Partiti e politici

Un futuro da “taglianastri” attende Virginia Raggi

17 Dicembre 2016

“Dall’uomo più potente in tre giorni divento il più coglione”, diceva Raffaele Marra in una delle telefonate intercettate dalla Procura. L’ex direttore del personale capitolino, arrestato ieri con l’accusa di corruzione,  temeva, in piena estate, che le polemiche sul suo conto potessero frenare la sua folgorante ascesa in Campidoglio. E in qualche modo profetizzava la fine. La sua, come quella del resto del “raggio magico”, il nucleo di fedelissimi attraverso cui Virginia Raggi avrebbe voluto governare Roma.

Perché per andare avanti, e mantenere il simbolo del Movimento 5 Stelle, la sindaca ora dovrà fare a meno dei suoi principali “alleati”. “Sono stati fatti degli errori che Virginia ha riconosciuto – ha scritto Beppe Grillo –  si è fidata delle persone più sbagliate del mondo”. Da Salvatore Romeo, il funzionario capitolino che dopo essersi messo in aspettativa è stato reinquadrato nella segreteria politica con un compenso triplicato (da 39mila euro a 120mila euro, ridotti poi a 93mila). Fino al vicesindaco Daniele Frongia, che proprio negli anni di opposizione aveva costruito un rapporto di fiducia con Marra.

La loro rimozione dai luoghi decisionali del Campidoglio è la condizione preliminare che Beppe Grillo ha posto alla sindaca, oltre alla due diligence di tutti gli atti finora approvati. Poi, per il futuro, meno autonomia sulle nomine e sulle scelte più importanti. Il rischio per Virginia Raggi di essere relegata a semplice “taglianastri”, come vorrebbe la frangia più oltranzista, è più che concreto. Per questo, prima di cedere alle richieste, ha sondato senza successo la disponibilità dei consiglieri capitolini ad andare avanti senza il marchio di “fabbrica”.

“Non mi riconosco più in questo Movimento 5 stelle”, avrebbe inutilmente detto ai suoi, per poi capire di essere isolata, almeno ai piani alti, e accettare la rimozione del caposegreteria Romeo e il demansionamento di Frongia, non più vicesindaco, ma semplice assessore allo sport. Luigi di Maio, che per mesi l’aveva difesa dagli attacchi di Roberta Lombardi, da ieri siede come lei sul banco degli imputati per la gestione della vicenda romana e stavolta non ha potuto far nulla. Al vicepresidente della Camera erano già state “perdonate” le sviste sul caso Muraro, per questo non ha potuto che incassare silenziosamente, preoccupato soprattutto dai possibili sviluppi dell’inchiesta su Raffaele Marra. Il timore è che nelle tante telefonate intercettate possa incidentalmente uscire fuori il suo nome, ponendo fine ad ogni sogno di gloria. Se ancora ce ne fossero.

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