenza finita male, la sua vita si è incrinata. Ha perso il lavoro, ha chiuso una relazione, e alla fine si è trovato in strada. Ora dorme insieme al suo cane in una roulotte vicino all’Idroscalo. E’ gentile, e chiacchiera a lungo mentre sorseggia un tè offerto dai volontari. “Io ho vissuto a Roma e a L’Aquila, ho lavorato in un supermercato e anche da altre parti. Adesso sto così, però sto cercando un lavoro, solo che non mi ricordo come si scrive un curriculum”. Stefano spiega che fare domanda per una casa popolare sarebbe inutile: “Le liste sono troppo lunghe, e le case sono troppo poche. E poi non ho moglie e figli, quindi il mio punteggio sarebbe molto basso. A questo punto mi conviene rimanere qui” ci dice, mentre indica con orgoglio la sua roulotte arredata.

I giovani volontari aiutano circa trenta persone. Ce lo spiegano con un sorriso fiero che cambia velocemente quando chiediamo loro cosa fa la politica locale per i bisognosi. “Qui in Municipio litigano per i secchi dell’immondizia da mettere nella loro sede. Ma secondo voi cosa può fare una politica così?”.

 

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