Roma
Tornare al Teatro Valle, molti anni dopo
Che emozione rientrare in quella sala. Al Teatro Valle, nel cuore di Roma. Un teatro dell’affetto e della memoria, per molti di noi.
L’occasione è stata la conferenza stampa tenuta da Luca Bergamo, assessore alla Cultura e vicesindaco della città, con Antonio Calbi, direttore del Teatro di Roma (ne dà un appassionato resoconto Andrea Pocosgnich su TeatroeCritica). Emozione perché da anni quella splendida e storica sala era chiusa. Questa giunta si era impegnata affinché riaprisse, e ieri, con un foyer tirato a lucido, una percorso di memorabilia, una bella mostra di Mimmo Paladino ha – almeno in parte – mantenuto la parola data.
Ancora per anni il Valle sarà a mezzo (o anche meno) servizio. Si annunciano mostre, lezioni, istallazioni tra storia e contemporaneo, in attesa dei lavori. Ma intanto ci siamo riaffacciati in quella sala accogliente. Ed è stato un bel momento. La sorpresa, poi, la grande sorpresa, era la fila di gente, messa in coda per poter salutare il teatro.
C’erano camionette della polizia a presenziare e controllare la strada: chissà forse temevano un’altra occupazione (che non sarebbe idea da scartare…) o volevano proteggere l’attesa sindaca che poi non si è presentata. Ma c’era Luca Bergamo, che serenamente e seriamente, ci ha messo la faccia: è convincente il suo impegno per riaprire il teatro. Quando avverrà? Tre o quattro anni ancora, almeno.
Intanto c’è la mostra, il sipario disegnato da Paladino, le voci di Carmelo Bene e di altri giganti che risuonano e Arlecchino, di lassù, sul cielo del teatro ci sta a guardare. Ben ritrovato Valle, sono passati anni, la città non ti ha dimenticato…
Qui di seguito, se vi va di leggere, il testo che ho scritto per il piccolo catalogo dell’evento organizzato dal Teatro di Roma.
Forse pochi ricordano che Edmond Dantès, il famoso Conte di Montecristo – durante il carnevale romano, subito dopo aver assistito a un’esecuzione capitale in Piazza del Popolo – andò al Teatro Valle dove aveva un “suo” palco. Per quella sera, racconta il romanzo, non scelse l’Italiana in Algeri in programma all’Argentina, ma optò, appunto, per il Valle.
Non sappiamo cosa vide: questo Alexandre Dumas non lo racconta. Ma per lo scrittore francese, che pure visse in Italia, i teatri romani da citare erano quei due: Valle e Argentina. A metà ottocento, il celebre romanzo d’appendice sanciva – laddove ce ne fosse stato bisogno – il ruolo centrale del Teatro Valle nella scena romana.
È, questo, solo un aneddoto dei mille che si potrebbero raccontare nella lunga storia del Teatro Valle: in quella platea sono passati mondi interi, epoche storiche si sono succedute all’ombra di quei palchetti.
Qui, possiamo dire grossolanamente, si sono esibiti tutti.
Dal 1727, anno dell’inaugurazione della sala creata dall’architetto Morelli su commissione del Marchese Capranica, sulle tavole del palcoscenico hanno messo piede i grandi compositori, gli attori, i comici, i musicisti, danzatori e danzatrici, gli autori, i registi, i tecnici, e scenografi, costumisti, suggeritori…
Basti ricordare, tra questi, Luigi Pirandello e il faticoso debutto dei Sei personaggi in cerca d’autore. Episodio, com’è noto, decisamente non felice: pubblico spaccato in due, ma per la maggior parte decisamente critico contro la novità dell’autore siciliano. Pirandello fu fischiato, contestato, costretto a uscire dal retro per evitare ulteriori polemiche. Poi, si sa, la storia gli ha dato ragione: ma quella sera del maggio 1921 resterà nel ricordo, e segnerà, forse, anche la personalità del Teatro Valle.
Perché il Valle, come molti teatri storici, ha un suo carattere.
C’è un bel libro, riccamente illustrato, che ripercorre la lunga storia della sala, edito da Palombi, e curato da D’amico, Verdone, Zanella e Di Palma. Pubblicato nel 1998, il volume coglieva il Valle in uno dei suoi momenti di grande vitalità, quando era gestito dall’Ente Teatrale Italiano. Già, l’Eti: inopinatamente e bruscamente chiuso con un ottuso provvedimento politico, l’Eti aveva dato al Valle una identità forte, aperta ai codici del contemporaneo, nazionali e internazionali, alla drammaturgia italiana, a delle “retrospettive” – le prime in Italia – dedicate ai maggiori artisti in attività – e infine a tanti laboratori che ne fecero un luogo di formazione permanente, di incontro e discussione.
