Partiti e politici

Tra Giorgia e il ballottaggio c’è un terzo incomodo: la matematica

16 Marzo 2016

Gli elettori ormai sono imprevedibili. Non tutti, certo, ma una buona parte si. È sempre più difficile capire chi voterà e chi no. Ed è sempre più difficile capire per chi voterà quella parte che si recherà alle urne. Questa è la vera ragione per cui i sondaggi falliscono sempre più spesso. Se 1 elettore su 3 decide il giorno delle elezioni, c’è poco da “prevedere”.

Se questo è vero, è altrettanto vero che siamo diventati (quasi) tutti elettori “mobili”, fluttuanti o per dirla con Veneziani, “psicolabili”. Senza appartenenze granitiche e con un voto di scambio ridotto al lumicino (causa scarse risorse pubbliche, partiti “terremotati” e magistratura che imperversa e terrorizza a tutto campo), non resta che il voto libero e volatile. Il che può rendere possibile (quasi) ogni risultato.

È per questo che Berlusconi continua a dire, anche con Giorgia Meloni in campo, che “Bertolaso vincerà al primo turno” e, per la stessa ragione, monta l’entusiasmo dentro Fratelli d’Italia per la possibilità che il loro leader possa arrivare al ballottaggio: tutto è possibile.

In teoria almeno. Poi però c’è la matematica. Nel senso che oltre il 100% di voti validi non si può andare. Proviamo allora a ipotizzare qualche scenario per capire le reali possibilità di ballottaggio per Giorgia Meloni, prescindendo abbastanza dai sondaggi, visto che mancano 3 mesi al voto e la campagna elettorale vera e propria non è ancora iniziata.

Partiamo da un’ipotesi suffragata da una mini-costante. Sia alle comunali del 2013, sia alle europee del 2014 i voti validi a Roma sono stati 1 milione e 200 mila, pari al 52% degli aventi diritto. Considerando che anche quelle elezioni si sono tenute tra fine maggio e i primi di giugno, possiamo supporre che quella sia la quota dei cittadini romani che preferisce le urne al “mare”.

Se quella dunque è la base elettorale da cui partire, cosa deve succedere affinché Giorgia Meloni arrivi al ballottaggio? Un’ipotesi può essere la seguente.

Schermata 2016-03-16 alle 12.55.59

Tuttavia, è fin troppo evidente che si tratti di una possibilità molto, molto remota. Detto brutalmente: il candidato del PD dovrebbe dimezzare i voti rispetto a due e a tre anni fa (alle europee il PD ha preso il 43,1% e Marino al primo turno era al 42,6%) e Meloni dovrebbe quadruplicare i voti di Fratelli d’Italia (che alle europee era al 5,3% e alle comunali 2013 al 5,9%). Il M5S in questa simulazione è stato mantenuto in linea con le europee, anche se tutti i sondaggi lo danno più alto. Anche Sinistra Italiana e Marchini sono in linea con le elezioni precedenti.

Ipotesi irrealistica anche per il totale dei voti per area. In questo scenario, infatti, avremmo PD+ SI al 28%, M5S al 25% e candidati di centrodestra al 47%. Con tutto l’ottimismo possibile, mi pare uno scenario improponibile.

Se è vero, infatti, che a oggi i tre poli sono vicini in termini di consenso, uno scenario più verosimile, per quanto ancora favorevole all’area di centrodestra, sarebbe il seguente:

Schermata 2016-03-16 alle 15.18.38

In questa ipotesi, avremmo PD+SI al 33%, M5S al 30% e area di centrodestra al 37%. Si può ovviamente sostenere che Meloni possa drenare ulteriori voti a Storace, oppure che alcuni dei candidati minori si ritireranno favorendo il “voto utile” nei suoi confronti. L’esito non cambierebbe. Viceversa, è difficile sostenere che Marchini possa andare sotto di quasi 3 punti rispetto all’elezione di 3 anni fa (quando prese il 9,5%), così come che Forza Italia dimezzi i suoi voti rispetto alle europee del 2014 (nelle quali prese il 13,5%).

A conti fatti, quindi, questo scenario che vedrebbe Meloni a 10 punti dal ballottaggio costituisce ancora un’ipotesi ottimistica. 

Ma il calcolo brutale può essere ancora più semplice: quanto pesa l’elettorato di centrodestra a Roma? Diciamo anche il 40%, per eccesso. Qual è la soglia per arrivare al ballottaggio? Tenendola bassa, diciamo il 25%. Per superare il primo turno, in quel caso – di per sè ottimistico e generoso – Meloni deve sperare che Bertolaso, Marchini, Storace e gli altri candidati minori non arrivino al 15% complessivo, quando il solo Marchini 3 anni fa arrivò al 10%… 

D’altronde, è chiaro che se un’area politica si presenta a un’elezione a doppio turno con 8 candidati non ha alcuna possibilità di arrivare al ballottaggio. A meno che uno degli 8 sia enormemente più forte degli altri, fino a ridurre tutti i competitor interni a percentuali misere.

È altrettanto chiaro, quindi, che le elezioni a Roma sono un pretesto per giocare un’altra partita. I due “giovanotti” stanno sfidando Berlusconi per la leadership nazionale del centrodestra. Silvio lo sa e di conseguenza tiene il punto e si spende per Bertolaso, “ci mette la faccia” come si usa dire oggi. Bertolaso non ha alcuna chance di vittoria, ma servirà a “far schiantare” Giorgia Meloni (parole di Berlusconi). Il che, a conti fatti, avvantaggerà solo uno dei giovanotti. Quello che a Roma non ha né voti, né candidati, ma che a livello nazionale galoppa più degli altri. 

Salvo miracoli o “cataclismi elettorali” sarà esattamente così. A destra c’è un errore prospettico di fondo. Credono ancora di poter recuperare il loro “popolo”. I 400 mila che votarono MSI nel 1993, o parte dei 550 mila che votarono PDL con Alemanno candidato nel 2008, per capirci. Nel 2013, tra primo e secondo turno (Alemanno-Marino), un esponente importante della destra romana mi disse: “al ballottaggio dobbiamo portare a votare i “nostri”. Mancano i nostri voti”. La mia risposta fu: “i “nostri” non esistono più”. Risultato del secondo turno: Marino incrementa il bottino di 150mila voti, Alemanno di 10 mila.

I voti di area sono quelli. Se qualcuno vuole provare a stravolgere l’esito deve lavorare sulla prateria di voti congelati, quelli che oggi andrebbero al mare per intenderci. E su quel campo, ad oggi, Giorgia Meloni può fare davvero poco. Raggi, in compenso, può far molto. Come avrebbe potuto fare molto Marchini se avesse avuto chance di vittoria. Ma quella è un’altra storia, si è scelta la strada dei “balcani”, sacrificando il Campidoglio e pensando a Montecitorio. Peraltro chissà con quali esiti… Amen.

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