Partiti e politici
Siete sicuri che un renziano al posto di Marino salverebbe Roma?
Ma è davvero Marino la causa del calo di consensi per Renzi? Il licenziamento via Bruno Vespa del primo cittadino di Roma, messo in atto da Matteo Renzi, ha il sapore di un colpo di coda disperato per riconquistare quel po’ di credibilità elettorale persa in questi mesi di governo: il premier tenta di cavalcare per fini esclusivamente personali il malcontento crescente in città, per far vedere di essere tornato il rottamatore di una volta. Più delle effettive capacità del chirurgo genovese, però, ad essere messa in discussione è la volontà popolare che nel 2013, ha designato Marino, attraverso regolari elezioni, nello scranno più alto della città.
Se come dice Renzi, “non basta essere onesti se non si è capaci”, occorre anche avere tutti gli strumenti per amministrare bene. La città, sempre più a corto di risorse, bloccata completamente dal patto di stabilità e dal lavoro della Procura, affronta una crisi che ha radici lontane, che affondano negli anni dei grandi sprechi (quelli del Modello Roma di Veltroni e delle opere incompiute costate centinaia di milioni di euro pubblici), così come nei tempi più recenti di Parentopoli e del sistema Mafia Capitale, emerso in tutta la sua interezza durante la giunta di Gianni Alemanno e sciolto solo pochi mesi fa grazie all’intervento della procura di Pignatone.
Amministrare Roma senza che sia riconosciuto il suo status di Capitale è praticamente impossibile, così come è difficile affrontare due anni di governo e di crisi sistemiche, come quella sui rifiuti iniziata con la chiusura di Malagrotta, senza un aiuto concreto da parte del Governo. Figuriamoci dopo l’esplosione di Mafia Capitale, che oltre a frantumare il partito di maggioranza, ha mandato in crisi tutto il sistema dei servizi (verde pubblico, emergenza casa, rifiuti), o con l’emergenza migranti in corso, dove l’amministrazione capitolina paga in prima persone la scarsa autorevolezza in Europa del Governo italiano. Anche un renziano convinto, come quello che vorrebbe fare eleggere Renzi al Campidoglio, avrebbe difficoltà ad organizzare un Giubileo senza disporre di risorse o a risolvere l’emergenza casa, dovendo combattere ogni giorno con gli effetti del decreto Lupi (il Piano Casa senza case), che di fatto non ha prodotto alcun risultato positivo.
Lo sa bene lo stesso prefetto Gabrielli, non un uomo dell’amministrazione, ma al contrario un’emanazione dello stato, che solo pochi giorni fa ai cittadini del VII Municipio che gli chiedevano di far sgomberare uno stabile abbandonato da un decennio e occupato da disperati senza fissa dimora, rispondeva, con fare “piagnone”, come direbbe Renzi: “Se non so dove metterli, non posso mandarli via”.
In 24 mesi, insomma, al sindaco Marino è stato chiesto di sbrogliare il lavoro lasciato indietro da almeno 20 anni e di mettere mano a tutti quei patti scriteriati in essere fra l’amministrazione e i piccoli/grandi monopoli cittadini (da Buzzi ai costruttori, avallati nel passato dallo stesso Pd. Senza entrare nel merito se quella di Marino sia o meno una buona amministrazione, è curioso che in questa operazione Renzi si associ a quell’intero pezzo pezzo di classe dirigente del Pd che chiedeva le dimissioni del sindaco, prima di finire coinvolta negli scandali di Mafia Capitale.
Se dopo le europee del 2014, dove in molti speravano in un risultato elettorale scadente da parte del Pd capitolino, con il solo obiettivo di spodestare il sindaco, la città fosse finita nelle mani dei turborenziani capitolini (come ad esempio lo era Mirko Coratti fino a dicembre), cosa avrebbe da dire adesso il premier? A chi darebbe la colpa? Ma soprattutto il commissario romano Matteo Orfini, il quale ai 5 stelle che chiedevano le dimissioni del sindaco rispondeva lo scorso marzo con un perentorio “segnalo che è la linea della mafia”, troverà il coraggio di dire le stesse parole al suo premier/segretario di partito?
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