Roma

Stanotte ho sognato Roma

20 Marzo 2022

Stanotte ho sognato Roma.

Intendo dire Roma, non quella mostruosa malattia che oggi si estende da Tivoli al mare, ma Roma. Quella le cui carte stradali finivano a nord con lo Stadio Olimpico, che aveva due linee, una blu ed una rossa, che mostravano il tracciato dei due tram che collegavano tutti i quartieri tra loro, ed in basso a sinistra un riquadro con una mappa dell’EUR, quel quartiere tutto bianco di marmo lontanissimo e troppo caldo.

Ho sognato delle partite a pallone a piazza Mazzini, in cui c’erano solo taxi verde e neri, e da lì mi è venuto da pensare quando, a Largo Argentina, avendo perso l’ultima corsa del 46, avevo chiesto ad uno di quei tassinari di portarmi a Via Pietro Bembo, da dove avrei raggiunto casa a piedi. E quello: “Via Pietro Bembo? Nun esiste”. E poi a me e Mauro Franzero che, ogni mattina, da Via Framura camminiamo fino a scuola, a Montespaccato, e per la strada vuota e senza case contiamo i preservativi usati dalle coppiette la notte prima.

Ho sognato di me ed Antonio, e di quando facemmo una corsa folle, su per la scalinata del Villaggio Giuliani, lui in spalla Titti ed io Tiziana, ed il mio corpo incredibile saliva i gradini come fosse nulla. E quindi Daniele, come lo guardavo in segreto, per capire i suoi segreti, la sua intelligenza profonda, la sua sicumera, il suo sorriso – e poi ho sognato di quando lui e Andrea lavoravano a Via Baccina e mi consideravano oramai una reliquia da dimenticare, ed io l’ho talmente odiato, sono rimasto talmente ferito che, anni dopo, ho detto una stronzata a suo padre solo per ferirlo.

Ho sognato Roma, ed era un sogno meraviglioso.

Ero a mangiare la pizza a Via dei Volsci e Garibaldi suonava la tromba, e poi a Campo de Fiori, seduto su una scalinata, e Gabriella mi chiedeva cosa pensassi di ciò che c’era tra noi – ed io, terrorizzato da quella donna brillante, piena di ambizioni, bellissima e ferita ho iniziato a tremare, perché ho pensato che qualunque cosa avessi detto mi avrebbe scaricato, perché ero troppo stupido per lei. E comunque nessuno mai mi ha morso la lingua come faceva lei, e sognando l’ho ringraziata, pieno di pudore.

Ho sognato Piazza dei Caprettari, e quegli anni intensi in cui cercavo di imparare da gente migliore di me, e non ce la facevo. Ho sognato Eddie con la sua 500 gialla – l’amico cui probabilmente devo più di tutti, colui che ha cambiato la mia vita, regalandomi possibilità che nemmeno sapevo esistessero, e che poi, come sempre mi accade, ho combattuto perché ero invidioso, stupido, insicuro e sentimentalmente frigido.

E quindi ho sognato il primo bacio con Paola, un miracolo che mi parve incredibile e che invece di accettare ho ricoperto di straziante isteria infantile, fino a metterle paura. E il volto di mio padre, sempre di cattivo umore, sempre infuriato per cose di cui non capivo nulla, e poi ore ed ore di tortura in piscina, avanti e indietro come un merluzzo, sempre sapendo che tutti gli altri sarebbero comunque stati più svelti di me e che papà, per questo, voleva più bene a loro che a me.

Ho sognato Roma, ed era un incubo riuscito.

Ho sognato Piazza Navona e la chitarra e migliaia di ragazzi e ragazze stupendi che vorticavano cantando, e poi ho sognato le botte con la polizia a Piazza dei Mirti, e Davide che dà un cazzotto a quell’arrogante imbecille di Francesco Rutelli, che faceva il gradasso alla manifestazione per Solidarnosc. Ed ho sognato la mattina del 16 marzo, quando dissero che Aldo Moro era morto, ed il mondo si è fermato, e tutto ciò che fino ad allora era sembrato divertente e fluido divenne pesante e tetro come il piombo. Ed ho sognato Gaber, e lì ho iniziato a piangere. A piangere senza vergogna, senza ritegno, senza freni, senza pietà, senza rimorso – piangere come se fossi una fontana. Ma una di quelle in cui, se ci getti una monetina dentro, non ritornerai mai più.

Come Roma.

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