Roma

Tre motivi per parlare di Kurz a Roma

9 Aprile 2015

Si è svolta nella prima metà di questa settimana la visita del Ministro degli Esteri austriaco Sebastian Kurz a Roma. Visita durante la quale il giovanissimo ministro ha incontrato l’omologo italiano Paolo Gentiloni e il Papa, con i quali ha discusso i temi più caldi di politica internazionale e alcune tematiche condivise quali la libertà religiosa e il futuro dell’Alto Adige. L’arrivo di un ministro da Vienna non è, per ovvi motivi, equiparabile alla visita in pompa magna di un segretario di Stato americano o di un rappresentante del governo di Berlino. La copertura mediatica è irrimediabilmente destinata ad essere contenuta, soprattutto in giorni convulsi segnati dal raggiungimento dell’accordo sul nucleare iraniano e dalla costernazione seguita all’attentato di Garissa in Kenya. Cerchiamo però di inquadrare tre motivi ben precisi per cui vale la pena soffermarsi sul soggiorno romano di Herr Kurz.

L’esponente del Partito Popolare austriaco (ÖVP), che governa a Vienna nell’ambito di una Grosse Koalition con i socialdemocratici di Werner Faymann, è una star mediatica di tutto rispetto. Fattosi le ossa in un contesto ostile come la capitale (Vienna è “la rossa” per eccellenza) sfruttando abilmente il clamore suscitato dal lancio di spregiudicate iniziative politiche, Sebastian Kurz ha ricoperto (a ventiquattro anni) la carica di sottosegretario all’Integrazione nel precedente governo Faymann. Destreggiatosi abilmente tra le secche di un tema politicamente incandescente (propagandisticamente sfruttato dalla destra austriaca, erede di Haider), si è visto inviare nel Ministero di Piazza dei Minoriti come alfiere di un centrodestra boccheggiante. Il suo leader, il vice-Cancelliere Spindelegger (suo predecessore al Ministero), ha dovuto presto gettare la spugna e fare un passo indietro. Kurz, armato della sua “straordinaria inesperienza” (per citare un ministro nostrano), continua a guidare la diplomazia del piccolo paese alpino.

Da segnalare, in primis, la forte presa di posizione del Ministro in merito a soluzioni militari da adottare contro il terrorismo e lo Stato Islamico. Come è noto, la neutralità è uno dei cardini imprescindibili della politica estera austriaca e il dazio pagato nel 1955 per rientrare da Stato sovrano nella comunità internazionale. Kurz ribadisce il rispetto di tale principio scandendo: “Noi siamo un paese militarmente neutrale, ma in riferimento alla terrorismo dell’ISIS la nostra linea è chiara: l’aiuto umanitario per le vittime è necessario, ma occorre fare di più”. Quel “di più” non esclude, continua Kurz, sostenere quei paesi che supportano militarmente ed inviano armi agli insorti che combattono l’ISIS. Non è questa la sede per discutere le ricadute concrete di tale presa di posizione, assunta nell’ambito di una visita al Pontefice da parte di un leader politico cattolico. Quello che andrebbe ribadito è l’urgente bisogno di una linea politica chiara per quanto riguarda l’uso dello strumento militare. Troppo spesso assistiamo a balbettii inconcludenti, smentite e tardive riformulazioni. Come ha scritto Sofri su Il Foglio, solo un paese “innamorato della propria rovina” esita a discutere a viso aperto tali tematiche.

È stato inoltre evidenziato dai media l’interesse del ministro Gentiloni per la Legge sull’Islam approvata a febbraio dal Parlamento austriaco. Una legge che ha polarizzato l’opinione pubblica e che il governo di coalizione ha fatto varare sfidando la contrarietà delle opposizioni di destra e di sinistra. Anche i giornali tedeschi ne hanno parlato diffusamente, alla luce delle ripetute marcie anti-Islam succedutesi in Germania negli ultimi mesi. Una legge che è stata additata dai suoi detrattori come un tentativo di “austrizzare” forzatamente l’Islam praticato dai cittadini della repubblica alpina, introducendo una cattedra di Teologia Islamica all’Università ma impedendo soprattutto i finanziamenti dall’estero alle moschee. Decisione che ha suscitato la reazione della Turchia e che non mancherà di far discutere anche nei prossimi mesi. Alla luce di un dibattito italiano spesso appiattito sullo stantio ripetersi di luoghi comuni e prese di posizione a priori, l’idea di legiferare su una materia tanto incandescente potrebbe fungere da stimolo per la regolazione di un fenomeno che ci riguarda tutti.

In terza battuta, torna un punto imprescindibile nelle relazioni italo-austriache: l’Alto Adige. Se ne lamentò nella sua colonna sul Messaggero Veneto (Austria Vicina) il giornalista Marco di Blas ai tempi del governo Monti, quando gli aggiustamenti di finanza pubblica approntati dall’esecutivo del Professore portarono alcuni esponenti politici altoatesini a parlare di “gelido vento centralista” e ad invocare la protezione internazionale di Vienna. I tempi sono cambiati, le frontiere sono cadute e i tralicci non vengono più fatti esplodere come accadeva negli anni Settanta. L’Alto Adige/Südtirol, oltre ad essere un brand di successo e una meta turistica amatissima, resta un’oasi se paragonato alle limitrofe aree montane delle Regioni prive di Statuto Speciale. Ciononostante, permane il legame della classe politica altoatesina (quindi della SVP, partito egemone) con l’antica capitale. Legame che è stato e che potrà ancora essere usato come arma di ricatto nei confronti di Roma, qualora dovesse risorgere l’inclinazione a sforbiciare i privilegi di cui gode Bolzano. Da parte di Vienna, la tendenza è sempre quella: rassicurare e ribadire il proprio appoggio alla “provincia perduta”.

Uso della forza, ruolo delle religioni nella società, tutela internazionale dell’Alto Adige. Tre punti cardine sui quali Sebastian Kurz ha avuto il merito di richiamare l’attenzione.

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