Con la chiusura dell’Ente, si apre un’altra pagina, che porta il Valle agli onori della cronaca. È la nota, vitale, contestata, vibrante “occupazione”: un manipolo di lavoratori dello spettacolo occupò il teatro nel giugno del 2011. Il gesto doveva essere simbolico, legato all’amore per quella sala, ma si mutò presto in una forma di autogestione di quello che fu definito “bene comune”. Tra mille assemblee, confronti, contraddizioni, attacchi, prese di posizione, l’attività del Valle Occupato si protrasse fino al 2014, con momenti bellissimi ed altri discutibili, eppure in un clima di costante, febbrile creatività. Di quell’esperienza resta il ricordo, a tratti la nostalgia: poteva rappresentare una modalità diversa, extra-ordinaria di gestione e di condivisione, però – per le insite debolezze e fragilità o per l’ostilità della politica – è rimasta più che altro nell’immaginario collettivo, forse come spina nel fianco oppure come utopica militanza. Il teatro fu sgomberato pacificamente e da allora, il Valle tornato alla normalità è un teatro chiuso.
Da quel momento, infatti, dal luglio 2014, le porte della sala sono sbarrate. Teatro in declino, fossile di se stesso: cupa memoria di un’arte che fu. Promesse, proclami, rinvii, timidi tentativi di usare gli spazi complementari non hanno sin qui cambiato lo stato delle cose.
Però, con pazienza e lavorio certosino, il Comune di Roma, la Giunta di Virginia Raggi e dell’assessore Bergamo, ha finalmente dato il via ai lavori. Ma ci vorrà ancora tempo perché il Teatro Valle possa affiancarsi – come era per Dumas – al Teatro Argentina nella vita culturale romana. Il Valle, dunque, è entrato nel patrimonio dello Stabile capitolino e il Teatro nazionale diretto da Antonio Calbi, è incaricato della futura gestione. Questa mostra è uno dei primi passi in tal senso. E sarebbe, inutile dirlo, un significativo ritorno, ritrovando e rinnovando il legame tra le due sale che ha avuto momenti illustri.
È bello ricordare, in questa prospettiva, che il Valle fu sede del primo Teatro Stabile di Roma. Nel ’62 la Giunta di centro sinistra diede vita all’istituzione teatrale della città e, nel luglio di due anni dopo venne chiamato a dirigerla il 47enne Vito Pandolfi, regista, critico, studioso di teatro. Pandolfi cercò subito di qualificare la proposta, articolando un cartellone di rilievo. Basta dare un occhio alle locandine in mostra per trovarvi nomi di tutto rilievo: lo struggente Giardino dei Ciliegi diretto da Luchino Visconti, oppure Vestire gli ignudi, regia di Patroni Griffi. E ancora, siamo già alla stagione successiva, una regia di Alessandro Fersen, un curioso Osborne diretto da Alberto Arbasino, la Fedra con la regia di un Luca Ronconi poco più che trentenne, fino a La professione della signora Warren di Shaw, con Paola Borboni, nel maggio 1970. Poi, quell’anno, riaprì l’Argentina, lo Stabile ritrovava la sua “casa” e il Valle proseguiva la sua storia singolare.
Ma in quegli anni, nel volgere di poche stagioni, il Valle era diventato una casa d’attori: Paolo Stoppa, Rina Morelli, Tino Carraro, Sergio Tofano, Ottavia Piccolo, Adriana Asti, Gabriele Ferzetti, Renzo Montagnani, Nora Ricci, Elena Zareschi, Gianrico Tedeschi, Ferruccio De Ceresa, Paolo Panelli, Bice Valori, Paolo Ferrari, Marianella Laszlo, Mariano Rigillo, Nando Gazzolo, Marisa Fabbri, Ileana Ghione, Massimo Foschi, Franca Valeri, Renzo Giovampietro, Antonio Casagrande, Piero Sammataro, Renzo Palmer, Gianni Bonagura, Massimo Foschi, Gianni Santuccio, Gigi Proietti, Lilla Brignone…
Impossibile citarli tutti, evocare quei giganti che hanno calpestato le tavole del palcoscenico. E poi, da allora, quanti altri? Difficile contarli.
Accanto agli artisti, del Valle voglio ricordare altre anime, ugualmente sensibili anche se diversissime. I direttori di sala degli ultimi decenni, prima Giorgio De Angelis, poi Salvatore Aricò, infine Isabella Guidoni; e ancora il capo macchinista Mario Bongarzone, il capo elettricista Marco Alimenti e Antonio Gabioli, per tutti semplicemente Antonio, quel custode dall’aria paterna, sempre accogliente e amico.
Per quel che mi riguarda, ci ho messo piede, per la prima volta, nella stagione 1992-1993, in occasione del Bicentenario Goldoniano: vennero compagnie da tutto il mondo. Il Valle, con la sua elegante architettura, con l’ottima acustica, con le sue forme aggraziate le accolse regalando emozioni.
E ci accoglie ancora, ferito certo ma non sconfitto.
Del suo passato, dell’enorme patrimonio del passato, restano tracce evanescenti, orme, piccoli segni, scalfitture. Scorie di passioni vissute tra le quinte che tornano alla luce, per la prima volta con questa esposizione.
Lo scheletro di un camerino, quelle scatole per tenere i biglietti strappati, una macchina calcolatrice, le locandine: testimonianze mute che pure parlano, raccontano, commuovono ancora oggi.
Da queste macerie, occorre ripartire.
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