Partiti e politici
Con l’addio di Berdini, Roma perde l’unico politico della giunta
Ha provato ad agitare lo spettro del complotto, prima di uscire di scena sbattendo la porta. Ma il primo a non crederci è lui stesso. Per la seconda volta in pochi giorni, Paolo Berdini ha rassegnato le dimissioni da assessore all’urbanistica del comune di Roma. Ma se le prime erano state respinte con riserva dalla sindaca Virginia Raggi, questa volta la scelta del termine “irrevocabili” mette fine a una telenovela, durata una settimana, passata dietro audio rubati e goffi tentativi di riconciliazione.
Virginia Raggi ha avocato a sé le deleghe all’urbanistica e alle infrastrutture e, d’altronde, immaginare un esito diverso, dopo aver definito la sindaca “impreparata, circondata da una banda”, era difficile. Ma Berdini era riuscito comunque a rimanere al suo posto, potendo contare sull’indisponibilità momentanea di un possibile successore. Per questo ha aspettato il giorno in cui il Campidoglio e la Roma potrebbero avere trovato un accordo sullo stadio di Tor di Valle, riducendo del 25% le cubature rispetto al progetto originario, per tentare un’uscita in grande stile. “Mentre le periferie sprofondano in un degrado senza fine e aumenta l’emergenza abitativa – scrive Berdini in una nota – l’unica preoccupazione sembra essere lo Stadio della Roma. Dovevamo riportare la città nella piena legalità e trasparenza delle decisioni urbanistiche, invece si continua sulla strada dell’urbanistica contrattata, che come è noto, ha provocato immensi danni a Roma”.
Dopo le scuse dei giorni scorsi, insomma, ora arrivano le accuse. La “moratoria del cemento”, da lui teorizzata, nulla ha potuto contro gli investimenti miliardari di Pallotta e Parnasi. Ma se a Roma verrà effettuata “la più imponente speculazione immobiliare del momento in Europa”, come l’ha definita, la colpa è anche sua, che dopo essersi messo “fuori gioco” con quell’intervista rubata da La Stampa, ha capito con estremo ritardo che la partita dello stadio di Tor di Valle non si giocava a più Roma, dove la base del Movimento si era sempre schierata al suo fianco contro il progetto, ma altrove. Per il Movimento 5 Stelle, che nel 2014 fa aveva votato contro la delibera sul pubblico interesse, la priorità ora, anche in chiave nazionale, è quella di dimostrare di non essere il partito del “no” a prescindere, soprattutto di fronte ad un’opera che, a differenza delle Olimpiadi, rischia di spostare consensi, oscurando anche il caso Marra, che da due mesi tiene in bilico l’esperienza di Virginia Raggi.
Trovare un suo sostituto, che conosca la città come lui, sarà complicato in tempi brevi. Di certo, se l’addio di Marcello Minenna e Paola Muraro, tanto per fare due nomi, era stato in qualche modo “assorbito”, quello di Paolo Berdini rischia di avere conseguenze politiche non indifferenti per la giunta guidata da Virginia Raggi, composta quasi interamente da tecnici privi di un qualsiasi riconoscimento pubblico (nessuno a Roma sapeva chi fossero Laura Baldassarre, Adriano Meloni o Massimo Colomban prima della loro nomina). Di fatto, Berdini è stato uno dei pochi interlocutori politici in questi sette mesi, l’unico a mediare e a tenere i rapporti con il mondo accademico e con quella parte di sinistra, legata ai comitati ambientali, ai centri sociali e ai sindacati di base, come l’Usb, che lo scorso giugno aveva dato fiducia al Movimento 5 Stelle. Un pezzo di città che vedeva nell’urbanista una vera e propria “garanzia” e che dalle prossime settimane, senza di lui, potrebbe iniziare a presentare il “conto” al Movimento.
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